Un problema mio

domenica 10 Giugno 2012

Una volta ho fatto una supplenza di un mese e mezzo in una scuola, perché poi come al solito c’erano state le nomine e avevo dovuto cambiare scuola, e comunque un giorno mia sorella mi aveva regalato una maglietta nera con scritto MADE IN JAIL in bianco che aveva comprato a una festa a un banchetto dove c’era una cooperativa di carcerati che vendeva i suoi prodotti, allora, dovevamo essere ancora in uno di quegli inizi di ottobre ancora caldi e a scuola io dopo poco, visto che c’era caldo, mi ero tolto il maglione e ero rimasto soltanto con questa maglietta, e a un certo punto, ero in una quinta, uno studente mi chiede che cosa c’era scritto sulla maglia, io gli dico ma non fate inglese?, loro dicono sì, io dico c’è scritto MADE IN JAIL e allora lui mi dice ma non vuol dire fatto in prigione, io dico sì, e allora lui, che poi prima di farmi sta domanda io vedevo che chiacchierava con la sua compagna di banco, e comunque lo studente mi ha detto ma lei è stato in prigione?, e io gli ho detto che se ero stato in prigione è una cosa che riguardava me e non loro e ovviamente se ero lì a insegnare il fatto voleva dire che avevo pagato qualsiasi mio debito con la giustizia e quindi ero un libero cittadino alla pari di chiunque altro, e avevo chiuso così la cosa, e mi ero rimesso a spiegare, ma tre minuti dopo una studentessa mi ha detto ma lei non è un assassino? E io le ho detto che se ero o non ero un assassino era un problema mio e non loro, perché in ogni caso se ero lì significava che avevo pagato tutti i miei debiti con tutti e quindi non mi sembrava un argomento così interessante da discutere. Me lo avevano chiesto di nuovo anche dopo due o tre giorni e io gli avevo sempre risposto nello stesso modo, non dicendo né sì né no, e si capiva che era una questione che li scombinava. E però questi studenti, comunque nell’ipotesi che io fossi stato in galera e che forse fossi un assassino, da quel momento in poi avevano cominciato a comportarsi benissimo in classe, se per caso due chiacchieravano per un attimo, bastava che gli dessi un’occhiata e si mettevano subito zittissimi e in molti facevano anche degli appunti. Purtroppo, dopo più o meno quindici giorni, ho dovuto cambiar cattedra, se no sarebbe stato un bellissimo esperimento da fare.

[Ugo Cornia, Il professionale, pp. 88-90]

Veramente?

giovedì 7 Giugno 2012

Ogni tanto invece venivamo coinvolti nelle attività del sostegno, cioè di quelli che adesso dovrebbero essere chiamati i diversamente abili, e tutti i diversamente abili, ognuno con le sue diverse abilità, facevano qualcosa insieme, quindi ci trovavamo tutti riuniti, ragazzini e prof di sostegno, in quella auletta che si chiamava auletta sostegno, dove c’era anche una cucina, infatti buona parte delle attività comuni consisteva nella realizzazione di torte o frittate o frittele, e però mentre mangiavamo io mi divertivo con Eugenio e con gli altri diversamente abili perché ci perdevamo in considerazioni abbastanza fiabesche sulle cose, e producevamo delle grandi fantasie, e una volta, io mi ero seduto per terra in un angolo dell’auletta, e però era un periodo in quei tre o quattro giorni in cui avevo avuto delle mie malinconie, e allora uno di questi ragazzini mi aveva chiesto sei triste?, e io per scherzo, visto che mi sembrava fuori luogo parlargli dei miei problemi personali, gli avevo detto la prima cosa che mi era venuta in mente, e cioè gli avevo detto ragazzi, ieri ho preso una botta in testa e ho perso la memoria, allora loro mi avevano detto che cosa voleva dire avevo perso la memoria, io gli avevo detto che non sapevo più chi ero. Loro subito mi hanno detto ma tu sei Ugo, quello che viene da Modena, e poi Eugenio aveva detto tu sei Ugo, il mio insegnante, e anche gli altri avevano etto che era vero, che io ero Ugo l’insegnante di Eugenio allora io gli avevo detto se erano sicuri che io fossi di Modena, perché con questa botta in testa che avevo preso mi ero scordato anche dove abitavo, e gli avevo detto che quella notte lì, non sapendo più dove abitavo, ero andato a dormire sotto un ponte del Panaro, per stare al coperto se pioveva Continua a leggere »

I discorsi di Ugo

mercoledì 9 Maggio 2012

Sono da poco in rete, sotto il titolo Discorsi di disimpegno civile (clic) gli articoli che Ugo Cornia pubblica sulla Gazzetta di Modena.

Bandello

lunedì 26 Marzo 2012

L’abate, che aveva chiesto un mese di tempo per poter realizzare il suo concerto, compra trentadue maiali di varie età, scegliendone otto per tenore, otto per basso, otto per soprano e otto per alto. Poi costruisce uno strumento con i tasti al modo di un organo, con lunghe asticciole di rame in cima alle quali vengono fissati in modo precisissimo certi ferri con una punta acutissima che, a seconda di quale tasto venga toccato ferisce il porcello prescelto, facendolo urlare, e da questo ne risultava una meravigliosa armonia, avendo egli in modo ordinato fatto legare i porcelli sotto una gran tenda, cosicché non potevano non esser punti ad ogni tocco della tastiera. L’abate prova cinque o sei volte il suo concerto, e trovando che gli riusciva benissimo, invita il re entro quattro giorni a venire a sentire la musica porcellina.

[Matteo Bandello, La musica porcellina, riscritta da Ugo Cornia, in Novelle stralunate dopo Boccaccio Riscritte nell’italiano di oggi, a cura di Elisabetta Menetti, Macerata, Quodlibet 2012, pp. 50-51]

9 ottobre – Gualtieri (RE)

domenica 9 Ottobre 2011

Domenica 9 ottobre,
a Gualtieri (RE),
a palazzo Bentivoglio,
salone dei Giganti,
alle 17,
Daniele Benati,
Ermanno Cavazzoni,
Ugo Cornia
e Paolo Nori
leggono Raffaello Baldini.

Il dottor Magnavacca

martedì 26 Ottobre 2010

È difficile per uno di due, tre, quattro, cinque anni fare dei gran giochi, soprattutto in cui ci si muove, con una persona che è obbligata a stare sempre su una carrozzina a rotelle, soprattutto se in alternativa hai altre due persone che hanno ancora l’uso completo delle gambe, perché per esempio, d’estate, su a Guzzano, mi ricordo quando il nonno mi portava a vedere il fosso, e a giocare coi girini, e poi anche a vedere la stalla, che le mucche sono un animale che mi è sempre piaciuto moltissimo, anche quando mio nonno mi metteva a cavallo di qualche mucca, e per esempio al fosso, o nelle stalle, ci andavo con mio nonno e con mia madre, e qualche volta anche con la zia Maria, che potevano camminare e gli piaceva camminare, mentre la nonna era bloccata sulla sua carrozzina a rotelle e quindi più di tanto era immobile, mentre della nonna io mi ricordo ancora bene invece, che per me doveva essere come una specie di piccola festa, quando veniva a casa loro il dentista, il dottor Magnavacca, e tutte le volte che veniva mi portavano a vedere, che si mettevano in sala, sul tavolo, e la nonna stava lì, tra il tavolo e la finestra, e questo dottor Magnavacca aveva tutta la sua strumentazione dentistica, ma portatile, messa lì sulla tavola, e usava spesso una fiamma, perché doveva avere un qualcosa come una specie di piccolissimo fornello a gas, e io stavo a guardare che questo dottor Magnavacca trafficava nella bocca della nonna Olga, e tirava fuori delle cose e usava i suoi strumenti, e li metteva in bocca alla nonna e poi li tirava fuori, e poi dava anche una sfiammata a qualcosa, e così sia.

[Ugo Cornia, Autobiografia della mia infanzia, Milano, Topipittori 2010, pp. 25-26 ]

Addio

venerdì 22 Ottobre 2010

Diario di un addio di Pietro Scarnera, appena uscito per Comma 22 (ha 80 pagine e costa 12 euro), mi viene da dire che è un romanzo a fumetti, di quelli che credo si usi definire graphic novel. Questo romanzo a fumetti, secondo me, parla della morte. Anche se, per essere più precisi, e lo si capisce dagli scritti che seguono il romanzo, uno di Beppino Englaro (il padre di Eluana), l’altro di Fulvio De Nigris, (il Direttore del Centro Studi per la Ricerca sul Coma della Casa dei Risvegli Luca De Nigris), bisognerebbe dire che parla di: fine vita.
Solo che, come graphic novel è un’espressione recente che, ai più, non è tanto familiare, così fine vita è una locuzione burocratica che sembra fatta apposta per non pronunciare la parola morte, che è una parola che, non si capisce bene il motivo, si fa fatica a dire e si fa fatica a scrivere.
Una decina di anni fa un mio amico ha scritto un romanzo che parlava della morte dei suoi genitori, morti avvenute a una distanza di pochi mesi l’una dall’altra, e il libro, nella sua prima versione, aveva un titolo che mi aveva molto stupito, quando l’avevo letto per la prima volta: Tra poco saremo tutto morti. E io avevo pensato che era vero, e che non ci avevo mai pensato, e questa cosa qua, che era vera dieci anni fa, per una qualità che non saprei definire che hanno pochissime frasi tra le innumerevoli che uno sente dire o dice o legge o scrive, era vera anche cento anni fa, e sarà vera anche tra un centinaio d’anni. Tra poco, cioè tra pochi decenni, tutti noi, anche quelli che hanno preso in mano questo settimanale, ma non solo loro, anche quelli che sono passati dall’edicola e hanno deciso di non comprarlo, e anche l’edicolante stesso, e anche tutti quelli che da quell’edicola non ci sono passati, anche quelli che questo settimanale non l’hanno mai sentito nominare perché vivono magari in Islanda, e anche tutti gli innumerevoli cinesi che dicono siano ormai non so più quanti miliardi, tutti loro, e tutti noi, anche io che scrivo e anche tutti i miei parenti e i miei amici, incluso il mio amico che ha scritto quel romanzo lì, tra una manciata di decadi, vale a dire tra poco, saremo tutti morti. Dopo, uno può provare sollievo, a questo pensiero (non so perché mi son sempre rimasti in mente quattro versi di Metastasio che dicono «Non è ver che sia la morte / il peggior di tutti i mali / è un sollievo de’ mortali / che son stanchi di soffrir»), uno può preferire non averne, di pensieri del genere, ma la frase «Tra poco saremo tutti morti» ha in sé una potenza e una durata e, mi vien da dire, una verità, che a me sembrano incomparabilmente superiori a quelle della frase, per esempio «Tra un po’ saremo tutti arrivati al nostro fine vita». Continua a leggere »

Non so

mercoledì 13 Ottobre 2010

Non so di preciso come stanno le cose, in generale, ma credo che ogni lettore si costruisca un canone, un empireo, un’hit parade degli scrittori che gli piaccion di più, perlomeno io faccio così, e nella mia personale hit parade degli scrittori italiani al di sotto dei cinquant’anni Ugo Cornia occupa, da tempo, il primo posto, e non credo di essere in questo influenzato dal fatto che siamo amici, anzi. Io non so se succede anche agli altri che scrivon dei libri, ma io, l’invidia, la puntura dell’invidia io la sento non per gli estranei, per gli amici. Se esce, per dire, un libro di Tiziano Scarpa (non che io e Scarpa siam proprio estranei, ma non è che siamo amici), se esce un libro di Tiziano Scarpa e riceve consensi di pubblico e di critica e vince magari anche il premio Strega, io sono contento. Se la stessa cosa succedesse con un libro di Ugo Cornia, io non lo so, come reagirei. Secondo me in pubblico direi che sono molto contento, dentro di me ci resterei malissimo. Continua a leggere »

4 settembre 2010

lunedì 11 Ottobre 2010

Una volta, circa cinquant’anni fa, a San Cesario sul Panaro, era una mattina freddissima di marzo di uno di quei periodi d’inverno spostati in avanti, che il freddo era arrivato tradi, però non voleva più andar via. Infatti dicono che è rimasto sottozero per un’altra quarantina di giorni. C’erano una quindicina di lavoranti che potavano le viti di un vigneto, posto a mezzo chilomentro da San Cesario, e tra questi c’era uno, detto Saponetta, che era tre o quattro giorni che non riusciva a andare in bagno. A un certo punto Sapoentta ha detto agli altri che doveva assolutamente correre a cagare, se no si cagava adosso, e quegli altri gli hanno detto di andare più in là, dopo la strada. Saponetta è andato, ha fatto, poi è tornato, e era tutto contento di esser riuscito a svuotarsi, poi ha detto che una cosa così non l’aveva mai fatta prima in vita sua né per grandezza e neanche per lunghezza. Allora qualcuno degl altri lavoranti che doveva pisciare andava a vedere e quando tornava gli diceva “Dio canta, Saponetta, ma che merda hai fatto” e così, chi prima e chi dopo, tutti quelli che erano lì a potare, prima di andare a casa, sono andati a vedersi la merda di Saponetta. E quando han finito di lavorare e sono tornati a casa l’han detto ai loro famigliari che l’han detto a degli altri e c’è stata un po’ di gente che di nascosto è andata a vedere e si è sparsa la voce della merda di Saponetta. E visto che è stato sottozero per altri quaranta giorni, la merda di Saponetta si coservava perché era come se l’avesero messa nel frizer e è partita la procesione. Dicono che in quei quaranta giorni, qualcuno di nascosto e qulcuno in compagnia, tutto San Cesario è andato a vedere la merda di Sapoentta. Poi finalmente è arrivato più caldo e la merda di Saponetta, come tutte le cose, si è decomposta e è sparita.

[Ugo Cornia, Le storie di mia zia (e di altri parenti), Milano, Feltrinelli 2008, pp. 68-69, cit. in La matematica è scolpita nel granito, bozze]

Giove

sabato 25 Settembre 2010

operette-ipotetiche

E comunque Giove aveva detto «gli piace il demagogo, si tengano il demagogo, poi che si tengano anche la vita eterna, tra l’altro una panzana come che uno per avere la vita eterna deve prima morire non si era mai sentita», e poi aveva detto che lui aveva deciso che con la città, per un po’, aveva chiuso, per lo meno finché restavano in giro tutti ‘sti cristiani. «Io mi do all’anonimato» aveva detto Giove, «mi trovo uno pseudonimo e vado in giro per la campagna finché non cambia l’aria».

[Ugo Cornia, Operette ipotetiche, cit., p. 67]