4 settembre 2010
Una volta, circa cinquant’anni fa, a San Cesario sul Panaro, era una mattina freddissima di marzo di uno di quei periodi d’inverno spostati in avanti, che il freddo era arrivato tradi, però non voleva più andar via. Infatti dicono che è rimasto sottozero per un’altra quarantina di giorni. C’erano una quindicina di lavoranti che potavano le viti di un vigneto, posto a mezzo chilomentro da San Cesario, e tra questi c’era uno, detto Saponetta, che era tre o quattro giorni che non riusciva a andare in bagno. A un certo punto Sapoentta ha detto agli altri che doveva assolutamente correre a cagare, se no si cagava adosso, e quegli altri gli hanno detto di andare più in là, dopo la strada. Saponetta è andato, ha fatto, poi è tornato, e era tutto contento di esser riuscito a svuotarsi, poi ha detto che una cosa così non l’aveva mai fatta prima in vita sua né per grandezza e neanche per lunghezza. Allora qualcuno degl altri lavoranti che doveva pisciare andava a vedere e quando tornava gli diceva “Dio canta, Saponetta, ma che merda hai fatto” e così, chi prima e chi dopo, tutti quelli che erano lì a potare, prima di andare a casa, sono andati a vedersi la merda di Saponetta. E quando han finito di lavorare e sono tornati a casa l’han detto ai loro famigliari che l’han detto a degli altri e c’è stata un po’ di gente che di nascosto è andata a vedere e si è sparsa la voce della merda di Saponetta. E visto che è stato sottozero per altri quaranta giorni, la merda di Saponetta si coservava perché era come se l’avesero messa nel frizer e è partita la procesione. Dicono che in quei quaranta giorni, qualcuno di nascosto e qulcuno in compagnia, tutto San Cesario è andato a vedere la merda di Sapoentta. Poi finalmente è arrivato più caldo e la merda di Saponetta, come tutte le cose, si è decomposta e è sparita.
[Ugo Cornia, Le storie di mia zia (e di altri parenti), Milano, Feltrinelli 2008, pp. 68-69, cit. in La matematica è scolpita nel granito, bozze]