Tanti

martedì 18 Agosto 2015

Oggi Giovanni Maccari, a Farhenheit, presentando per radio questo libro qua (clic), ha detto che Ermanno Cavazzoni, Ugo Cornia e io, quando scriviamo, siamo emiliani militanti, che è stata una cosa che a me è piaciuta.

Una volta che hai avuto paura o ti è venuto da ridere

mercoledì 24 Dicembre 2014

Ho ritrovato un quadernetto di un laboratorio di scrittura che abbiamo fatto, con Ugo Cornia, undici anni fa, nel 2003, in una scuola media di Serramazzoni, sull’appennino modenese, e uno dei compiti che avevamo dato, «Racconta di una volta che hai avuto paura o ti è venuto da ridere», è stato risolto due ragazzi, che si chiamavano Andrea e Davide, così: «Un giorno nell’ora di tecnica il professore mandò fuori dalla classe un nostro compagno perché disturbava. Quando era fuori lui si mise a muovere la maniglia della porta su e giù: il prof. infastidito gli corse dietro per tutto il corridoio. Dopo una corsa sfrenata nell’intento di raggiungere l’alunno entrò in classe e disse: “Vi spacco il c**o a tutti”, subito dopo tirò il cancellino vicino alla faccia del nostro compagno Giacomo, poi si recò verso Pietro e gli buttò per terra tutti i libri. Questo episodio chi ha fatto un po’ ridere e un po’ paura».

Un inedito di Ugo Cornia

domenica 18 Maggio 2014

C’era un contadino che era riuscito a andare in pensione e aveva smesso di coltivare i suoi campi. L’unica cosa che faceva era segare l’erba tre volte all’anno perché non diventasse troppo alta. Però non gli piaceva che i suoi campi fossero vuoti. Quindi in un campo che stava di fianco alla Porrettana ci aveva messo dei nanetti di quelli da giardino di gesso colorato, così la gente che passava in macchina poteva guardare i nanetti e annoiarsi meno mentre guidava. Però, visto che era uno di campagna, i nanetti non gli piacevano. Preferiva gli animali. Allora ha tolto i nanetti e ha messo nel suo campo degli animali di gesso colorato, e ci aveva messo un contadino di gesso, una mucca di gesso, un maiale, un cinghiale, un capriolo, una volpe, un cervo, una gallina, un tasso, un fagiano, una cornacchia tutti di gesso. E quindi il campo era diventato pieno di animali di gesso. Soltanto che un giorno mentre passeggiava ha visto un cinghiale e gli è venuta un’idea, allora è andato dal cinghiale e gli ha detto: ciao cinghiale, e il cinghiale gli ha detto: ciao contadino.
lavori in questo periodo?
no, sono rimasto disoccupato;
hai voglia di venire in un mio campo a far finta di essere un cinghiale di gesso?
Quanto si prende?
200 euro al mese più vitto e alloggio gratis. Però devi fare un corso per imparare a stare fermissimo e a fare la statua
va bene, vengo
lo conosci un cervo?
Si
Mi porti dal cervo che vorrei assumere anche un cervo?
Va bene
Allora vanno dal cervo, gli spiegano, e anche il cervo stava per finirgli la cassa integrazione e accetta, così vanno anche da un capriolo, che accetta anche lui, poi trovano un serpente, una mucca, un maiale, un tasso, una volpe, eccetera. Poi il contadino gli ha detto: adesso venite tutti a casa mia che io vado a Bologna, in strada maggiore, a trovare uno di quei tipi che fanno finta di essere delle statue e gli chiedo se viene a insegnarvi. E così aveva fatto. E anche l’uomo statua gli aveva chiesto:
quanto si prende?
400 euro più vitto e alloggio
va bene
Così dopo un mese era tutto pronto, e se passavi in macchina dalla Porrettana e guardavi ti sembrava che nel campo ci fosse un cinghiale di gesso, e una mucca di gesso, e una volpe di gesso e un cervo di gesso e così via, e invece erano tutti animali vivi che stavano fermissimi, respiravano pianissimo e avevano imparato a resistere anche al prurito per ore, si grattavano soltanto di notte, quando andavano a dormire a casa dal contadino, che anche lui stava tutto il giorno nel campo a fare finta di esser di gesso. Continua a leggere »

Assenzialismo virtuale

giovedì 6 Febbraio 2014

Tra le cose che sono state scritte intorno a quel libro stupefacente che si intitola Opere complete di Learco Pignagnoli, quella che mi torna in mente più spesso l’ha scritta Ugo Cornia e individua in Pignagnoli l’iniziatore riconosciuto dell’assenzialismo. «L’assenzialismo, – ha scritto Cornia, – è un movimento che sceglie il non esserci come pratica. Perché il non esserci al posto dell’esserci? Il non esserci è la pratica quotidiana di mancare a qualsiasi evento, anche eventi minimi di una mattina qualunque, essere assenti il più possibile a se stessi, agli altri e alle cose. Se nel corso di qualsiasi evento, anche dei più banali, qualcuno chiede “C’è Pignagnoli?” la risposta inevitabile è “No, Pignagnoli non c’è”, perché Pignagnoli non c’è mai. Pignagnoli è sempre assente. Ma l’abilità, il sentire con fiuto qualsiasi situazione come situazione in cui mancare, o essere assenti, assume in Pignagnoli il valore della profezia, cioè il fatto di non esserci già prima degli altri, che invece ci saranno ancora, il che in pratica si realizzava nel non esserci di Pignagnoli per esempio a cavallo degli anni cinquanta negli stessi luoghi in cui tutti non volevano più esserci negli anni novanta, ma nel cinquanta solo Pignagnoli era assente e mancava. Di conseguenza, – dice Cornia, – sapere dove adesso non è Pignagnoli, conoscere la miriade di eventi presso i quali Pignagnoli non è già a partire da oggi o non è stato negli anni appena trascorsi, potrebbe mostrarci luoghi o eventi ai quali vorremmo mancare nel 2030, ma oggi, per una carenza di fiuto, tutti accorriamo anche senza bisogno di esser pagati», ha detto Ugo Cornia, e a me oggi in autobus è venuto da pensare che la stessa cosa, o una cosa simile, vale oggi anche in un altro senso, cioè nel senso che, io non so se Pignagnoli ha un computer, ma se avesse un computer, ecco conoscere la miriade di siti e social network nei quali Pignagnoli non è già a partire da oggi o non è stato negli anni appena trascorsi, potrebbe mostrarci siti o social network ai quali vorremmo mancare nel 2030, ma oggi, per una carenza di fiuto, tutti accorriamo anche senza bisogno di esser pagati, forse.

Ecco

mercoledì 10 Luglio 2013

il semplice 6

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mio padre, se il mondo fosse andato diversamente e se il suo destino avesse imboccato altre strade, sarebbe potuto diventare uno dei più importanti rottamai della terra, e infatti, tutte le volte che per un caso o per un altro doveva andare da un rottamaio a cercare un pezzo di automobile o delle altre cose, tornava a casa con la faccia di uno che abbia passeggiato per due ore nel paradiso terrestre.

 

[Ugo Cornia, I morti sono la cosa più preziosa della tera, in Il semplice, 6, Milano, Feltrinelli 1997, p. 41]

 

Una verità (forse)

domenica 5 Maggio 2013

Sto traducendo La morte di Ivan Il’ič, di Tosltoj, e ogni tanto mi viene in mente il titolo che aveva, in origine, il primo libro di Ugo Cornia, che è uscito poi col titolo Sulla felicità a oltranza ma che all’inizio si chiamava Tra un po’ saremo tutti morti, che io, mi ricordo, quando l’ho visto scritto, a casa di Ugo, in testa al dattiloscritto che Ugo aveva stampato per mandarlo a una casa editrice, ho pensato che io non ci avevo mai pensato ma che era vero, tra un po’, tra poche decine di anni, massimo dieci (decine), tutti noi (anche noi che siamo online in questo momento, mi viene in mente adesso), saremo tutti morti, e, non so come dire, non sono sicuro che sia una cattiva notizia, è una notizia, anzi, più che una notizia è un pensiero, e come pensiero mi sembra che, se non altro, ha il pregio di essere vero, ed è un pensiero che mi torna in mente, in questi ultimi giorni, per via che sto traducendo La morte di Ivan Il’ič, di Tosltoj, che quel che racconta, mi sembra, è il fatto che quel pensiero, che tra un po’ saremo tutti morti, è forse l’unico pensiero vero che possiam formulare, l’unica verità che possiam dire riguardo al futuro.

Il non esserci al posto dell’esserci

domenica 10 Febbraio 2013

Ci son delle mattine, delle volte, in Emilia, che c’è un’aria così limpida che ti sembra che il mondo non finisce mai, e in una mattina del genere, che ero in giro per Parma per raccogliere materiale per un libro che si dovrebbe intitolare Mo mama, sottotitolo Parma ai tempi del movimento cinque stelle, mi è suonato il telefono e ho risposto e era la rispettabilissima redazione del Foglio che mi chiedeva di scrivere sedicimila caratteri su Silvio Berlusconi.
Ero proprio sotto una statua che c’è in centro a Parma, la statua di uno che veder come è messo sembra che sia stato colpito alle spalle da un colpo d’arma da fuoco, è lì con la testa all’indietro, le mani allargate che artigliano il niente, è una statua che tutti quelli che vengono a Parma che la vedono si chiedon chi sia, è Filippo Corridoni, e a Parma, da sempre, lo chiamano l’inculato, ero lì sotto l’inculato e al rispettabilissimo redattore del Foglio che mi aveva chiesto di scrivere sedicimila caratteri su Silvio Berlusconi io avevo risposto che ci avrei provato ma dentro di me intanto avevo pensato che io, di Silvio Berlusconi, scriverne sedicimila caratteri, che per chi non si occupa di queste cose sono circa dieci pagine di un libro, cioè l’equivalente di un capitolo, io non sapevo come fare, a scrivere un capitolo su Silvio Berlusconi.
Che Silvio Berlusconi, che era ormai una trentina d’anni che era un personaggio pubblico, che se ne era parlato tanto, ecco io erano perlomeno una ventina d’anni che cercavo, se potevo, di non nominarlo. Continua a leggere »

Conferenza sulla fine del nulla

lunedì 17 Dicembre 2012

All’inizio c’era un gran nulla al buio, ma da questo nulla al buio un bel momento era saltata fuori la Terra, cioè Gaia, cioè una femmina. Però poi Gaia ha fatto il cielo, cioè Urano, cioè un maschio e Urano stava sempre tutto addosso a Gaia, ma attaccato attaccato. A Gaia dava fastidio di aver Urano sempre addosso che non le dava un filo d’aria. E poi le stava sopra così attaccato che non passava neanche la luce e le faceva un’ombra totale, quindi Gaia stava sempre al buio. Per di più Urano, oltre a starle addosso attaccato attaccato, se la chiavava continuamente, senza mai smettere neanche un secondo. Infatti non glielo tirava mai fuori dalla figa e glielo lasciava sempre dentro. Gaia, a esser chiavata continuamente, rimaneva sempre incinta e faceva un figlio dopo l’altro, ma poveretta non riusciva mai a partorirli fuori perché Urano, visto che non glielo tirava mai via, le tappava la figa. E la cosa non si fermava. Ma ormai Gaia si era stufata perché c’aveva dentro già tutti i titani e i ciclopi e Urano contunuava ancora a chiavarsela continuamente. Allora aveva detto ai figli: Adesso basta, così non va avanti, qua va a finire che scoppio. Ma i suoi figli avevano tutti paura di Urano e tremavano. Tutti meno uno, perché Crono, anche se era il più piccolo di tutti non aveva paura, e quindi Crono aveva detto a Gaia: Allora mamma, cosa facciamo? E Gaia gli aveva detto: io adesso ti do un bel falcetto e tu glielo tagli al babbo. E Crono aveva detto: va bene mamma. Così Gaia, che nella figa c’aveva anche una piccola fonderia, aveva fabbricato un bel falcetto di acciaio per Crono e glielo aveva messo in mano. E Crono è andato nel punto della figa dove Urano ci teneva il cazzo, gliel’ha preso con la sinistra e con la destra Zac, glielo ha tagliato. Allora Urano ha fatto un gran salto indietro urlando Ahi, ahi, ahi. E tra gaia e Urano, visto che Urano si era fatto più su, c’è venuta un po’ di luce. E visto che non le tappava più la figa i figli son riusciti a venir fuori all’aria aperta. Così il nulla è finito ed è iniziato il casino.

[Ugo Cornia, Conferenza sulla fine del nulla, dal Convegno sul nulla]

6 settembre – Bologna

giovedì 6 Settembre 2012

Giovedì 6 settembre,
a Bologna,
alla libreria Coop Ambasciatori,
in via degli Orefici,
alle 18 e 30,
presentazione del libro Il professionale,
di Ugo Cornia,
con Ugo Cornia
e Paolo Nori

Non si legge ad alta voce per far bella figura

domenica 1 Luglio 2012

[Metto qua sotto un pezzo di Francesco Borgonovo che è uscito ieri sul foglio]

Ci vorrebbe che Gulliver s’imbarcasse su una chiatta e si facesse trasportare dalle acque del Po, s’intrufolasse nelle vie d’acqua padane, pescando ogni tanto dal Grande Fiume una bottiglia. Ce ne sono tante, spinte dalla corrente, e contengono tutte strampalati messaggi. «E’ frequente però nelle pianure, mi hanno detto, trovare nei pozzi lettere, biglietti, lettere minatorie o scarabocchi tappati dentro a una bottiglia», scriveva Ermanno Cavazzoni, strambo Erodoto di quelle zone. «Questo fenomeno non si sa spiegare; anzi in molti credono che l’acqua dei pozzi sia comunicante nel sottosuolo, e che qui in pianura si sentono dai pozzi spesso venire voci o lamenti, e ci si sente a volte chiamare per nome».
Dalle bottiglie possono spuntare i disegni che Federico Fellini inviava al Marc’Aurelio; i raccontini che Giovannino Guareschi annusava sulla carta la mattina, dopo notti senza dormire trascorse fumando sigarette, fino a incidersi la faccia slavata d’occhiaie profonde. Sono bottiglie in balìa della corrente le buste gialle e sottili che Maurizio Milani imbuca da Codogno, immaginando che arrivino in chissà quali città lontane, e chissà se arriveranno mai, dunque meglio spedirle in duplice o triplice copia. Stesso incerto destino avevano le opere del filosofo Learco Pignagnoli, la cui biografia recita: «Nato a Campogalliano e a San Giovanni in Persiceto. Lavora presso la ditta Scoppiabigi & Figli, dove tiene dietro al loro lupo».
Se Gulliver aprisse una di quelle bottiglie gettate nei pozzi e trascinate poi nel fiume, penserebbe che le ha scritte qualche matto dei dintorni, gli parrebbero sconclusionate e magari comiche, ma di una comicità che a lungo andare ti fa venire il magone. Seguendo la traccia delle bottiglie s’imbatterebbe allora nella popolazione dei Lunatici, che vive di soppiatto nelle terre da Lodi a Bologna, con qualche enclave in Romagna e poche altre colonie sparse nel resto della Penisola. Più o meno, i territori esplorati da Gianni Celati – talvolta in compagnia del fotografo Luigi Ghirri – e raccontati in Verso la foce: «Nella pianura stradale a scacchiera si intersecano tutti dritti per trenta o quaranta chilometri, sentieri su e giù dagli argini dei canali che costeggiamo, ed è sempre come essere in una piega della terra. Zone così piatte e uniformi che tutto compare ad altezza d’occhi senza orizzonte, si sente nostalgia d’un punto un po’ sopraelevato per guardarsi intorno». Continua a leggere »