Non ce l’ho con te
Volodja nella casa sul Lungofiume nel 1993: clic
In lettere dei condannati a morte della resistenza ce n’è una di Bianchetti Giuseppe, operaio trentaquattrenne di Montescheno, in provincia di Novara, che fa così:
Caro Fratello Giovanni, scusa se dopo tutto il sacrificio che tu hai fatto per me mi permetto ancora di inviarti questa mia lettera. Non posso nasconderti che fra mezz’ora sarò fucilato; però ti raccomando le mie bambine di dar loro il migliore aiuto possibile. Come tu sai che siamo cresciuti senza padre e così volle il destino anche per le mie bambine.
T’auguro a te e a tua famiglia ogni bene, accetta questo mio ultimo saluto da tuo fratello
Giuseppe
C’è un poscritto:
Di una cosa ancora ti disturbo: di venire a Novara a prendere il mio paletot e ciò che resta. Ciau tuo fratello.
Nel saggio su Leskov, Benjamin dice che, quando si sta per morire, l’indimenticabile affiora d’un tratto nelle espressioni e negli sguardi del morente e conferisce a tutto ciò che lo riguarda l’autorità che anche l’ultimo degli uomini possiede, morendo, per i vivi che lo circondano. Questa autorità, scrive Benjamin, è all’origine del narrato, e quest’autorità, credo, fa sì che il paletot di Bianchetti Giuseppe sia memorabile come quello di Akakij Akakievič (illustrazione di Boris Kustodiev).
Il nostro popolo non è dissoluto, ma molto casto, malgrado sia senza dubbio il più sboccato del mondo; e su questa contraddizione, giustamente, vale la pena riflettere un po’.
[Fëdor Dostoevskij, La città più cupa del mondo, a cura di Verdiana Neglia, Fidenza, Mattioli 1885, p 72]
E gli studenti dell’accademia di Belle arti di Mosca che ho conosciuto nel 1993 vedevano tutte le puntate di una serie televisiva che si chiamava Sprut, La piovra, col commissario Cattani, e con loro mi sono trovato a cantare, intorno a un tavolo con sopra una bottiglia di vodka, due fette di pane nero e due pomodori, una canzone che non avrei mai pensato di cantare in vita mia, Un italiano vero, di Toto Cutugno, e lì ho capito che quello è il vero inno italiano e che sarebbe bellissimo se i calciatori della nazionale, al centro del campo, la mano sul cuore, cantassero «Buongiorno Italia gli spaghetti al dente, un partigiano come presidente, con l’autoradio sempre nella mano destra e un canarino sopra la finestra» e purtroppo non succederà mai.
Sempre domani, sempre sul Venerdì di Repubblica, sempre la mia Russia Sovietica
L’inizio in russo è così: «Ja čelovek bol’noj…. ja sloj čelovek. Neprivlekatel’nyj ja čelovek. Ja dumaju, čto mne bolit pečen’».
Che, tradotto, più o meno suonerebbe:
«Io sono un uomo malato… Un uomo cattivo, sono. Un brutto uomo, sono io. Credo di esser malato di fegato.»
Che è un inizio dove Dostoevskij costruisce una specie di trottola sonora, nella quale il pronome, ja, io, il sostantivo, čelovek, uomo, e l’aggettivo, bol’noj, sloj e neprivlekatel’nij, sono sempre presenti nelle prime tre frasi ma si cambiano di posto, Ja čelovek bol’noj, Ja sloj čelovek, Neprivlekatel’nyj ja čelovek. È una cosa che fa girare la testa, dal tanto che è fatta bene, secondo me; con questa frase, quasi esclusivamente con l’involucro sonoro della frase, Dostoevkskij ci dà il carattere del personaggio; l’uomo del sottosuolo, contraddittorio disperato ridicolo così simile a noi, è già tutto qui: «Io sono un uomo malato… Un uomo cattivo, sono. Un brutto uomo, sono io. Credo di esser malato di fegato.»
[Giovedì 31 marzo, a Siena, all’università per stranieri, parlo dell’Uomo del sottosuolo]
a me dispiaceva tanto per quel ragazzo americano che aveva avuto la sfortuna di nascere negli Stati Uniti d’America, e pensavo che culo, se così si può dire, che ho avuto, a nascere nel paese migliore del mondo, l’Unione Sovietica.
[Domani, sul Foglio, traduco e riassumo una lunga intervista che Jurij Dud’ ha fatto a Boris Akunin]
Uno gestiva il bagno pubblico della fermata Lima della linea 1 e aveva attaccato al muro alcuni cartelli:
UOMO: ORINATIOIO O,30 € – CABINA 0,50 €
DONNA: CABINA 0.50 €
PAGAMENTO ANTICIPATO
BUON NATALE
[Ristampato il Repertorio dei matti della città di Milano]
La filarmonica di Cardiff ha eliminato, dal suo concerto del 18 marzo, un’Ouverture di Čajkovskij perché «Inopportuna, in questo momento» (clic). Volevo chiedere, ai diligenti esecutori delle sanzioni: cosa devo fare dei miei libri russi?
Si parlava anche d’amore, ma a me non piace leggere cose d’amore, signori, non so voi.
[F. M. Dostoevskij, La città più cupa del mondo, trad. di Verdiana Neglia, prossimamente per Mattioli 1885 ]
A mettere a posto i libri saltano fuori delle cose vecchie e meravigliose.