Stare bene
Il protagonista di Padri e figli, di Turgenev (1862), dice Si sta così bene, dove non sono io, che è un cosa simile a quella che, un secolo dopo, dice Manganelli quando dice Come staremmo bene qui, se fossimo altrove.
Il protagonista di Padri e figli, di Turgenev (1862), dice Si sta così bene, dove non sono io, che è un cosa simile a quella che, un secolo dopo, dice Manganelli quando dice Come staremmo bene qui, se fossimo altrove.
Quando mi chiedono che mestiere faccio io dico che scrivo dei libri che è, effettivamente, una cosa che faccio. Non dico che faccio lo scrittore perché, se dicessi che faccio lo scrittore, sarebbe come dire che scrivo dei libri belli.
Uno che dice «Faccio lo scrittore», mi sembra sottintenda che i libri che scrive lui sono belli, perché gli scrittori, quelli veri, sono così, secondo me, scrivon dei libri belli.
Un po’ come i matti, quelli veri, come ha scritto Giorgio Manganelli.
«Il matto», ha scritto Giorgio Manganelli «viene prima dello scrittore, dell’astrologo, dell’alchimista; in qualche modo, è la figura archetipa, l’esempio che costoro imitano. È ovvio che non si valuta un matto: non si dice “costui è un matto ‘bravo’”, non ci sono matti migliori di altri; un matto è un capolavoro inutile, e non c’è altro da dire».
Scrivi scrivi
se soffri adopera il tuo dolore:
prendilo in mano, toccalo,
maneggialo come un mattone,
un martello, un chiodo,
una corda, una lama;
un utensile insomma.
Se sei pazzo, come certamente sei,
usa la tua pazzia: i fantasmi che affollano la tua strada
usali come piume per farne materassi;
o come lenzuoli pregiati
per notti d’amore;
o come bandiere di sterminati
reggimenti di bersaglieri.
[Ieri, al corso Una piccola macchina per lo stupore, abbiamo letto questa poesia di Giorgio Manganelli]
Bisogna arrivare a parlare di cultura come si parla di figa.
Giorgio Manganelli
[Stasera, a una scuola che si chiama Una piccola macchina per lo stupore, parliamo di Giorgio Manganelli]
Anni fa, venni borseggiato, a Roma, su una vettura della linea 60, che, me lo disse un bigliettario, è tra le più popolose di borseggiatori destri e silenziosi. Quel portafoglio conteneva denaro con cui mi proponevo di pagare un debito, il che dimostra che in genere pagare i debiti è attività malsana.
[Giorgio Manganelli, Riga 44, Macerata, Quodlibet 2022, p. 149]
Bisogna arrivare a parlare di cultura come si parla di figa.
[Giorgio Manganelli, Riga 44, a cura di Andrea Cortellessa e Marco Belpoliti, Macerata, Quodlibet 2022, p. 73]
Fino a poche settimane or sono, il lettore curioso e possessivo che si fosse avventurato in libreria in cerca di una qualche opera di Alberto Savinio non avrebbe trovato assolutamente nulla: «esaurito», come con pio eufemismo si mormora dei matti e di cose irreparabilmente consunte.
[Giorgio Manganelli, Altre concupiscenze, Milano, Adelphi 2022, p. 59]
Scrivi scrivi
se soffri adopera il tuo dolore:
prendilo in mano, toccalo,
maneggialo come un mattone,
un martello, un chiodo,
una corda, una lama;
un utensile insomma.
Se sei pazzo, come certamente sei,
usa la tua pazzia: i fantasmi che affollano la tua strada
usali come piume per farne materassi;
o come lenzuoli pregiati
per notti d’amore;
o come bandiere di sterminati
reggimenti di bersaglieri.
[Giorgio Manganelli, Poesie, Milano, Crocetti 2006, p. 184]
Leggete Le veglie alla fattoria presso Dikan’ka di Gogol’, e scoprirete che la gioia, la gioia infantile e teoretica, la gioia sacra del gioco esige che il mondo sia un duplice palcoscenico, un luogo nel quale si affollano, gomito a gomito, uomini, folletti, diavoli, Satana in persona, ostesse corrive e fanciulle annegate per amore protette da una dannazione inseparabile dalla dolcezza, dalla tenera, sollecita disperazione.
[Giorgio Manganelli, Leggere i russi, in Antologia privata, Macerata, Quodlibet 2015, p. 214]
Un giorno, allora ero liceale, un professore disse: «Quando sarete innamorati, scriverete lettere bellissime». In realtà, chiunque abbia conosciuto innamorati – e capita a tutti – e si ricorda di se stesso amoroso o amorosa, sa benissimo che chi è trafitto d’amore è un personaggio monotono, ripetitivo, dalla aggettivazione scialba e iterativa, affranto dal gravame dei luoghi comuni, emotivamente instabile, solipsista, convinto che l’oggetto del suo amore sia di interesse generale, e più
stupito che irritato se nota una certa tendenza a cambiare discorso nei più cari e pazienti sodali. L’innamorato è socialmente una peste, un diluvio innocente, un farneticante, un ossessivo, e sebbene tutto ciò sia assai nobile e fondamentale dal punto di vista della storia psicologica specifica, non è credibile che costui sia in grado di produrre testi letterari interessanti.
[Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa, Milano, Adelphi 2013 (2), pp. 85-86]