Tre parole preferite

sabato 8 Agosto 2015

Nel libro di Benjamin Wood Il caso Bellwether c’è un ragazza che a un certo punto chiede al suo fidanzato: «Se dovessi dire qual è la mia parola preferita della lingua inglese, – anzi, la cosa che preferisco in assoluto nel mondo intero – sai quale sarebbe?», «Quale?», gli risponde il fidanzato. «Petricore. – dice lei – Si chiama così l’odore della terra dopo la pioggia», dice. Ecco, io, che ho una certa diffidenza per le cose preferite, il film preferito, il libro preferito, lo scrittore preferito, il regista preferito, il cantante preferito, lo stilista preferito, questa ragazza che dice che la sua parola preferita è Petricore, che significa quella cosa così bella, L’odore della terra dopo la pioggia, io la trovo incantevole. E mi fa venire in mente un libro che mi torna in mente spesso, un libro che è uscito qualche anno fa a cura di Matteo B. Bianchi e si intitola Dizionario affettivo della lingua italiana, e è composto da un centinaio di parole preferite da un centinaio di scrittori italiani contemporanei seguite dal motivo, per cui quella parola lì è la loro parola preferita; è un libro a cui ho partecipato anch’io scegliendo la parola Moldavia e motivando la mia scelta così: «A me piace molto la parola Moldavia. Dire perché mi viene difficile, e nel caso della parola Moldavia forse è inutile; mi vien da pensare che tutti, a sentire la parola Moldavia, pensino “Che bella parola”». E mi son ricordato che quando mi capita di fare dei corsi di scrittura, uno dei compiti che do a chi fa il corso è scegliere la parola alla quale sono più affezionati e dire perché, e c’è un ragazzo romagnolo che si chiama Paolo Ricci che ha scelto la parola pippa che adesso tutte le volte che sento dire Pippa mi ricordo di lui e la sua motivazione era questa: «La parola “pippa” è una parola sottovalutata. Se ad esempio provi a cercarla sul dizionario della lingua italiana non la trovi, e se provi a scriverla al computer il correttore automatico te la sottolinea di rosso, come a suggerirti sei sicuro? Non volevi dire “pipa” o “trippa”? “Pippa” è una di quelle parole che almeno dalle mia parti si usa tantissimo, e è una parola che sta bene ovunque. Con il verbo essere, per esempio: “Sei una pippa” che significa che non sei un soggetto particolarmente dotato in campo fisico o intellettuale o in entrambi. Oppure con il verbo fare: “vai a fare delle pippe” che indica che la tua presenza in questo contesto spazio/temporale non è del tutto gradita o nella forma riflessiva “lui lì mi fa una pippa” espressione di scherno usata dal maschio dominante nei confronti del suo occasionale avversario, o ancora nella sua forma negativa “non farti delle pippe” che è spesso usata per tranquillizzare il tuo interlocutore intento a costruirsi preoccupanti scenari ansiogeni. Ma anche la vituperata parola “Pippa” sembra che finalmente stia vivendo un atteso momento di riscatto: Pippa Middleton, sorella di Kate Middleton moglie del principe William, duca di Cambridge, secondo nella linea di successione al trono britannico. E così la “pippa” da banale e volgare significante dell’autoerotismo maschile sta scalando a grandi falcate la scala sociale e punta inarrestabilmente al trono di Inghilterra». E mi sembra che sarebbe bello, quest’estate, se i lettori di questa rubrica volessero scegliere le loro, di parole preferite, se me le mandassero (paolo.nori@gmail.com). Grazie.

[uscito ieri su Libero]

Quello che so fare

sabato 1 Agosto 2015

Se c’è una cosa che non mi piace, di quelli che scrivono sopra i giornali, è quando parlano bene di sé, quando, a leggere quello che scrivono, si direbbe che loro son così bravi, e così belli, e così intelligenti, e così preparati che di bravi, di belli, di intelligenti e di preparati così come loro non ce ne sono.
Allora è per quello, probabilmente, che ho qualche problema a scrivere la rubrica di questa settimana, perché l’argomento della rubrica di questa settimana un po’ mi imbarazza.
Io, non è bello, ma devo riconoscere che una delle cose che mi viene bene è rimandare.
Io, a rimandare le cose che devo fare, credo di essere uno dei tre o quattro più bravi, in Emilia Romagna.
E in questi ultimi giorni, dovrei finire un romanzo che sto scrivendo da mesi, mi sembra che sto dando il meglio di me. Ci son stati dei giorni, questa settimana, che la mia capacità di non fare niente è stata stupefacente.
Io non so se ci sono dei misuratori, di questa capacità, non so se c’è unità di misura, il niente, dodici niente al minuto, o qualcosa del genere, ma se ci fossero dei misuratori e un’unità di misura secondo me io certi giorni di questa settimana sarei stato campione regionale, credo.
Che dopo poi non è che proprio non ho fatto niente, ho fatto, al mattino andavo a correre, per dire, poi facevo la spesa, poi mangiavo, poi lavavo i piatti, pio facevo il letto, poi leggevo dei libri, ma eran tutte cose, andare a correre, fare la spesa, mangiare, lavare i piatti, fare il letto, leggere i libri, che era come se le facessi perché, facendole, avevo poi meno tempo per fare quel che dovevo fare, cioè avevo meno tempo per scrivere il romanzo, che era una cosa che ogni tanto io mi chiedevo «Ma cosa vuoi fare?», e mi rispondevo che non lo so, cosa volevo fare, cioè, a dire il vero, lo so, io più che altro sto facendo una cosa che l’ho capita una volta questa primavera che sono andato a presentare un libro per bambini, mi hanno chiesto un po’ di mesi fa di scrivere un libro per bambini, e l’ho scritto, non che mi interessasse tanto scrivere dei libri per bambini, ma se scrivevo il libro per bambini, avevo pensato, avrei avuto meno tempo per scrivere il romanzo, mi fa una paura, questo romanzo, mi hanno chiesto di scrivere un libro per bambini e io l’ho scritto e ero andato poi a presentarlo e dentro quel libro lì che ho scritto c’erano delle poesie che non eran poesie perché io, avevo detto ai bambini che c’erano lì a sentir la presentazione, ero uno che, mi piaceva, la poesia, ma non ero capace, di scrivere delle poesie, e dopo un bambino mi aveva chiesto se le illustrazioni le avevo fatte io, era un libro illustrato, quello che avevo scritto, e io gli avevo detto di no, che le aveva fatte un altro che a me disegnare mi piaceva ma non ero tanto capace, di disegnare, e quel bambino che mi aveva chiesto se i disegni li avevo fatti io aveva allargato le braccia aveva detto «Ma non sei capace di fare niente», e secondo me aveva ragione, quel bambino lì, e io, secondo me, quello che sono e quello che faccio, sono uno che non è capace di far niente e che lo fa, devo dire.

[Uscito ieri su Libero]

La differenza tra Dalì e un pazzo

sabato 25 Luglio 2015

Negli ultimi vent’anni anni ho sentito molti discorsi contro la precarietà e a favore del posto fisso, e ogni volta che li sentivo mi veniva in mente di quando, avevo trentatré anni, ero così disperato che avevo avuto il coraggio di immaginare di provare a fare, nella mia vita, un lavoro che mi piaceva, cioè scriver dei libri, e mi ero dato due anni di tempo per vedere se sarei riuscito a scrivere un romanzo e a venderlo, e intanto che provavo a farlo avevo aperto una partita Iva mi ero messo a fare il traduttore, e avevo una fidanzata che aveva dieci anni in meno di me e lei, invece, aveva il posto fisso e ogni tanto ricevevo delle lettere o delle telefonate da delle ditte, la Ferrari, la Barilla o la ditta Cif di Modena, che mi convocavano per dei colloqui per un lavoro che non avevo mai chiesto o che mi avvisavano che, purtroppo, non c’era posto nel loro organico per una figura professionale come la mia ma che ad ogni buon conto avrebbero inserito nei loro database i dati del mio curriculum, e tutte le volte che mi succedeva una cosa del genere io gli rispondevo gli dicevo che li ringraziavo ma io non gli avevo chiesto niente che doveva esserci stato un disguido e gli chiedevo, ad ogni buon conto, di cancellare il mio nome dal loro database, e dopo telefonavo alla mia fidanzata e le dicevo «Ascolta, sei te che hai mandato una richiesta di lavoro alla ditta Cif di Modena e l’hai firmata per me?», «Eh, – mi diceva lei, – ti lamentavi che eri senza soldi, ho fatto male?». «Sì, – le dicevo io, – hai fatto male», e lei mi diceva «Perché?», e io le chiedevo se sapeva da dove veniva la parola dipendente e lei mi diceva che non lo sapeva e io le dicevo che veniva dal latino dependere e le chiedevo se sapeva cosa significa in latino dependere e lei mi diceva di no e io le dicevo che significava pendere in giù e le chiedevo se voleva vedermi pendere in giù dagli uffici della ditta Cif di Modena e lei mi diceva di no e io le chiedevo, allora, come cazzo faceva a permettersi di mandare in giro i miei curricula senza neanche chiedermi il permesso e lei, a quel punto, forse perché le ultime cose le avevo dette un po’ ad alta voce, metteva giù il telefono, mi ricordo, e io mi rendo conto che questa diffidenza nei confronti del posto fisso e questa fascinazione per la precarietà sono mie personali e non possono essere generalizzate e proposte come modello ma, allo stesso modo, in un certo senso, mi è venuto da pensare, in questi giorni, a sentire parlare di reddito minimo di cittadinanza, che se io avessi ventidue anni e non avessi un lavoro e qualcuno mi proponesse il reddito minimo di cittadinanza, cinque o seicento euro per sbarcare il lunario, io andrei nell’ufficio del reddito unico di cittadinanza a darglieli indietro, quei soldi lì, e che se avessi vissuto per esempio in Unione Sovietica, dove non c’era la disoccupazione, io probabilmente avrei fatto di tutto per essere disoccupato, come Venedikt Erofeev, che è uno scrittore russo meraviglioso che era riuscito ad essere disoccupato in Unione Sovietica e che, nei suoi diari, citando Salvador Dalì aveva scritto: «La differenza tra me e un pazzo sta in questo fatto, che io non sono un pazzo».

[uscito ieri su Libero]

Abbiamo salvato l’Europa

sabato 18 Luglio 2015

Questa settimana Matteo Renzi è andato all’Onu a parlare e è arrivato in ritardo e che a chi gli chiedeva il motivo di questo ritardo sembra abbia detto: «Sono arrivato in ritardo perché l’altra sera abbiamo salvato l’Europa». Che a me, quando l’ho sentito, mi ha fatto venire in mente un libro che avevo regalato a mia figlia quando faceva la prima elementare, un libro scritto da Davide Calì e illustrato da Benjamin Chaud che si intitolava Non ho fatto i compiti perché e suggeriva una serie di scuse del tipo: «Non ho fatto i compiti perché un aeroplano pieno di scimmie è atterrato nel mio giardino»; oppure: «Non ho fatto i compiti perché, avevo appena cominciato, siamo stati attaccati dai vichinghi»; o, ancora: «Non ho fatto i compiti perché sono stato rapito da un Ufo»; o, altrimenti: «Non ho fatto i compiti perché il mio cane è stato ingoiato da un altro cane e ho passato tutto il pomeriggio dal veterinario»; o, se no: «Non ho fatto i compiti perché son dovuto andare al funerale del mio gatto»; o, anche: «Non ho fatto i compiti perché siamo rimasti senza riscaldamento e ho dovuto usare i quaderni per accendere il fuoco». Ecco, in questa galleria di scuse memorabili mi sembra ci stia bene anche quella di Matteo Renzi che all’Onu dice: «Sono arrivato in ritardo perché l’altra sera abbiam salvato l’Europa». Che Matteo Renzi, la sua politica potrà essere discutibile, ma le cose che dice e che scrive spesso son memorabili per esempio, quand’era sindaco di Firenze, lui avrebbe voluto rimuovere un affresco di Vasari che c’era su un muro di palazzo vecchio perché dietro quell’affresco, secondo uno studioso americano, avrebbero potuto esserci i resti di un affresco di Leonardo Da Vinci che si chiama La battaglia di Anghiari che, secondo la maggior parte degli storici dell’arte, è stato distrutto da secoli, ma secondo Renzi forse no, ed era così preso, Renzi, da questa possibilità di riesumare La battaglia di Anghiari, che aveva dato l’autorizzazione a fare dei buchi nell’affresco di Vasari e, per convincersi e convincere che fosse una cosa sensata ha scritto, in un libro che si chiama Stil novo ed è uscito per Rizzoli nel 2012 e che era pieno di frasi bellissime come: «Dobbiamo avere la forza di sconfiggere il pensiero debole dei poteri forti, o presunti tali», oppure: «Sono sicuro che se Dante fosse in vita scriverebbe sul suo blog parole al vetriolo contro queste assurdità»; o, ancora, «E invece Dante era un ganzo. Amava l’amore, amava la politica, amava le passioni forti. Detta male: gli garbava vivere»; o, anche: «Io sono convinto che Dante era di sinistra, anche se non lo sapeva», Matteo Renzi si era convinto, dicevo, che sarebbe stato importantissimo far rivivere La battaglia di Anghiari perché La battaglia di Anghiari veniva unanimemente considerato, tra i contemporanei di Leonardo, il capolavoro di Leonardo, e, prevedendo un’obiezione dei propri contemporanei, Renzi aveva aggiunto: «Anche perché diciamo la verità, la Gioconda è più enigmatica che bella», che a me sembra una frase talmente insensata, talmente strampalata e assurda, da essere memorabile, indimenticabile e disarmante, un po’ come «Non ho fatto i compiti perché siamo rimasti senza riscaldamento e ho dovuto usare i quaderni per accendere il fuoco».

[Uscito ieri su Libero]

Rivoluzioni

sabato 11 Luglio 2015

Tre anni fa, in un periodo di grande voga, in Italia, del fenomeno MoVimento 5 stelle, per via del fatto che ero di Parma, che è stato il primo capoluogo di provincia italiano governato dal MoVimento 5 stelle, ogni tanto qualcuno mi chiedeva di scrivere qualcosa in proposito, e una volta, da un quotidiano, mi avevano chiesto di raccontare la rivoluzione del MoVimento 5 stelle e io avevo fatto come avevo fatto 20 anni prima, a Mosca, quando c’era stato l’attacco alla casa bianca di Mosca, estate del 1993 e io, che ero lì per sciver la tesi e abitavo in periferia e quel giorno ero rimasto a casa perché il giorno prima avevo bevuto, quando aveva suonato il telefono di casa mia e avevo risposto mi ero molto stupito di sentir mio fratello che, dall’Italia, mi chiedeva come stavo. E gli avevo risposto «Bene, perché?», «Perché lì c’è la rivoluzione», mi aveva detto mio fratello, e io gli avevo detto «La rivoluzione? Aspetta eh?», e mi ero messo le ciabatte, ero uscito sul balcone, avevo guardato a destra, avevo guardato a sinistra, ero tornato al telefono, avevo detto a mio fratello «Guarda che ti sbagli, qui di rivoluzioni non ce n’è». Ecco, quando da quel quotidiano, che era il foglio, mi avevano chiesto di raccontare la rivoluzione del MoVimento 5 stelle io avevo fatto così, avevo aperto la finestra, a Casalecchio di Reno, dove abito, avevo guardato a destra, avevo guardato a sinistra, ero tornato al computer avevo scritto «La rivoluzione del MoVimento 5 stelle non c’è»; ci avevo messo un po’ più di tempo, sedicimila caratteri, a raccontare questa mancata rivoluzione, dopo il pezzo non era poi uscito per una questione che non ho ancora capito bene e io, da allora, non ho più scritto per il foglio e sono contento di riprendere questa cosa su Libero anche se, devo dire, mi sbagliavo. La rivoluzione del MoVimento 5 stelle c’era, ero io che non l’avevo vista. L’ho capito in questi giorni, quando a Parma il comune ha organizzato una rassegna musicale in piazza Duomo che ha causato un po’ di polemiche perché un po’ di gente diceva che non bisognava farla in piazza Duomo e il Sindaco e l’assessore dicevano che non c’era nessun problema a farla in piazza Duomo e quando, l’altro giorno, la rassegna doveva cominciare, con un concerto di Renzo Arbore e dell’orchestra italiana, più di mille persone che avevano comprato il biglietto sono state tenute in piedi, per strada, per più di due ore e poi mandate a casa perché il concerto non si poteva fare perché non c’erano le autorizzazioni necessarie. Proteste, polemiche, e, qualche giorno dopo, il sindaco di Parma del MoVimento 5 stelle, che si chiama Federico Pizzarotti e era in vacanza negli Stati Uniti d’America, ha scritto un tweet che chiariva tutto: «Non lasciatevi convincere dai disfattisti, la realtà è il mondo come lo vediamo, non come è veramente. La visione del futuro parte da qui». La realtà è il mondo è come lo vediamo, non come è veramente. Il sole, quindi, ruota intorno alla terra, e la rivoluzione del MoVimento 5 stelle è la rivoluzione Tolemaica. Elementare. Che stupido, a non averci pensato.

[uscito ieri su Libero]

Nato nel 1885 e basta

domenica 5 Luglio 2015

Qualche mese fa è uscito un romanzo che si intitola La bambina fulminante, che è il secondo libro per bambini che ho scritto e ogni tanto mi telefonavano le radio mi chiedevano di fare delle interviste e io, due o tre volte, quando mi intervistavano per radio, c’era con me mia figlia che, per iscritto, la chiamo la Battaglia, e una volta la Battaglia mi ha detto «Ma ti chiamano tanto, per intervistarti». «Guarda, – le ho detto io, – con tutti gli scrittori che ci sono, io non capisco come mai mi chiamano proprio a me». «Davvero», mi ha detto lei. Ecco, io, devo dire, quando mi intervistano, cerco di non riascoltarmi o di non rileggermi mai, perché ascoltar la mia voce, veder le mie foto, veder le mie parole virgolettate è una cosa che mi viene vergogna. Mi ricordo una volta, una dozzina di anni fa, ero andato alla scuola Holden di Torino, uno studente mi aveva chiesto di autografargli la prima pagina di un saggio che avevo pubblicato in un libro collettivo che si chiamava Scrivere sul fronte occidentale e me l’aveva aperta davanti e le tre pagine delle cose che avevo scritto eran tutte sottolineate e io ho pensato «Ma cosa le hai sottolineate a fare?»; mi sembrava stranissimo, esser diventato un oggetto di studio, mi sembrava di essere morto, un po’, e allora avevo meno di quarant’anni era ancora presto, credo. Allora per quello mi sono molto sorpreso quando, in questi giorni, sono stato contento nel vedere un’intervista sulla Bambina fulminante pubblicata sul numero di Topolino della settimana scorsa che a rileggerla non mi ha fatto nessuna impressione c’è stata solo una cosa , che mi ha colpito, che quando mi hanno chiesto qual è il mio eroe preferito io ho scritto: «Eroe preferito: Velimir Chlebnikov (è un poeta russo, nato nel 1885, morto nel 1922)». E ero molto contento, che si parlasse su Topolino di Chlebnikov, che è, che Dio l’abbia in gloria, il poeta su cui ho fatto la tesi, che ci ho messo due anni, ed è stato un periodo che, prima che nascesse mia figlia, io credevo fosse stato il periodo più bello della mia vita. Solo che, quando sono andato a rilegger l’intervista su Topolino ho visto che hanno scritto «Velimir Chlebnikov, poeta russo nato nel 1885». E basta. Hanno tolto la morte. E a me è venuto da pensare che su Topolino, in tutti questi anni, in tutte le storie che hanno pubblicato in tutti i paesi dove son distribuiti forse non è morto mai nessuno. Come se ai bambini non si dovesse parlare della morte. E mi son ricordato di una filastrocca di Bruno Tognolini, intitolata Filastrocca per la morte del nonno che a me fa pensare il contrario, che ai bambini si può parlare, della morte, e dice così: « Caro nonno, son passati tanti giorni / Ho aspettato e ho capito che non torni / Ti hanno messo come un seme in un bell’orto / Ho guardato e ho capito che sei morto / Vorrei farti ritornare, ma non posso / Nel mio cuore il dolore ha fatto un fosso / In quel fosso come un seme ti ho sepolto / E per innaffiarti bene ho pianto molto / È venuta primavera e sei fiorito / Quando il pianto dei miei occhi era finito / Ora è maggio e oramai non piango più / Nel giardino son fioriti i gigli blu / E io ancora non ti vedo, però ora so perché / Non ti vedo perché sei dentro di me.»

[uscito ieri su Libero]

Kein Trinkwasser

domenica 28 Giugno 2015

Questa settimana sono stato a Santa Margherita Ligure a fare una lettura, e ho visto delle cose che, probabilmente, sono normalissime ma a me sono sembrate stranissime; per esempio in mare c’era una famiglia di anatre che a me, che sono di Parma, e che con il mare non ho una relazione immediata, quella famiglia lì mi dava l’idea di un mare domestico, di campagna, mi avvicinava al mare, era una specie di invito ad andare e io sono andato ho fatto anche il bagno. Poi, a Santa Margherita, sul lungomare, ci sono delle fontanelle con dei cartelli che c’è scritto «Acqua potabile», che è una cosa, per me, che io sono abituato a pensare che i cartelli ce li mettano nel caso contrario, «Acqua non potabile», come sui treni, e non so perché mi è rimasta in mente anche la traduzione tedesca, «Kein trinkwasser», invece a Santa Margherita ci hanno scritto «Acqua potabile», come se in un prato ci scrivessero «È possibile calpestare le aiuole», o, in una spiaggia, «Qui è possibile girare in costume», o, su una pista ciclabile, «Qui è possibile andare in bicicletta»; sarebbe bello, credo, aver dei cartelli che non segnalino dei divieti, ma dei permessi, non so, per esempio, in un parco: «Qui è possibile giocare a calcio, a pallavolo, a nascondino, a bandiera o a qualsiasi altra cosa vogliate giocare» o, in un parcheggio, «Qui la sosta è permessa», fare proprio anche un cartello, magari, il permesso di sosta, azzurro e giallo, che sono i colori delle bandiere di Città del Vaticano e della Repubblica di San Marino che, nella mia testa, sono due posti dove sono permesse più cose di quelle che sono permesse in Italia e dopo, non c’entrava niente, ma mi è venuto in mente il film The Zero Theorem, di Terry Gilliam, che nelle sale deve ancora uscire ma che io ho visto due anni fa in un festival del cinema e che a un certo momento si vedeva una scritta, sulla vetrina di un negozio, che diceva «Sconti fino al 100 per 100». E poi, non c’entrava niente neanche quello, ma mi è tornato in mente che a Casalecchio di Reno, che è il posto dove abito, poco lontano dalla biblioteca (che, a Casalecchio, si chiama «Casa della conoscenza») c’è una scritta sul muro che dice: «Basta con la disoccupazione giovanile», che è una scritta che a me piace molto e da quando l’ho vista quando giro per Casalecchio mi aspetto sempre di vedere delle scritte sorelle che potrebbero essere, non so: «Abbasso l’invecchiamento precoce», oppure: «Viva gli sconti». O, anche: «Basta brufoli, per favore», o «Viva il beltempo», o «Abbasso il semaforo rosso», per dire. Dopo, a Santa Margherita Ligure, l’altro giorno, in un ristorante, proprio davanti a dov’ero seduto c’era appesa sul muro una padella di rame e dentro la padella avevano attaccato il cartello «Vietato fumare», e io mi son chiesto quand’è che li toglieranno, questi cartelli «Vietato fumare» (insieme alle indicazioni, sui treni, «Carrozza non fumatori», per forza è non fumatori, sono tutte, non fumatori), cioè quand’è che diventerà evidente che fumare non si può e mi son risposto che succederà quando il divieto di fumare lo metteranno nella costituzione: «Articolo 121: Vietato fumare», e succederà presto, secondo me.

[uscito ieri su Libero]

La torta

domenica 21 Giugno 2015

Da qualche anno, in una piccola libreria del centro di Bologna che a me sembra molto bella e che si chiama Modo infoshop, leggo ad alta voce dei romanzi russi; ho letto, a puntate, tutte Le anime morte di Gogol’, tutto Padri e figli di Turgenev, tutto Un eroe dei nostri tempi di Lermontov, tutta La figlia del capitano di Puškin, tutto l’Oblomov di Gončarov, tutto Chadži-Murat di Tolstoj, tutto Mosca-Petuški di Erofeev e, ultimo, ho finito questa settimana, tutto Zoo o lettere non d’amore di Viktor Šklovskij, che è un romanzo epistolare composto dalle lettere che Šklvoskij scrive a una donna di cui è innamorato, che si chiama Alja e che gli ha dato il permesso di scriverle a patto di non parlarle d’amore. Anche Alja scrive delle lettere a Šklovskij, e in una di queste lettere gli racconta di Tahiti e dei suoi fiori e Šklovskij, quando le risponde, le scrive «Tu non sai, ed è giusto che sia così, che molte parole sono proibite. È proibita la primavera. In generale – scrive Šklovskij , – tutte le parole belle hanno perso i sensi. Mi hanno stancato le cose intelligenti e l’ironia. La tua lettera ha suscitato la mia invidia. Come vorrei descrivere semplicemente gli oggetti, come se la letteratura non fosse mai esistita, e si potesse ancora scrivere in modo letterario. Sarebbe bello scrivere qualcosa del tipo “Stupendo è il Dnepr quando è bel tempo. O di una ghirlanda “imperitura”, no, meglio “immortale”». Intanto che leggevo, mi è venuto da pensare che forse le parole hanno perso i sensi non solo in letteratura, anche in politica. E che un politico che sia all’opposizione e che dica che, se andasse al governo lui, abbasserebbe le tasse, è come un romanziere che scrivesse che il Dnepr (o il Tevere, o l’Arno, o il Reno) è stupendo quand’è bel tempo. Sarebbe così bello poter dire, come se la politica esistesse ancora, che va premiato il merito, solo che dirlo equivarrebbe a parlare di politica come se la politica non fosse mai esistita. Come se non sapessimo benissimo che quel politico che dice, dall’opposizione, che lui al governo abbasserebbe le tasse, se mai arrivasse al governo, farebbe come tutti i politici che l’hanno preceduto, cioè farebbe quel che riesce a fare, che, dipende poi dalle persone, ma di solito non è tantissimo (parlo prima di tutto per me). Ecco, a me, devo dire, piacerebbe moltissimo che qualche politico, di governo o di opposizione, facesse un discorso simile a quello che il poeta Iosif Brodskij ha fatto in occasione della cerimonia annuale per il conferimento delle lauree all’Università del Michigan nel 1988, quando ha detto: «La sola cosa che di sicuro capiterà al mondo è di diventare più grande, vale a dire più popolato senza crescere di dimensioni. Non conta con quanta onestà l’uomo che avete eletto prometterà di suddividere la torta, questa non crescerà di dimensioni; in effetti, le porzioni sono destinate a diventare più piccole. Alle luce – o, piuttosto, all’oscurità – di ciò, dovreste far conto sulla cucina di casa vostra, vale a dire prendervi cura voi del mondo». Sembra incredibile, ma è come se la profezia di Brodskij si fosse avverata: il mondo è diventato più popolato e, indipendentemente dall’onestà di quelli che abbiamo eletto, è ora che ce ne prendiamo cura noi, forse, come se la politica non fosse mai esistita.

[Uscito ieri su Libero]

Cose che si son dette prima

sabato 13 Giugno 2015

Questa settimana, a Bologna, alla libreria Ambasciatori, ho presentato un libro che si intitola La Piccola Battaglia portatile; è un libro che è appena uscito, l’avevo presentato solo un’altra volta, a Torino, alla libreria Ponte sulla Dora, e quando ci sono le prime presentazioni dei libri a me piace perché la prima cosa da dire la so già. A Torino, per esempio, ho detto che di solito, quando si presentano i libri, si dicono le cose che si son dette alla presentazione precedente solo che quella lì di Torino, era la prima, non c’era nessuna presentazione precedente mi sono scusato con quelli che erano lì li ho invitati a venire alla presentazione di Bologna che probabilmente avrei avuto delle cose più sensate e più argomentate dare, se venivano la settimana dopo alla libreria Ambasciatori a Bologna, e poi dopo a Bologna, questa settimana, la prima cosa che ho detto ho detto che quella era la seconda presentazione, del libro, l’avevo presentato solo un’altra volta a Torino e di solito, quando si presentano i libri, ho detto a Bologna, si dicono le cose che si son dette alla presentazione precedente solo che quella lì di Torino, era la prima, non c’era nessuna presentazione precedente ho consigliato a chi era a Torino di venire alla presentazione di Bologna, c’è qualcuno che era a Torino? ho chiesto, non c’era nessuno. Dopo ho detto che siccome quella lì era la seconda presentazione, adesso non era esattamente la prima, però questo libro era proprio appena uscito, non potevo dire di conoscerlo benissimo, e mi sono scusato che la presentazione non sarebbe stata probabilmente molto sensata e argomentata e ho invitato i presenti alla presentazione di Bologna a venire alla presentazione successiva che sarà a Santa Margherita Ligure, in piazza Caprera, alle 21 e 30, ho detto, l’altro giorno a Bologna, e poi ho presentato il libro e dopo che l’avevo presentato mi sono accorto che mi ero dimenticato di dire una cosa che nel libro non c’è scritta ho pensato che la scrivo qui così magari la prossima volta, a Santa Margherita Ligure, mi ricordo, di dirla. Quel libro lì è un libro che ci ho messo dieci anni, a scriverlo, son 120 pagine, circa, una pagina al mese, ed è un libro che, più o meno, racconta le cose che succedono a uno che, a quarantun anni, gli nasce una bambina, per esempio questa: «Una volta le stavo cantando Genova per noi, per farla addormentare, e era un po’ che cantavo, e pensavo dormisse, invece si era voltata, mi aveva guardato, mi aveva detto «Scusa, mi ero addormentata». Ecco, credo sia molto difficile, in generale, dire cosa succede, con una figlia, ma io l’impressione che succeda una cosa simile a quella che ti succede quando hai una fidanzata che vi siete appena fidanzati e te, dopo una giornata che hai lavorato, o hai studiato, e hai avuto magari dei dispiaceri, hai pregato magari dei cancheri per qualcosa, la vai a prendere a casa e lei entra in macchina e, d’un tratto, hai la macchina piena di lei e ti sembra un miracolo, una cosa stupefacente; ecco, con le fidanzata è una cosa che, nel corso degli anni, i rapporti poi cambiano, ci si abitua, poi dopo, alle fidanzate, con una figlia, quando sei con tua figlia, quella cosa miracolosa e stupefacente che il mondo è pieno di tua figlia è una cosa che può durar dieci anni e anche di più, credo.

[uscito ieri su Libero]

Erre i zeta

sabato 6 Giugno 2015

Mi hanno chiesto di scrivere un libro che parli del mondo in cui vivo come un mondo completamente diverso da quello in sono nato, cioè che parli dell’Italia contemporanea come un posto completamente diverso dall’Italia degli anni sessanta e io ho accettato e mi son messo a prendere degli appunti e mi sono appuntato che domenica, a Bologna, nel tornare dalla stazione, in bicicletta, in un tratto in cui la pista ciclabile incrocia le strisce pedonali, uno con una maglietta gialla su una macchina blu stava per investirmi, e quando gli ho fatto notare che forse non era il caso, lui mi ha detto che su quelle strisce pedonali non bisognava andare in bicicletta, bisognava portare la bici a mano.
Io gli ho chiesto se gli sembrava un motivo sufficiente per investirmi, lui mi ha detto di sì, io gli ho detto che mi sembrava proprio un ragionamento da persona intelligente, lui mi ha detto che sono un idiota.
Dopo, lunedì, l’unica telefonata che ho ricevuto in tutta la giornata veniva da un call center, era uno che lavorava per Vodafone che voleva chiedermi se volevo cambiare operatore telefonico che c’era un’offerta che avevo la possibilità di fare telefonate per un numero illimitato di minuti per una cifra relativamente bassa io gli ho detto che lo ringraziavo ma non credevo di averne molto bisogno.
Poi, martedì, non c’entra niente, a Cesenatico son passato davanti a un albergo che si chiamava Hotel Riz scritto così: erre i zeta, e ho pensato che mi sarebbe piaciuto passarci un po’ di tempo per vedere cosa ci succedeva dentro.
Dopo, mercoledì, sono sceso per portare la carta per la raccolta differenziata, dentro la cassetta delle lettere c’era un romanzo che mi avevan mandato scritto da un esordiente (o semi-esordiente) e la prima cosa che ho visto è stato che aveva una prefazione.
E solo il fatto che avesse una prefazione mi faceva passare la voglia di leggerlo perché una volta avevo letto una cosa che aveva scritto un critico russo che si chiama Viktor Šklovskij che diceva che gli autori esordienti si dividono in due categorie, quelli con prefazione e quelli senza prefazione, e che quelli senza prefazione di solito duran di più.
Dopo, mercoledì, ho sentito per radio che si parlava di uno che era scomparso prematuramente e mi è venuto da chiedermi se è mai successo che qualcuno sia scomparso al momento giusto o, anche, che qualcuno sia scomparso troppo tardi.
E mi è venuta in mente l’Opera numero 145 delle Opere complete di Learco Pignagnoli che dice così: «Opera numero 145. Prendiamo un tipo come Hitler, era mica meglio ammazzarlo quando era ancora un ragazzo? Tutti avrebbero detto oh che crimine hanno ucciso un ragazzo di quattordici anni! Parlate pure, s’è visto che bella roba ha fatto. Ma se non ci fosse stato lui ci sarebbe stato un altro, Himmler, o Goering, dicono. Intanto cominciamo da lui, cominciamo dai responsabili diretti e individuali».
Ecco, negli anni sessanta non c’erano le piste ciclabili, non c’erano i call center, non c’era la telefonia mobile, non c’era la raccolta differenziata, non c’erano le Opere complete di Learco Pignagnoli c’è talmente tanta di quella roba da scegliere che mi viene da dire che sarà un libro difficilissimo, da scrivere, quel libro lì.

[uscito ieri su Libero]