La differenza tra Dalì e un pazzo
Negli ultimi vent’anni anni ho sentito molti discorsi contro la precarietà e a favore del posto fisso, e ogni volta che li sentivo mi veniva in mente di quando, avevo trentatré anni, ero così disperato che avevo avuto il coraggio di immaginare di provare a fare, nella mia vita, un lavoro che mi piaceva, cioè scriver dei libri, e mi ero dato due anni di tempo per vedere se sarei riuscito a scrivere un romanzo e a venderlo, e intanto che provavo a farlo avevo aperto una partita Iva mi ero messo a fare il traduttore, e avevo una fidanzata che aveva dieci anni in meno di me e lei, invece, aveva il posto fisso e ogni tanto ricevevo delle lettere o delle telefonate da delle ditte, la Ferrari, la Barilla o la ditta Cif di Modena, che mi convocavano per dei colloqui per un lavoro che non avevo mai chiesto o che mi avvisavano che, purtroppo, non c’era posto nel loro organico per una figura professionale come la mia ma che ad ogni buon conto avrebbero inserito nei loro database i dati del mio curriculum, e tutte le volte che mi succedeva una cosa del genere io gli rispondevo gli dicevo che li ringraziavo ma io non gli avevo chiesto niente che doveva esserci stato un disguido e gli chiedevo, ad ogni buon conto, di cancellare il mio nome dal loro database, e dopo telefonavo alla mia fidanzata e le dicevo «Ascolta, sei te che hai mandato una richiesta di lavoro alla ditta Cif di Modena e l’hai firmata per me?», «Eh, – mi diceva lei, – ti lamentavi che eri senza soldi, ho fatto male?». «Sì, – le dicevo io, – hai fatto male», e lei mi diceva «Perché?», e io le chiedevo se sapeva da dove veniva la parola dipendente e lei mi diceva che non lo sapeva e io le dicevo che veniva dal latino dependere e le chiedevo se sapeva cosa significa in latino dependere e lei mi diceva di no e io le dicevo che significava pendere in giù e le chiedevo se voleva vedermi pendere in giù dagli uffici della ditta Cif di Modena e lei mi diceva di no e io le chiedevo, allora, come cazzo faceva a permettersi di mandare in giro i miei curricula senza neanche chiedermi il permesso e lei, a quel punto, forse perché le ultime cose le avevo dette un po’ ad alta voce, metteva giù il telefono, mi ricordo, e io mi rendo conto che questa diffidenza nei confronti del posto fisso e questa fascinazione per la precarietà sono mie personali e non possono essere generalizzate e proposte come modello ma, allo stesso modo, in un certo senso, mi è venuto da pensare, in questi giorni, a sentire parlare di reddito minimo di cittadinanza, che se io avessi ventidue anni e non avessi un lavoro e qualcuno mi proponesse il reddito minimo di cittadinanza, cinque o seicento euro per sbarcare il lunario, io andrei nell’ufficio del reddito unico di cittadinanza a darglieli indietro, quei soldi lì, e che se avessi vissuto per esempio in Unione Sovietica, dove non c’era la disoccupazione, io probabilmente avrei fatto di tutto per essere disoccupato, come Venedikt Erofeev, che è uno scrittore russo meraviglioso che era riuscito ad essere disoccupato in Unione Sovietica e che, nei suoi diari, citando Salvador Dalì aveva scritto: «La differenza tra me e un pazzo sta in questo fatto, che io non sono un pazzo».
[uscito ieri su Libero]