Tre parole preferite
Nel libro di Benjamin Wood Il caso Bellwether c’è un ragazza che a un certo punto chiede al suo fidanzato: «Se dovessi dire qual è la mia parola preferita della lingua inglese, – anzi, la cosa che preferisco in assoluto nel mondo intero – sai quale sarebbe?», «Quale?», gli risponde il fidanzato. «Petricore. – dice lei – Si chiama così l’odore della terra dopo la pioggia», dice. Ecco, io, che ho una certa diffidenza per le cose preferite, il film preferito, il libro preferito, lo scrittore preferito, il regista preferito, il cantante preferito, lo stilista preferito, questa ragazza che dice che la sua parola preferita è Petricore, che significa quella cosa così bella, L’odore della terra dopo la pioggia, io la trovo incantevole. E mi fa venire in mente un libro che mi torna in mente spesso, un libro che è uscito qualche anno fa a cura di Matteo B. Bianchi e si intitola Dizionario affettivo della lingua italiana, e è composto da un centinaio di parole preferite da un centinaio di scrittori italiani contemporanei seguite dal motivo, per cui quella parola lì è la loro parola preferita; è un libro a cui ho partecipato anch’io scegliendo la parola Moldavia e motivando la mia scelta così: «A me piace molto la parola Moldavia. Dire perché mi viene difficile, e nel caso della parola Moldavia forse è inutile; mi vien da pensare che tutti, a sentire la parola Moldavia, pensino “Che bella parola”». E mi son ricordato che quando mi capita di fare dei corsi di scrittura, uno dei compiti che do a chi fa il corso è scegliere la parola alla quale sono più affezionati e dire perché, e c’è un ragazzo romagnolo che si chiama Paolo Ricci che ha scelto la parola pippa che adesso tutte le volte che sento dire Pippa mi ricordo di lui e la sua motivazione era questa: «La parola “pippa” è una parola sottovalutata. Se ad esempio provi a cercarla sul dizionario della lingua italiana non la trovi, e se provi a scriverla al computer il correttore automatico te la sottolinea di rosso, come a suggerirti sei sicuro? Non volevi dire “pipa” o “trippa”? “Pippa” è una di quelle parole che almeno dalle mia parti si usa tantissimo, e è una parola che sta bene ovunque. Con il verbo essere, per esempio: “Sei una pippa” che significa che non sei un soggetto particolarmente dotato in campo fisico o intellettuale o in entrambi. Oppure con il verbo fare: “vai a fare delle pippe” che indica che la tua presenza in questo contesto spazio/temporale non è del tutto gradita o nella forma riflessiva “lui lì mi fa una pippa” espressione di scherno usata dal maschio dominante nei confronti del suo occasionale avversario, o ancora nella sua forma negativa “non farti delle pippe” che è spesso usata per tranquillizzare il tuo interlocutore intento a costruirsi preoccupanti scenari ansiogeni. Ma anche la vituperata parola “Pippa” sembra che finalmente stia vivendo un atteso momento di riscatto: Pippa Middleton, sorella di Kate Middleton moglie del principe William, duca di Cambridge, secondo nella linea di successione al trono britannico. E così la “pippa” da banale e volgare significante dell’autoerotismo maschile sta scalando a grandi falcate la scala sociale e punta inarrestabilmente al trono di Inghilterra». E mi sembra che sarebbe bello, quest’estate, se i lettori di questa rubrica volessero scegliere le loro, di parole preferite, se me le mandassero (paolo.nori@gmail.com). Grazie.
[uscito ieri su Libero]