lunedì 17 Settembre 2018
[Mi hanno chiesto di mettere qui il discorso che ho fatto sabato scorso a Gressoney, l’ho un po’ ricostruito, in fagottone, ci saranno dei refusi, ho aggiunto anche delle cose (Perec non c’era), lo copio qua sotto, è un po’ lungo (tempo di lettura: venti minuti)]
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lunedì 26 Febbraio 2018
Per chi, come me, ha più di cinquant’anni, Massimo D’Alema è una parte del paesaggio politico che esiste da sempre, e descrivere le cose che esistono da sempre mi sembra molto difficile.
Qualche anno fa mi hanno chiesto di scrivere un pezzetto che parlasse dell’Emilia, e io avevo scritto che per uno che abita in Emilia, scrivere un pezzo che parli dell’Emilia era difficilissimo.
E mi era venuto in mente il periodo in cui una rivista mi aveva mandato nel Mississippi a scrivere di blues, e io ci ero andato e molti di quelli ai quali chiedevo cosa pensavan del blues mi guardavano stupiti e poi mi dicevano che loro, del blues, non ne pensavano niente.
E mi ero sentito come credo si sarebbe sentito un americano che fosse venuto in Emilia convinto che tutti gli emiliani ascoltassero il liscio, bevessero il lambrusco e mangiassero i tortellini quando si fosse accorto che c’eran degli emiliani che il liscio non lo ascoltavano e erano astemi e vegetariani.
E mi era tornata in mente una cosa che mi ha raccontato un mio conoscente bolognese che si chiama Jean Talon, il caso di quegli antropologi bolognesi che qualche decennio fa avevano invitato un cantastorie senegalese, uno che scriveva delle storie e poi le metteva in musica e le cantava ai suoi concittadini, l’avevano invitato a Bologna e gli avevano detto di osservare i bolognesi e di scrivere poi una canzone su di loro da cantare ai senegalesi e lui, tra le altre cose, aveva scritto che in Europa, al mattino, succedeva una cosa stranissima, c’era un sacco di gente che andava in giro legata ad un cane.
Che, per uno che non ha mai visto un guinzaglio, e non ha idea neanche di cosa sia, è esattamente quello che succede tutte le mattine, anche sotto casa mia, solo che vederlo è difficile, perché io son così abituato, ai guinzagli, che ho smesso di vederli, e con l’Emilia, mi sembra, succede la stessa cosa, avevo detto, e è per ovviare a questa mancanza di intelligenza nel mio sguardo, che secondo alcuni critici e alcuni teorici dell’arte esistono l’arte e la poesia.
L’arte, ha scritto una volta un filosofo che si chiama Agamben, non serve per rendere visibile l’invisibile, serve per rendere visibile il visibile, e questa cosa, con l’Emilia, a me è successa grazie alla fotografie di Luigi Ghirri, avevo detto.
Prima di vedere le fotografie di Luigi Ghirri, se pensavo all’Emilia io, oltre che al ballo liscio, al lambrusco e ai tortellini, pensavo a poche cose, ai pioppi e al fiume Po, prevalentemente; c’erano queste immagini abusate che non avevano niente a che fare con le mie giornate, abito lontano dai pioppi e dal Po, ma che erano da qualche parte nella mia testa dentro una cartellina con su scritto «Emilia».
Dopo che ho visto le fotografie di Ghirri, io mi sono accorto che in Emilia ci sono anche i distributori di benzina, i semafori, le fermate dell’autobus, la neve, i bambini che si vestono da Batman per carnevale, i gommisti, le saracinesche, le pubblicità, il cielo.
Lui, Ghirri, con le sue fotografie, è come se avesse preso con due dita l’imballaggio che avvolgeva l’Emilia, sotto casa mia, e avesse tolto dal loro imballaggio che li rendeva invisibili i distributori di benzina, i semafori, le fermate dell’autobus, la neve, i bambini che si vestono da Batman per carnevale, i gommisti, le saracinesche, le pubblicità e il cielo che c’erano sotto casa mia e io adesso, è incredibile, riesco a vederli, e la cosa è ancora più incredibile se si considera che Ghirri, sotto casa mia, probabilmente, non c’è mai neanche passato.
Ecco: con l’Emilia, il discorso torna, con Massimo D’Alema, non so bene come fare.
Nel primo pezzo di questa serie sui politici, ho citato una cosa di Kurt Vonnegut che mi viene sempre in mente quando penso alla politica: «C’è un tragico difetto nella nostra preziosa Costituzione, e non so come vi si possa rimediare – scrive Vonnegut –. È questo: solo gli scoppiati vogliono candidarsi alla presidenza. E era così già alle superiori. Solo gli alunni più palesemente disturbati si proponevano per fare i rappresentanti di classe».
Be’, D’Alema, mi sembra evidente, fin dalla prima elementare si è proposto per fare il rappresentante di classe. Si capisce benissimo. Non c’è quasi neanche bisogno che lo si dica.
D’Alema è, da sempre, parte del nostro paesaggio politico, e non una parte di cui andare fieri, secondo me.
A me è successo più volte, come a tutti, credo, di portar degli stranieri in giro per l’Italia, e non gli ho mai detto «Vieni, vieni, che ti faccio vedere D’Alema». Non ci ho mai neanche lontanamente pensato.
Mi è successo invece una volta che ho sentito un signore che, parlando di D’Alema, ne ha dato una definizione che mi è sembrata illuminante e che è anche un po’ una previsione su come andranno a finire queste elezioni. Quel signore si chiama Piergiorgio Bellocchio, e una volta, di D’Alema, gli ho sentito dire: «Dicon tutti che è così intelligente così intelligente, la prende sempre nel culo. Era meglio uno più stupido».
[uscito ieri sulla Verità]
venerdì 20 Ottobre 2017
Dopo oggi allora ho pensato che forse lo faccio davvero, un libro che si chiama La grande Russia portatile. Che comincia parlando del cielo. Che Ghirri, il fotografo, che per un anno ha fotografato i cieli emiliani, se fosse stato russo avrebbe fatto delle fotografie tutte diverse, secondo me.
lunedì 13 Febbraio 2017
Voleva sottolineare la necessità non tanto di riappropriarsi dell’ambiente, ma dei relazionarsi di nuovo con l’ambiente nel suo insieme. Sono riflessioni che riguardano anche il cinema. Nel cinema le storie vengono girate prevalentemente negli studi, quindi, di nuovo rivelano un rapporto con l’ambiente e con la realtà pesantemente mediato, indiretto. Lo stesso accade in letteratura. La pittura segue, forse giustamente, altre strade. La televisione, al 99%, è piena di facce. Quello che abbiamo attorno non viene mai rappresentato. Questa negazione dello spazio in cui viviamo credo sia un dato storico molto significativo: all’incapacità di rapportarci con lo spazio, con l’ambiente, corrisponde un’assenza di rappresentazione.
[Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, Macerata, Quodlibet 2010, pp. 56.57]
venerdì 6 Gennaio 2017
È che noi cerchiamo ovunque l’assoluto e dovunque troviamo soltanto oggetti, e le cose non sono più sorprendenti.
[Luigi Ghirri, Still life, Milano, Baldini Castoldi Dalai 2005, p. 9]
sabato 13 Agosto 2016
La mia storia personale è un po’ confusa, si tesse fra il castello e il caffè davanti alla fabbrica. Tuttavia non intendevo trasformare le provincie nel simbolo dell’universo, ma le ritenevo un adeguato punto di partenza poiché il vero simbolo della provincia è essere incapace di narrare la propria storia.
[Luigi Ghirri, Pensare per immagini, Milano, Mondadori Electa 2013, p. 244]
lunedì 28 Marzo 2016
Capisco che Louis Armstrong possa andare a cantare al Festival di Saremo per divertirsi, diverso è il caso di Dee Dee Bridgewater che canta le canzoni dei Pooh. […]
Prendiamo l’ultimo grande, Prince, e il suo ultimo album Sign of the Times. È un prodotto miserrimo, al massimo da questa cosa può uscire una tournée e basta; a livello sociale non ne viene fuori nient’altro. Questi meccanismi passano anche attraverso il cinema: le uniche operazioni che si possono fare sono cose come Batman, Dick Tracy, dietro le quali c’è una sinergia produttiva che arriva fino alla vendita di magliette e caramelle. A quel punto la musica non è più niente, è identica alla caramella, alla matita di Batman, alla gomma di Batman, alla maglietta.
[Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, Macerata, Quodlibet 2010, pp. 234-235]
martedì 3 Marzo 2015
Paradossalmente proprio gli angoli più consueti, quelli canonici, quelli che abbiamo sempre sotto gli occhi e che abbiamo sempre visto, sembrano diventare misteriosamente pieni di novità e aspetti imprevisti. Affidandoci ad alcuni stereotipi consolidati abbiamo dimenticato l’enorme potere di rivelazione che ogni nostro sguardo può
contenere.
[Luigi Ghirri, Pensare per immagini, Milano, Mondadori Electa 2013, p. 200]
martedì 23 Settembre 2014
C’è stato un filosofo, del quale ho letto recentemente un’intervista, che ha dato la definizione forse più bella che abbia mai sentito della fotografia. Ha detto: «La fotografia non è un problema, la fotografia è un enigma, perché il problema ha una soluzione e l’enigma è un problema che non ha soluzione». Non è una definizione, è probabilmente un gioco di parole per non definire, però all’interno di questa definizione di enigma io mi ritrovo pienamente.
[Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, Macerata, Quodlibet 2010, p. 24]