Senza ridere

venerdì 11 Marzo 2016

perec sono nato

Non so cosa mi aspettassi dalla scrittura quando, quindici anni fa, ho cominciato a scrivere. Ma mi sembra di cominciare a capire, al tempo stesso, l’attrazione che la scrittura esercita – e continua a esercitare – su di me, e la frattura che tale attrazione svela e racchiude.

La scrittura mi protegge. Vado avanti facendomi scudo delle mie parole, delle mie frasi, dei miei paragrafi abilmente concatenati, dei miei capitoli astutamente programmati. Non manco d’ingegnosità.

Ho ancora bisogno d’essere protetto? E se lo scudo diventasse giogo?

Eppure bisognerà che un giorno cominci a servirmi delle parole per smascherare il reale, per smascherare la mia realtà.

È più o meno così che, oggi, posso definire il mio progetto. Ma so che non potrà realizzarsi completamente se non il giorno in cui avremo scacciato, una volta per tutte, il Poeta dalla città: il giorno in cui potremo, senza ridere, senza avere ancora un volta l’impressione di una derisione, di un simulacro o di un’azione clamorosa, prendere un piccone o una pala, un martello pneumatico o una cazzuola, non è tanto che avremo fatto qualche progresso (poiché non sarà certamente più a questo livello che si misureranno le cose), ma che il nostro mondo avrà finalmente cominciato a liberarsi.

[Georges Perec, Sono nato, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 1992, p. 64]

Due risposte di Georges Perec

domenica 7 Dicembre 2014

perec

Scrivere, per me, è un modo di riorganizzare le parole del dizionario. O i libri che ho già letto. Abbastanza banale, come vede.

Non tanto: quasi tutti scrivono per cambiare il mondo…

Quello è un altro paio di maniche! Dunque, dicevo, all’inizio ci vuole una certa disponibilità nei confronti di un insieme. Di un catalogo, di un corpus. Si hanno a disposizione un certo numero di elementi e con questi si deve costruire qualcosa. Il primo lavoro che si rende necessario è una ridistribuzione, una riorganizzazione, quindi una disponibilità. Voglio dire che non ci si può accontentare di forme fisse, di modelli dati, di congegni prestabiliti. Da un certo punto di vista: «D’amore morir mi fanno, bella marchesa, i vostri begli occhi»(3), è l’inizio della letteratura. Il risultato non è eccelso, ma il procedimento è lo stesso: quando M. Jourdain capisce che, sebbene il senso resti lo stesso, l’effetto «poetico» della sua frase cambia con l’ordine delle parole, scopre la letteratura. E credo che il primo metodo che si può utilizzare, per arrivare a questa consapevolezza, sia il gioco. Ecco cosa unisce il fatto che amo giocare con il fatto che amo scrivere. La vita istruzioni per l’uso è nato dall’idea di un puzzle. Il puzzle ha fatto nascere un uomo che fabbricava puzzle. E l’intero libro è venuto su come una casa le cui stanze si dispongono come i pezzi di un puzzle. E tutto questo ha dato una macchina per raccontare molte storie.

(3) Molière, Le bourgeois gentilhomme

L’intervista completa è qui: clic

Uno yogurt

martedì 30 Settembre 2014

Georges Perec, L'infra-ordinario,

 

 

 

Settantacinque formaggi, un formaggio di pecora, due formaggi italiani, un formaggio d’Auvergne, un boursin, due brillat-savarin, undici brie, un cabécou, quattro caprino, due crottin di capra, otto camembert, quindici cantal, un formaggi siciliani, un formaggi sardi, un époisses, un murols, tre ricotta, un ricotta di capra, nove fontainebleau, cinque mozzarella, cinque munster, un reblochon, una raclette, un stilton, un saint-marcellin, un saint-nectaire, uno yogurt.

[Georges Perec, Tentativo d’inventario degli alimenti liquidi e solidi che ho ingurgitato durante l’anno millenovecentosettanquattro, in L’infra-ordinario, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 1994, p. 94]

Il sentimento tenue

venerdì 21 Febbraio 2014

Georges Perec, Sono nato

 

 

 

 

 

 

Sono nato in Francia, sono francese, ho un nome francese, Georges, un cognome francese o quasi: Perec. La differenza è irrilevante: non c’è accento acuto sulla prima e del mio cognome, perché Perec è la grafia polacca di Peretz. Se fossi nato in Polonia, mi sarei chiamato, mettiamo, Mordechai Perec, e tutti avrebbero saputo che ero ebreo. Ma non sono nato in Polonia, per mia fortuna, e ho un nome quasi bretone, che tutti scrivono Pérec o Perrec: il mio cognome non si scrive esattamente come si pronuncia.
A questa contraddizione insignificante si associa il sentimento tenue, ma insistente, insidioso, ineluttabile, di essere in un certo modo straniero rispetto a qualcosa di me stesso, di essere «diverso», ma non tanto diverso dagli «altri» quanto diverso dai «miei»; non parlo la lingua che parlavano i miei genitori, non condivido nessuno dei ricordi che essi poterono avere. Qualcosa che era loro, che faceva di loro quel che erano, la loro storia, la loro cultura, la loro speranza, quel qualcosa non mi è stato tramandato.

[Georges Perec, Sono nato, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 1992, pp. 83-84]

Atto primo

giovedì 28 Novembre 2013

perec

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una voce (off): A nord, niente. A sud, niente. A est, niente. A ovest, niente.
Al centro, niente.
Cala il sipario. Fine del primo atto.

[Georges Perec, Specie di spazi, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 2009, p. 13]

Senza soluzione di continuità

venerdì 1 Novembre 2013

Perec - Mi ricordo cop._Varianti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È appena uscita, per Bollati Boringhieri, la ristampa di uno stranissimo libro dello scrittore francese Georges Perec. Si intitola Mi ricordo, è uscito, in origine, nel 1978 ed è composto da 480 frasi che cominciano tutte con «Mi ricordo». Per esempio: «Mi ricordo: “Grégoire e Amédée presentano Grégoire e Amédée in Grégoire e Amédeé”»; «Mi ricordo che Alain Delon faceva il commesso salumaio (o il garzone di macellaio?) a Montrouge»; «Mi ricordo che Jean Gabin, prima della guerra, doveva, per contratto, morire alla fine di ogni film»; «Mi ricordo che Kruscev ha sbattuto una scarpa sulla tribuna dell’O.N.U.»; «Mi ricordo che la mia prima bicicletta aveva le gomme piene»; «Mi ricordo che Fidel Castro era avvocato»; «Mi ricordo la sorpresa provata scoprendo che “cow-boy” vuol dire “vaccaro”»; «Mi ricordo che a Stendhal piacevano gli spinaci»; «Mi ricordo che una delle prime decisioni prese da de Gaulle, una volta giunto al potere, fu di eliminare la cintura dalle uniformi»; «Mi ricordo la fatica per capire che cosa volesse dire l’espressione “senza soluzione di continuità”».
Alla fine del libro ci sono alcune pagine bianche che, su richiesta dell’autore, l’editore ha lasciato per il lettore che volesse annotare i «Mi ricordo» suscitati dalla lettura dal libro di Perec. Continua a leggere »

191

sabato 19 Ottobre 2013

Perec - Mi ricordo cop._Varianti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

191

 

Mi ricordo la sopresa provata scoprendo che «cow-boy» vuol dire «vaccaro».

 

[Georges Perec, Mi ricordo, traduzione di Dianella Selvatico Estense, Torino, Bollati Boringhieri 2013, p. 41]

Come?

domenica 6 Ottobre 2013

perec

 

 

 

 

 

 

 

 

Quello che succede davvero, quello che viviamo, il resto, tutto il resto, dov’è? Quello che succede tutti i giorni e che torna a succedere ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, come renderne conto, come interrogarlo, come descriverlo?

 

[Georges Perec, Approcci di che cosa, 1973, si trova qui: clic]

Cosa c’è

martedì 21 Maggio 2013

perec, infra-ordinario

 

 

 

 

 

 

 

Cosa c’è sotto la carta da parati?
Quanti gesti occorrono per comporre un numero telefonico? Perché?
Perché non si trovano le sigarette in drogheria? Perché no?

[Georges Perec, L’infra-ordinario,traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 1994, p. 14]

Parole incrociate da consegnare

giovedì 25 Aprile 2013

perec riga 4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lavoro tutti i giorni. Talvolta mi impongo di passare una giornata intera senza scrivere una sola riga, ma è abbastanza difficile. Lavoro a casa mia, in una stanza appositamente organizzata per questo, in cui si trova radunato tutto quanto mi è necessario per il lavoro. Ogni tanto vado a lavorare fuori, in biblioteca o nei bar.
Lavoro piuttosto velocemente e molto. Circa dieci ore al giorno, dalle dieci del mattino alle otto di sera. Solo eccezionalmente lavoro la sera o la notte.
Anche quando sono in pieno nella redazione di un romanzo, è raro che possa lavorarvi dieci ore di filato, eccezion fatta per i giorni in cui lo ricopio battendolo a macchina. Di fatto ho quasi sempre una decina di impegni da assolvere, di cui certi imposti dall’esterno (lettura di bozze, articoli promessi, letture obbligate, parole incrociate da consegnare eccetera) mentre altri derivano dal programma che mi sono più o meno precisamente fissato all’inizio dell’anno.
Un certo numero di queste incombenze abituali mi serve come rodaggio; questo si verifica soprattutto per le parole incrociate e per le contrainte dure regolate (oulipiane) che faccio un po’ come un pianista che fa le scale.

[Georges Perec, Conversazione con Jean-Marie Le Sidanier, in Georges Perec, Riga 4, traduzione di Elio Grazioli, cura di Andrea Borsari, Milano, Marcos y Marcos 1993, p. 93]