venerdì 17 Febbraio 2023

Quello che succede davvero, quello che viviamo, il resto, tutto il resto, dov’è? Quello che succede tutti i giorni e che torna a succedere ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, come renderne conto, come interrogarlo, come descriverlo?
martedì 16 Marzo 2021

Era un tizio, si chiamava Karamanlis o qualcosa del genere: Karamanz? Karawak? Karacova? Insomma: Karacoso. Comunque sia, un nome per niente banale, un nome che vi diceva qualcosa, che non si dimenticava facilmente.
[Georges Perec, Quale motorino con il manubrio cromato giù in fondo al cortile?, traduzione di Emanuelle Caillat, Roma, e/o 2004, p. 11]

lunedì 29 Ottobre 2018

sullo zoccolo della statua della Libertà
sono stati incisi i celebri versi di Emma Lazarus:
vengano a me quelli che son stanchi,
quelli che son poveri,
le vostre folle ammassate assetate
d’aria pura,
i miserabili rifiuti delle vostre terre
sovrappopolate
mandateli a me
quei senza patria sballottati dalla tempesta
io levo la mia lampada presso la Porta d’Oro
ma nello stesso tempo erano entrate in vigore una serie
di leggi per controllare, e poco più tardi contenere
l’afflusso degli emigranti
nel corso degli anni le condizioni di ammissione
divennero sempre più rigide, e a poco a poco,
si richiusero le porte di quest’America favolosa,
di quest’eldorado dei tempi moderni dove, così
si raccontava ai bambini in Europa, le strade erano
lastricate d’oro, e la terra era coì vasta e così generosa
che tutti potevano trovare il loro posto
[Georges Perec, Ellis Island. Storie di erranza e di speranza, traduzione di Maria Sebregondi, Milano, Archinto 2017, pp. 62, 63]

sabato 20 Ottobre 2018
12 cose che se avessi tempo farei prima di morire
1. Guidare una vecchia Renault 4, quella con il cambio sotto al cruscotto.
2. Entrare in una libreria delle Paoline e chiedere una copia delle 120 giornate di Sodoma di del Marchese de Sade.
3. Nel bel mezzo di un temporale estivo, uscire di casa con il costume e gli infradito, una saponetta in mano, e farmi una doccia come se fossi in spiaggia.
4. Salire sull’albero di una barca a vela e gridare alla prima nave in vista: “Ehi tu, hai veduto la balena bianca!”
5. Affacciarmi alla finestra in una notte di plenilunio e pisciare, come nella poesia di Esenin, contro il disco della luna.
6. Scrivere i seguenti saggi di argomento musicale: “Storia del cromatismo da Gesualdo da Venosa a Toto Cutugno” ; “Estetica del macabro nelle canzoni del primo Pippo Franco”; “Dimenticare Patrizia: appunti per una fenomenologia di Tony Tammaro”.
7. Leggere l’Ulisse di Joyce tutto d’un fiato, facendo in modo che la lettura duri ventiquattro ore precise precise.
8. Viaggiare indietro nel tempo fino agli anni ‘50, e andare in un teatro qualsiasi per vedere recitare Edoardo de Filippo dal vivo .
9. Rivedere la casa dove ho vissuto con la mia famiglia fino ai 18 anni, prima che mi trasferissi, e che ormai anche miei hanno lasciato da più di 10 anni.
10. Salvare un esemplare ferito di tartaruga marina (Caretta Caretta, Linnaeus 1758).
11. Imparare a nuotare come si deve a stile libero.
12. Andare a una festa di piazza di un qualsiasi paesino di provincia della Campania o della Ciociaria e mescolarmi alla folla che assiste adorante a un concerto di Gigione (clic).
[Domenico Arenella, oggi, in Salaborsa, ci ha letto questa sua versione sapdista di Alcune delle cose che dovrei pur fare prima di morire, di Georges Perec, e se qualcuno vuole scriverne altre e mandarle alla redazione di Qualcosa (tosorelaentertainment@gmail.com) noi siamo contenti]

lunedì 17 Settembre 2018

[Mi hanno chiesto di mettere qui il discorso che ho fatto sabato scorso a Gressoney, l’ho un po’ ricostruito, in fagottone, ci saranno dei refusi, ho aggiunto anche delle cose (Perec non c’era), lo copio qua sotto, è un po’ lungo (tempo di lettura: venti minuti)]
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martedì 28 Novembre 2017

Si è di fronte al vuoto e tutt’a un tratto bisogna buttarsi. Tutt’a un tratto bisogna rifiutare la propria paura, tutt’a un tratto bisogna rifiutare di rinunciare. Ho fatto tredici lanci e tredici volte mi sono lanciato. Tredici volte ho avuto voglia di rinunciare, ho avuto voglia di dirmi: «Bene, non fa niente, dopotutto, se adesso rifiuto, tanto ho il brevetto, non ha nessuna importanza, posso farmi vedere fifone». Non era esattamente questo… Credo che, se una sola volta ho avuto l’intuizione, ho avuto la sensazione di essere… diciamo: coraggioso – ma non nel senso banale, nel senso in cui si intende, nel senso del superamento continuo… era di fare questo atto assolutamente gratuito, di buttarsi nel vuoto da quattrocento metri, questo atto che aveva risonanze… risonanze fasciste. Davvero: risonanze fasciste. Perché il fatto di essere paracadutista, non è una cosa qualsiasi. Vuol dire vivere in un ambiente composto da individui che aspirano a una sola cosa, a distruggere continuamente la Repubblica. Ecco, insomma, l’Algeria dei colonnelli, sappiamo quello che è. Ebbene, bisognava, nonostante tutto, lanciarsi, perché se non lo avessi fatto, non credo che potrei essere qui stasera. Bisognava ad ogni costo che mi lanciassi nel vuoto, e che ad ogni costo accettassi quella difficoltà che adesso paragono alle difficoltà dei giorni a venire, che paragono alla situazione… forse perché sono un intellettuale, perché sono portato a fare paragoni sempre un po’ particolari… Bisognava assolutamente lanciarsi. Non era possibile fare altrimenti. Era necessario saltare, necessario buttarsi per essere convinti che tutto ciò forse poteva avere un senso, che poteva avere ripercussioni che perfino noi stessi ignoravamo. /…/ Era perfino importante da un punto di vista più generale: la ragione per cui siamo qui è che, più o meno, facciamo tutti parte di una rivista, e che questa rivista sta cercando la sua via, e la sta cercando da due anni. È solo una mia impressione personale: io credo che debba lanciarsi, deve accettare di buttarsi. È tutto.
[Georges Perec, Sono nato, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 1992, pp. 38-4o]

giovedì 1 Settembre 2016

Lavoro tutti i giorni. Talvolta mi impongo di passare una giornata intera senza scrivere una sola riga, ma è abbastanza difficile.
[Georges Perec, Conversazioni con Jean-Marie Le Sidaner, in Riga 4, Georges Perec, a cura di Andrea Borsari, Milano, Marcos y Marcos 1993, p. 91]
giovedì 30 Giugno 2016


venerdì 11 Marzo 2016

Non so cosa mi aspettassi dalla scrittura quando, quindici anni fa, ho cominciato a scrivere. Ma mi sembra di cominciare a capire, al tempo stesso, l’attrazione che la scrittura esercita – e continua a esercitare – su di me, e la frattura che tale attrazione svela e racchiude.
La scrittura mi protegge. Vado avanti facendomi scudo delle mie parole, delle mie frasi, dei miei paragrafi abilmente concatenati, dei miei capitoli astutamente programmati. Non manco d’ingegnosità.
Ho ancora bisogno d’essere protetto? E se lo scudo diventasse giogo?
Eppure bisognerà che un giorno cominci a servirmi delle parole per smascherare il reale, per smascherare la mia realtà.
È più o meno così che, oggi, posso definire il mio progetto. Ma so che non potrà realizzarsi completamente se non il giorno in cui avremo scacciato, una volta per tutte, il Poeta dalla città: il giorno in cui potremo, senza ridere, senza avere ancora un volta l’impressione di una derisione, di un simulacro o di un’azione clamorosa, prendere un piccone o una pala, un martello pneumatico o una cazzuola, non è tanto che avremo fatto qualche progresso (poiché non sarà certamente più a questo livello che si misureranno le cose), ma che il nostro mondo avrà finalmente cominciato a liberarsi.
[Georges Perec, Sono nato, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 1992, p. 64]

domenica 7 Dicembre 2014

Scrivere, per me, è un modo di riorganizzare le parole del dizionario. O i libri che ho già letto. Abbastanza banale, come vede.
Non tanto: quasi tutti scrivono per cambiare il mondo…
Quello è un altro paio di maniche! Dunque, dicevo, all’inizio ci vuole una certa disponibilità nei confronti di un insieme. Di un catalogo, di un corpus. Si hanno a disposizione un certo numero di elementi e con questi si deve costruire qualcosa. Il primo lavoro che si rende necessario è una ridistribuzione, una riorganizzazione, quindi una disponibilità. Voglio dire che non ci si può accontentare di forme fisse, di modelli dati, di congegni prestabiliti. Da un certo punto di vista: «D’amore morir mi fanno, bella marchesa, i vostri begli occhi»(3), è l’inizio della letteratura. Il risultato non è eccelso, ma il procedimento è lo stesso: quando M. Jourdain capisce che, sebbene il senso resti lo stesso, l’effetto «poetico» della sua frase cambia con l’ordine delle parole, scopre la letteratura. E credo che il primo metodo che si può utilizzare, per arrivare a questa consapevolezza, sia il gioco. Ecco cosa unisce il fatto che amo giocare con il fatto che amo scrivere. La vita istruzioni per l’uso è nato dall’idea di un puzzle. Il puzzle ha fatto nascere un uomo che fabbricava puzzle. E l’intero libro è venuto su come una casa le cui stanze si dispongono come i pezzi di un puzzle. E tutto questo ha dato una macchina per raccontare molte storie.
(3) Molière, Le bourgeois gentilhomme
L’intervista completa è qui: clic
