venerdì 19 Aprile 2013

e, sotto, qualcosa come una serenità segreta legata all’ancoraggio nello spazio, all’ancoraggio sulla croce, di questa morte che finiva, finalmente, di essere astratta (tuo padre è morto, o, a scuola, quando, al rientro, in ottobre, si compilavano le schedine per i professori che non vi conoscevano: professione del padre: deceduto)
[Georges Perec, W ou le souvenir d’enfance, Paris, Denoël 1975, p. 54]

giovedì 18 Aprile 2013

Non ho ricordi d’infanzia. Fino ai dodici anni, più o meno, la mia storia occupa qualche riga: ho perduto mio padre a quattro anni, mia madre a sei; ho passato la guerra in varie pensioni di Villard-de-Lans. Nel 1945, la sorella di mio padre e suo marito mi hanno adottato.
Questa assenza di storia mi ha, a lungo, rassicurato: la sua secchezza oggettiva, la sua apparente evidenza, la sua innocenza mi proteggevano, ma da cosa mi proteggevano, se non esattamente dalla mia storia, dalla mia storia vissuta, dalla mia storia vera, dalla mia storia di me che non ero, si può supporre, né secco, né oggettivo, né apparentemente evidente, né evidentemente innocente?
[Georges Perec, W ou le souvenir d’enfance, Paris, Denoël 1975, p. 13]
mercoledì 17 Aprile 2013

Ho fatto tre errori ortografici nella sola trascrizione di questo cognome: Szulewicz invece di Schulevitz.
[Georges Perec, W ou le souvenir d’enfance, Paris, Denoël 1975, p. 55]

mercoledì 6 Marzo 2013

Vivere, è passare da uno spazio all’altro, cercando il più possibile di non farsi troppo male. O, se si preferisce:
ATTO PRIMO
Una voce (off): A nord, niente. A sud, niente. A est, niente. A ovest, niente.
Al centro, niente.
Cala il sipario. Fine del primo atto.
ATTO SECONDO
Una voce (off): A nord, niente. A sud, niente. A est, niente. A ovest, niente.
Al centro, una tenda.
Cala il sipario. Fine del secondo atto.
TERZO E ULTIMO ATTO
Una voce (off): A nord, niente. A sud, niente. A est, niente. A ovest, niente. Al centro, una tenda, e,
davanti alla tenda,
un attendente che si sta lucidando un paio di stivali
CON LUCIDO «LION NOIR»!
Cala il sipario. Fine del terzo e ultimo atto
(Autore ignoto. Imparato verso il 1947, ricordato nel 1973)
[Georges Perec, Specie di spazi, traduzione di Roberta Delbono, Milano, Bollati Boringhieri 2009, pp. 12-13]

venerdì 26 Ottobre 2012

Meditare su questi due pensieri geniali (e tra l’altro complementari):
Penso spesso alla quantità di manzo che occorrerebbe per fare un brodo con il lago di Ginevra.
PIERRE DAC L’os à moelle
Gli elefanti sono generalmente disegnati più piccoli che nella realtà, ma una pulce sempre più grande.
JONATHAN SWIFT Pensieri su svariati argomenti
[Georges Perec, Giocare con lo spazio, in Specie di spazi, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 2009, p. 103]

lunedì 15 Ottobre 2012

Metto un quadro su un muro. Poi dimentico che c’è un muro. Non so più che cosa c’è dietro il muro, non so più che c’è un muro, non so più che questo muro è un muro, non più che cos’è un muro. Non so più che nel mio appartamento ci sono dei muri, e che se non ci fossero muri, non ci sarebbe l’appartamento. Il muro non è più ciò che delimita e definisce il luogo in cui vivo, ciò che separa dagli altri luoghi in cui gli altri vivono, non è più che il supporto per il quadro. Mi dimentico anche il quadro, non lo guardo più, non lo so più guardare. Ho messo il quadro sul muro per dimenticare che c’era un muro, ma dimenticando il muro dimentico anche il quadro. Ci sono i quadri perché ci sono i muri. Bisogna poter dimenticare che ci sono dei muri e quindi non si è trovato niente di meglio che i quadri. I quadri cancellano i muri. Ma i muri uccidono i quadri. Oppure, bisognerebbe cambiare di continuo, o il muro, o il quadro, mettere senza posa altri quadri sui muri, o cambiare sempre il quadro di muro.
Si potrebbe scrivere sui propri muri (come si scrive a volte sulle facciate delle case, sulle palizzate dei cantieri, sulle mura delle prigioni), ma non lo si fa che rarissimamente.
[Georges Perec, Specie di spazi, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 1989, p. 50]

venerdì 25 Novembre 2011

Che cosa sono le mele? Perché le mele? Con quale diritto il melo? Si sa benissimo che il melo è quasi sempre sicuro del suo buon diritto e che risulta inutile, se non addirittura pericoloso, interrogarsi sulla validità, sulla pertinenza della sua esistenza e della sua funzione. Ma, prima o poi, arriva anche il giorno in cui quella che viene comunemente chiamata evidenza cessa di adempiere al proprio compito, in cui non basta più camminare per provare il movimento, o respirare per vivere. Da lì in poi, tutto diventa domanda ma domanda senza risposta: appena emesso, il quesito sembra avere come unico effetto quello di distruggere: cercando la verità, l prova, chi non fa che interrogarsi incontra solo il dubbio. E tra l’altro, come interrogare quando l’io che interroga non è neanche più del tutto sicuro d’esistere?
[Georges Perec, Sono nato, tr. di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 1992, p. 41]

sabato 15 Ottobre 2011

Si potrebbe scrivere sui propri muri (come si scrive a volte sulle facciate delle case, sulle palizzate dei cantieri, sulle mura delle prigioni), ma non lo si fa che rarissimamente.
[Georges Perec, Specie di spazi, cit., p. 50]

martedì 22 Marzo 2011

Penso a te, spesso
talvolta entro in un caffè, mi siedo vicino alla porta, ordino un caffè
poso sul tavolino di finto marmo il pacchetto di sigarette, una scatola di fiammiferi, un blocco, il pennarello
giro a lungo col cucchiaino il caffè nella tazza (eppure non zucchero il caffè, lo bevo lasciando sciogliere una zolletta in bocca, come la gente del Nord, come i russi e i polacchi quando bevono il tè)
Faccio finta di essere preoccupato, di riflettere, come se dovessi prendere una decisione
In alto e a destra del foglio di carta, scrivo la data, a volte il luogo, a volte l’ora, faccio finta di scrivere una lettera
scrivo lentamente, molto lentamente, il più lentamente possibile, traccio, disegno ogni lettera, ogni accento, verifico ogni segno di punteggiatura (…)
Fuori c’è un po’ di sole
il caffè è quasi vuoto
due imbianchini bevono un rum al banco, il padrone sonnecchia dietro alla cassa, la cameriera pulisce la macchina del caffè
penso a te
cammini nella strada in cui abiti, è inverno, hai rialzato il bavero della tua pelliccia di lupo (…)
[Georges Perec, Specie di spazi, cit., pp. 66-67]

martedì 15 Marzo 2011

Era un tizio, si chiamava Karamanlis o qualcosa del genere: Karamanz? Karawak? Karacova? Insomma, Karacoso. Comunque sia, un nome per niente banale, un nome che vi diceva qualcosa, che non si dimenticava facilmente.
Avrebbe potuto essere un attrezzista armeno dell’Ecole de Paris, un lottatore bulgaro, un pezzo grosso della Macedonia, insomma un tipo di quei posti là, un Balcanico, uno Yougurtofago, uno Slavofilo, un Turco.
[Georges Perec, Quale motorino con un manubrio cromato giù in fondo al cortile?, tr. di Emanuelle Caillat, Roma, e/o 2004, p. 11]