Qualche conto da fare

sabato 4 Maggio 2013

disastri

 

 

 

 

 

 

 

 

Com’è facile, per l’uomo, perdersi in cose insignificanti. Si può passare per ore dal tavolo all’armadio, e dall’armadio al divano e non trovare un’uscita. Ci si può perfino dimenticare dove ci si trova e andare a sbattere con le braccia contro un armadietto sulla parete. «Oooh, armadietto! – gli si può dire. – Stai un po’ attento!» Oppure ci si può coricare per terra e mettersi a guardare la polvere. Anche in questo c’è dell’estro. È meglio farlo per ore capendo sempre di più col passare del tempo. Del resto, è molto difficile fissare delle scadenze, ci son forse nella polvere delle scadenze?
Ancora meglio guardare dentro un catino con dell’acqua. Guardare l’acqua è sempre utile e istruttivo. Anche se non si vede niente, va bene lo stesso. Guardiamo nell’acqua, non si vede niente, e presto cominciamo a annoiarci. Ma ci conforta la circostanza che ciò che facciamo è ben fatto. Pieghiamo le dita e contiamo. Ma cosa contare, non lo sappiamo, c’è forse qualche conto da fare, nell’acqua?

[Daniil Charms, Milano, Marcos y Marcos 2011, p. 66]

Capisci dove?

giovedì 2 Maggio 2013

disastri

 

 

 

 

 

 

 

 

Vivevano in America due americani, mister Pik e mister Pak. Mister Pik lavorava in ufficio, e mister Pak lavorava in banca. Ma ecco una volta mister Pik entra nel suo ufficio, gli dicono: – Lei non lavora più da noi –. E il giorno dopo a mister Pak dicono la stessa cosa in banca. E così mister Pik e mister Pak son rimasti senza lavoro. Mister Pik è andato da mister Pak e ha detto:

– Mister Pak!

– Cosa? Cosa? Cosa? Cosa? Tu chiedi: cosa dobbiamo fare? Cosa dobbiamo fare! Tu chiedi: cosa dobbiamo fare?

– Sì, – ha detto mister Pik.

– Ecco, ecco, ecco, ecco! Ecco vedi, cos’è saltato fuori? Ecco vedi? Ecco vedi, com’è la nostra storia!

– Sì, – ha detto mister Pik e si è seduto su una sedia, mentre mister Pak ha cominciato a correre per la stanza.

– Adesso da noi, adesso qui da noi… Io dico da noi qui negli Stati Uniti, negli Stati Uniti d’America, negli Stati Uniti d’America, qui, da noi… capisci dove?

 

[Daniil Charms, Milano, Marcos y Marcos 2011, pp. 40-41]

 

Il non esserci al posto dell’esserci

domenica 10 Febbraio 2013

Ci son delle mattine, delle volte, in Emilia, che c’è un’aria così limpida che ti sembra che il mondo non finisce mai, e in una mattina del genere, che ero in giro per Parma per raccogliere materiale per un libro che si dovrebbe intitolare Mo mama, sottotitolo Parma ai tempi del movimento cinque stelle, mi è suonato il telefono e ho risposto e era la rispettabilissima redazione del Foglio che mi chiedeva di scrivere sedicimila caratteri su Silvio Berlusconi.
Ero proprio sotto una statua che c’è in centro a Parma, la statua di uno che veder come è messo sembra che sia stato colpito alle spalle da un colpo d’arma da fuoco, è lì con la testa all’indietro, le mani allargate che artigliano il niente, è una statua che tutti quelli che vengono a Parma che la vedono si chiedon chi sia, è Filippo Corridoni, e a Parma, da sempre, lo chiamano l’inculato, ero lì sotto l’inculato e al rispettabilissimo redattore del Foglio che mi aveva chiesto di scrivere sedicimila caratteri su Silvio Berlusconi io avevo risposto che ci avrei provato ma dentro di me intanto avevo pensato che io, di Silvio Berlusconi, scriverne sedicimila caratteri, che per chi non si occupa di queste cose sono circa dieci pagine di un libro, cioè l’equivalente di un capitolo, io non sapevo come fare, a scrivere un capitolo su Silvio Berlusconi.
Che Silvio Berlusconi, che era ormai una trentina d’anni che era un personaggio pubblico, che se ne era parlato tanto, ecco io erano perlomeno una ventina d’anni che cercavo, se potevo, di non nominarlo. Continua a leggere »

Anche quest’anno

martedì 1 Gennaio 2013

Anche quest’anno, il suo discorso dell’ultimo dell’anno il capo dello stato non l’ha cominciato dicendo: «Care italiane, cari italiani, quando comprate un uccello, guardate se ci sono i denti o se non ci sono. Se ci sono i denti, non è un uccello». Peccato.

Una lettera

venerdì 7 Dicembre 2012

Caro Aleksandr Ivanovič,
ho sentito che accumuli soldi e che ne hai già accumulati trentacinquemila. Per cosa? Che senso ha accumulare soldi? Perché non dividere quelli che hai con coloro che letteralmente non hanno nemmeno un paio di braghe? Del resto, cosa sono, questi soldi? Io ho studiato la questione. Ho delle fotografie dei più diffusi simboli monetari: da un rublo, da tre, da quattro, e persino da cinque rubli di valore. Ho sentito di simboli monetari che contengono in sé in una volta fino a trenta rubli! Ma metterli da parte, cosa sono io, un collezionista? Io ho sempre disprezzato i collezionisti, che raccolgono francobolli, penne, bottoncini, cipolline, eccetera. Sono persone stupide, ottuse e superstiziose. So, per esempio, che i cosiddetti «numismatici» sono coloro che accumulano i soldi, hanno la superstiziosa abitudine di conservarli prova a dire dove. Non in un cassetto, non in una scatoletta ma… dentro i libri! Ti piace, questa cosa? Pensa che si potrebbero prendere i soldi, andare in un negozio e cambiarli, diciamo, con una minestra (è un alimento), o con una salsa di cefalo (anche questa è una specie d’alimento).
No, Aleksandr Ivanovič, tu che sei quasi una persona sveglia come me, accumuli i soldi e non li cambi in altre cose di genere diverso. Scusa, caro Aleksandr Ivanovič, ma questo non è intelligente. Ti sei proprio un po’ instupidito, a vivere in quella provincia. Che non ci dev’essere quasi nessuno con cui parlare. Ti mando il mio ritratto, perché tu possa avere almeno davanti a te un volto sveglio, sviluppato, intelligente e bellissimo.
Il tuo amico Daniil Charms

[Daniil Charms, Disastri, pp. 144-145, l’immagine dell’originale viene da un tweet di Tim Kostin]

Dire di cosa parla Charms si fa fatica

domenica 9 Settembre 2012

Daniil Charms (Pietroburgo 1905 – Leningrado 1942), a leggere le cose che ha scritto, si fa fatica a dire di cosa parlano, anche se credo sia possibile individuare alcune ricorrenze, per esempio la sua avversione, testimoniata anche da chi lo conobbe, per i bambini, che stupisce ancora di più se si considera che Charms, in vita, fu, sostanzialmente, uno scrittore per bambini, e, come scrive il suo biografo Aleksandr Kobrinskij, se si considera che «per alcuni decenni, a cominciare dalla metà degli anni cinquanta, vale a dire dal momento in cui fu di nuovo possibile nominarlo, intere generazioni di bambini sovietici crebbero con le poesie e i racconti per l’infanzia di Charms, che erano stati ripubblicati con tirature considerevoli».
Questo affetto dei bambini nei confronti di Charms e delle sue opere (anch’esso testimoniato dai contemporanei), suona in un modo strano se si considerano alcuni passi delle opere per adulti, di Charms (pubblicate queste, in Unione Sovietica, più tardi, in frammenti a partire dalla fine degli anni 60 e in volume dai tardi anni ’80). Continua a leggere »

Di conseguenza

mercoledì 25 Luglio 2012

Un uomo era andato a dormire che era credente, si era svegliato che era ateo.
Per fortuna, nella stanza di quest’uomo c’era una bilancia medica decimale, e quest’uomo era abituato a pesarsi tutti i giorni, mattino e sera. Così, andando a dormire il giorno prima, l’uomo si era pesato e aveva scoperto che pesava 4 pud e 21 funt. E il giorno dopo al mattino, dopo essersi svegliato che era ateo, l’uomo si era pesato ancora e aveva scoperto che pesava in tutto 4 pud e 13 funt. «Di conseguenza», aveva pensato l’uomo, «la mia fede pesava intorno agli 8 funt».

[Daniil Charms, Disastri, pp. 34-35]

Consigli

venerdì 20 Luglio 2012

– Non ti consiglio di mangiare molto pepe. Conoscevo un greco, abbiamo navigato sulla stessa nave, mangiava tanto di quel pepe e tanta di quella mostarda, li versava nel piatto senza guardare.
Poi, poveretto, stava seduto sul letto tutta la notte con una scarpa in mano.
– Perché? – ho chiesto.
– Perché aveva paura dei topi, e sulla nave di topi ce n’eran moltissimi. Che lui, poverino, alla fine è morto di insonnia.

[Daniil Charms, Disastri]

Due parole su Daniil Charms

mercoledì 27 Giugno 2012

Leggo in un articolo sul Corriere nazionale (qui) che io avrei tradotto il Quaderno azzurro di Charms e gli avrei dato il titolo Disastri, mentre in originale si intitolava Casi; non è la prima volta che lo leggo, solo che a me sembra che il Quaderno azzurro di Charms in originale si intitolasse Quaderno azzurro, e mi sembra di non aver tradotto il Quaderno azzurro, che contiene, se non ricordo male, trenta operette (di poche righe ciascuna, una delle quali si intitola Casi), mi sembra di averne tradotte un centinaio, di operette, e di averle rimontate in alternanza con frammenti dei diari, di Charms, e mi sembra che nessun libro di Charms si intitoli Casi, in russo, sicuramente nessun libro assemblato da lui, ma ogni tanto mi vengon dei dubbi perché quando leggo di Charms, e in particolare di Disastri, non è la prima volta che leggo delle cose del genere. Poi, quando si parla di Charms, si dice, spesso (e anche in quell’articolo sul Corriere nazionale), che Charms è un pioniere del teatro dell’assurdo, e che Beckett e Ionesco lo citano spesso come loro maestro, e non si considera il fatto che, in occidente, i testi di Charms sono arrivati dopo il 1968 (e in Russia i suoi testi per grandi, diversamente da quelli per bambini, sono stati pubblicati ancora più tardi) e che, di conseguenza, è un po’ difficile che Charms sia stato il maestro di Beckett e Ionesco (Aspettando Godot è del 1948, La cantatrice calva del 1950). Ecco tutto.

Il senso dell’idiota

mercoledì 30 Maggio 2012

Qualcuno mi aveva detto che il libro Falene, di Eugenio Baroncelli (237 vite quasi perfette), valeva la pena di leggerlo e quando l’ho visto, in libreria, l’ho preso in mano, l’ho aperto a caso e ho visto un titolo A Baden Baden, a Baden Baden! che mi ha fatto venire in mente il modo in cui Daniil Charms parlava di Turgenev in alcune delle sue Scene dalla vita di Puškin e di Tolstoj, queste:

4.


Turgenev, voleva essere coraggioso come Lermontov, è andato a comprare una sciabola. Puškin, passava vicino al negozio, l’ha visto dalla finestra. Allora s’è messo a gridare, apposta: – Guarda ve’, Gogol’ – (ma con lui Gogol’ non c’era). – Guarda ve’, c’è Turgenev che compra una sciabola. Compriamo un fucile, io e te –. Turgenev, s’è spaventato, quella stessa notte è partito per Baden-Baden.

5.


Lev Tolstoj e F.M. Dostoevskij avevan scommesso su chi tra loro avrebbe scritto il romanzo più bello. A far da giudice avevano chiamato Turgenev. Tolstoj era corso a casa, si era chiuso nello studio e aveva cominciato a scrivere. Di bambini, naturalmente (li amava molto). Dostoevskij invece è a casa sua che pensa: Turgenev è uno pauroso. Adesso è a casa sua e pensa: Dostoevskij è uno nervoso. Se dico che il suo romanzo è il più brutto, è capace di ammazzarmi, perfino. Cosa mi sforzo a fare? (questo lo pensa Dostoevskij). Il romanzo lo scrivo male, apposta, la grana me la becco comunque (avevan scommesso cento rubli). Nello stesso momento Turgenev è a casa sua e pensa: Dostoevskij è uno nervoso. Se dico che il suo romanzo è il più brutto, è capace di ammazzarmi, perfino. D’altra parte Tostoj è un conte. Anche con lui è meglio evitare polemiche. Ma che vadano… E quella stessa notte, di nascosto, è partito per Baden-Baden.

La biografia che c’è in Falene (pagg. 265-266), quella che si intitola A Baden Baden, a Baden Baden! è questa qua:

È un’anima mite in un corpo da lottatore. È gentile, come quei musici di una volta che nei suoi romanzi intonano le loro rapsodie fino a tardi nelle notti estive, ma vorrebbe essere audace come gli eroi e coraggioso come Lermontov. Un giorno, entra in un negozio scintillante di lame e chiede di comprare una sciabola. Bello e sfrontato, Puškin, che passa di lì per caso, lo vede attraverso la vetrina e si mette a gridare: «Guarda un po’, c’è Ivan Sergeevič che si compra una sciabola. Compriamo piuttosto un fucile, tu e io!». Lui è così spaventato che quella stessa notte parte per Baden Baden. Un giorno, Tolstoj e Dostoevskij, che hanno scommesso cento rubli su chi dei due scriverà il romanzo più bello, a far da giudice chiamano lui. Tolstoj corre a casa, si chiude nello studio e comincia a scrivere (di bambini, naturalmente). Anche Dostoevskij corre a casa, ma invece che a scrivere (di demoni, naturalmente, e nei Demoni, nel fatuo romanziere Karamzinov, avrebbe ritratto giusto lui) si mette a pensare. Pensa: «Quello è un pavido, che in questo momento sta pensando: Dostoevskij è un fascio di nervi; se boccio il suo romanzo, è capace di ammazzarmi». Pensa: «Butto giù un romanzetto da niente e mi becco la grana comunque». Pressapoco in quei momenti, lui è a casa che pensa: «Dostoevkij è un tipo nervoso. Se boccio il suo romanzo è capace di ammazzarmi. E Tolstoj? Se boccio il romanzo suo, magari non mi ammazza, ma è pur sempre un conte. Meglio evitare guai anche con lui». Quella sera corre in gran segreto alla stazione Bielorussia e prende il primo treno per Baden Baden. Scappò, con la geniale e spavalda Russia che gli sferragliava accanto nelle sospirate tenebre della notte.

Sciascia, in una nota alla fine del Candido (Un sogno fatto in Sicilia), cita quella frase di Montesquieu che dice che «un’opera originale ne fa quasi sempre nascere cinque o seicento altre, queste servendosi della prima all’incirca come i gemoetri si servono delle loro formule». Da un certo punto di vista è anche bello che oggi, in Italia, dopo che da anni succede in Russia, le opere di Charms comincino a diventare una di quelle opere originali che servono come le formule dei geometri; credo che a Charms, che non è riuscito a vedere pubblicate le sue opere nel corso della sua vita, la cosa farebbe piacere, e ancor più piacere, forse, gli farebbe essere citato come fonte, quando succede.
Baroncelli si occupa anche di un altro grande russo dei primi del novecento, Velimir Chlebnkov e, citando Madel’štam, lo definisce «una specie di Einstein idiota»; «scrisse versi immortali – scrive Baroncelli – ma non si curava di pubblicarli»; «paragonò la vita a una travolgente onda di risacca, ma era troppo idiota per correre a cercarsi un riparo». Continua a leggere »