Uno spettacolo
Tanti anni fa ho fatto una proposta a un editore: una raccolta di racconti di scrittori emiliano-romagnoli. Gli ho scritto: «Il titolo, Allegri e disperati, significa nella mia testa un ragionamento che è cominciato da una frase di Gogol’. Nella mia testa c’è questa frase di Gogol’ che gira e dice più o meno “Non avete provato anche voi quella sensazione di quando finisce la festa, che vi sembra che vi si stacchi la pelle di dosso?”. Questa sensazione di cui parla Gogol’, che la pelle ti si stacca di dosso dopo la festa, è secondo me tipica della nostra terra, dove il carattere gioviale della gente convive con una discrezione che impedisce di manifestare in pubblico i propri sentimenti e i propri affetti. Allora il momento della disperazione è un momento solitario. Non ci sono, da noi, e non potrebbero esserci», gli ho scritto, «quelle donne che in Sicilia sono pagate per piangere ai funerali. Noi affrontiamo il mondo come se fossimo tutti d’un pezzo, con una dignità e una coerenza che ci hanno insegnato che vanno bene. E quando crolliamo, che crolliamo, crolliamo da soli, dentro le stanze. E uno che viene da fuori non lo direbbe mai, a vederci che teniamo su una compagnia di trenta persone e beviamo lambrusco e diciamo cazzate, non lo direbbe mai che diamo i pugni al muro, quando torniamo a casa».
[Forse facciamo un altro spettacolo teatrale. Si chiamerà, forse, La disperazione. Primo episodio. Nella foto (fatta alle collezioni comunali d’arte di Bologna) il pianoforte della scuola di musica Giuseppe Sarti di Faenza dopo l’alluvione]