In potenza

sabato 19 Dicembre 2015

Ogni tanto succede, a me succede spesso, di aver l’impressione di non aver niente da dire, cioè non di non aver niente da dire, di non esser più capace di scrivere niente, cioè non di non esser capace di scrivere niente, di non esser capace di scrivere niente di bello, cioè non di non esser capace di scrivere niente di bello, di non aver neanche più la forza di mettermi lì, al computer, aprire un file per raccontare una cosa che magari dopo vien fuori bella e contiene magari qualcosa da dire.
Quando mi succede di andare in giro a parlare della scrittura, una delle cose che ripeto più spesso è una cosa che sembra abbia detto Bukowski, che quando gli han chiesto cosa serve per scrivere lui sembra abbia risposto che per scrivere servon due cose: una macchina da scrivere e una sedia. Delle volte è difficile trovare la sedia, sembra dicesse Bukowski, e io, certe volte, ho l’impressione di essere in quella condizione lì in cui si trovava Bukowski che è difficilissimo trovare la sedia.
Allora mi viene in mente una cosa che ha scritto Viktor Šklovksij, che una volta ha scritto che tutte le volte che cominciava a scrivere un libro, aveva l’impressione che scriverlo fosse un’impresa al di sopra delle sue forze e poi, a forza di daì e dài, a forza di macchine da scrivere e di sedie, arrivava un giorno che aveva tra le mani il libro che aveva scritto
E una cosa simile mi sembra succeda anche a me quasi tutti i giorni che io, tutti i giorni, mi sveglio al mattino mi dico «È impossibile che io vada a correre, oggi», e dopo poi vado a correre.
E tornato da correre che mi viene addosso una cosa che mi dico «È impossibile che trovi quella forza lì di mettermi al computer per tirar fuori qualcosa», e ormai, son degli anni che mi succede, io questa cosa qua non la trovo scoraggiante, la trovo incoraggiante, quasi, un segno che forse alla fine anche questa volta salterà fuori qualcosa.
E mi ripeto una cosa che ho letto non so più dove che diceva, più o meno «Tu cosa fai per vivere?», «Stacco il wi-fi».
E mi torna in mente il decalogo di Augusto Monterroso, che ha scritto un decalogo dello scrittore in dodici punti (se a uno due non gli piacevano li poteva scartare) e il primo diceva: “Quando hai qualcosa da dire, dillo; quando non ce l’hai, anche. Scrivi sempre». E il quinto diceva: « Sebbene sembri strano, scrivere è un’arte; essere scrittore è essere un artista, come il trapezista, o il lottatore per antonomasia, che è colui che lotta con la lingua; per questa lotta esercitati giorno e notte». E il nono diceva: « Credi in te, ma non troppo; dubita di te, ma non troppo. Quando hai un dubbio, credi; quando credi, dubita. Questo è alla base dell’unica vera sapienza che può accompagnare uno scrittore» (la traduzione è di Barbara Bertoni). E delle volte mi ricordo anche di Auden, il poeta, che una volta ha scritto che «agli occhi degli altrui si è poeti se si è scritta una bella poesia, ai propri lo si è solo nel momento in cui si danno gli ultimi tocchi a una poesia nuova. Un attimo prima si era ancora e soltanto un poeta in potenza; un attimo dopo si è uno che ha smesso di far poesia, forse per sempre» (la traduzione è di Gabriella Fiori). E questa settimana mi è venuto molto in mente un poeta che faceva il fotografo, che si chiamava Mario Dondero e che stava al mondo in un modo così gentile che era bello guardarlo.

[uscito ieri su Libero]

Ansiaaaa

sabato 12 Dicembre 2015

Questa settimana son stato a Roma per una fiera della piccola editoria che si chiama Più libri più liberi e che si tiene all’Eur e ne ho approfittato per presentare, in una libreria in via del Governo vecchio, un libretto che ho curato e che si chiama Repertorio dei matti della città di Roma, che è un catalogo di matti romani tra i quali quel tifoso della Roma «che andò al campo di allenamento della squadra a Trigoria, aspettò che i giocatori uscissero dal parcheggio per fermarsi a fare gli autografi e quando vide il difensore Cesar Gomez, da due anni alla Roma e con una sola presenza in campionato con la sconfitta al derby, fermò la sua macchina e gli disse: ”A Cesar Gomez se c’hai ‘na penna te faccio l’autografo”».
Oppure «uno a piazza Fiume che alle 16 in punto si metteva davanti alla fermata dell’autobus e gridava: “Ansiaaaa, Ansiaaa”, tre o quattro volte, poi si bloccava, cercava con gli occhi qualcuno o qualcosa, e ricominciava a gridare: “Ansiaaa, anssiaaa”. Quando gli venne chiesto chi cercasse, rispose che si trattava del suo cane», e tanti altri così.
Prima della presentazione, una ragazza che aveva partecipato al seminario nel corso del quale avevamo scritto il libro, aspettando che la presentazione cominciasse è entrata nella chiesa di san Nicola alle carceri, al Ghetto, perché aveva letto che c’era un concerto per la festa del patrono.
Ascoltando, guardandosi in giro e leggendo gli annunci ha visto che la chiesa aveva vinto il premio di eccellenza 2015 di TripAdvisor.
E mi ha chiesto cosa può fare una chiesa per vincere un premio del genere.
E io le ho risposto che non lo sapevo, cosa poteva fare, ma mi è venuto in mente che a Bologna, in via Oberdan, c’è una gelateria che ha aperto quest’anno e che l’hanno chiamata Antica gelateria Pellegrino.
Allora poi il giorno dopo, quando mi hanno intervistato, alla fiera Più libri più liberi, e, a proposito di un libro per bambini che ho scritto io e che si chiama La bambina fulminante mi hanno chiesto se aveva senso pensare, oggi, alla pedagogia, quando si scrivono dei libri per bambini, a me è venuto da dire che la pedagogia, cioè insegnare ai bambini a stare al mondo, ha senso in un mondo che si capisce; e che quando mio babbo mi ha consegnato il suo, di mondo, negli anni sessanta, mio babbo mi ha consegnato un mondo che lui abitava, capiva, e che era mosso da regole che, in larga parte, condivideva.
Io invece, ho detto al mio intervistatore, che mi muovo in un mondo dove i tifosi fanno gli autografi ai giocatori, dove i cani si chiamano Ansia, dove c’è chi vota le chiese su Tripadvisor e dove le antiche gelaterie sono state aperte sei mesi fa, io a mia figlia le consegno un mondo che non capisco tanto anche per quello ho paura che non ci sia da aspettarsi, da me, tanta pedagogia.
E alla fine dell’intervista ho chiesto a una giornalista della Rai come mai c’era così poca gente, quest’anno, alla fiera Più libri più liberi, e la giornalista della Rai mi ha risposto che, con il giubileo, il palazzo dei congressi dell’Eur era stato segnalato come obiettivo sensibile e io ho pensato “È vero, che oggi è cominciato il giubileo, e io che ero a Roma non me ne son neanche accorto, son proprio distratto”.

[Uscito ieri su Libero]

C’è chi taglia e cuce brache, chi i leoni addestra in gabbia

domenica 6 Dicembre 2015

Marco Malvaldi, Buchi nella sabbia

Quando io ero piccolo i libri gialli eran libri che non si vendevano quasi nelle librerie, si vendevano prevalentemente nelle edicole, e se un italiano scriveva un giallo, sceglieva spesso uno pseudonimo americano, come succede adesso coi romanzi rosa, mi dicono, come se i romanzi gialli non fossero considerati romanzi che facevano parte, a pieno titolo, della nostra tradizione letteraria.
Io, devo dire, avevo, da appassionato di letteratura russa, un atteggiamento snobistico, nei confronti dei gialli, non mi sembravano all’altezza di quel che piaceva a me, la vera letteratura, e mi ricordo che mi era molto piaciuto, una volta, un libraio di Campobasso che condivideva con me questo fastidio per l’inarrestabile successo dei gialli e che mi aveva detto che quando un lettore entrava nella sua libreria e gli chiedeva «Mi consiglia un bel giallo?» lui gli dava Delitto e castigo, di Dostoevskij.
Che era stata una cosa che subito aveva soddisfatto il mio snobismo, ma dopo, a pensarci, l’aveva messo un po’ in crisi perché il comportamento di quel libraio significava, tra le altre cose, che anche Delitto e castigo, era un giallo, cioè che il pedale della trama, la curiosità su come finisce il delitto di Raskol’nikov, lo prendono o non lo prendono?, erano un pedale sul quale Dostoevskij aveva giocato e una curiosità alla quale anch’io, come lettore, avevo soggiaciuto, se così si può dire. Continua a leggere »

A cosa pensi

sabato 5 Dicembre 2015

L’altro giorno, a Torino, dentro un corso che si chiamava Scuola elementare di letteratura russa, cioè un corso dove si provava a scrivere prendendo esempio dai russi, ho detto che Čechov, tra i consigli che dava a chi voleva cominciare a scrivere, c’era il fatto di non preoccuparsi del pubblico, che «Ogni sciocchezza che viene stampata, – diceva Čechov – si trova sempre qualcuno che è pronto a giurare che è un capolavoro». E un altro consiglio che dava è il consiglio che aveva dato a Ivàn Bunin, il primo scrittore russo a vincere il premio Nobel per la letteratura, nel 1933, e Čechov una volta gli aveva chiesto «Scrivete molto?» e lui Bunin sembra gli avesse risposto che scriveva poco.
Allora Čechov aveva detto: «Male. Bisogna lavorare Lavorare sodo… Tutta la vita». E poi sembra che avesse aggiunto: «Secondo me, terminato un racconto bisognerebbe gettare via l’inizio e la fine. È lì che noialtri uomini di lettere concentriamo le bugie maggiori…». E che questo consiglio, ho detto a Torino, era stato riassunto nel titolo di un libro che era stato curato da Piero Brunello e pubblicato da minimumfax, libro che si intitolava Senza trama e senza finale e che conteneva 99 consigli di scrittura di Čechov.
E uno dei ragazzi che stava facendo il corso mi ha detto che era uscito un altro libro di consigli di scrittura e di vita di Čechov che si intitolava Né per fama né per denaro e allora io sono andato a comprarlo e ho cominciato a leggerlo e ci ho trovato una storia che dice che una volta Čechov aveva scritto a Gor’kij dicendo che lui, Gor’kij, era molto intelligente, e Gor’kij gli aveva risposto che lo ringraziava ma lui, Gor’kij, non era affatto intelligente. «Io, – aveva scritto Gor’kij a Čechov, – da quando ho cominciato a scrivere mi son messo a correre come un treno ma io, sotto, non ho le rotaie, e ho paura che andrò a sbattere contro qualche muro che mi spacco la testa», aveva scritto Gor’kij a Čechov, e Čechov gli aveva risposto gli aveva detto «Ma cosa dice, Gor’kij? Lei sa benissimo che non ci si spacca la testa perché si scrive, ma che si scrive perché ci si è già spaccata la testa». Che è una storia che mi è piaciuta molto, però è una storia che avevo già letto nel libro di minimum fax Senza trama e senza finale, e allora ho guardato questo libro che avevo comprato, Né per fama né per denaro, e ho visto che era anche quello a cura di Piero Brunello e che era praticamente la ristampa di Senza trama e senza finale e di un’altra antologia degli scritti di Čechov, sempre a cura di Piero Brunello, Scarpe buone e un quaderno di appunti, che avevo anche quella, e allora adesso ho due libri doppi, che a me non dispiace, però, ne ho anche uno triplo, di libri, Pan, di Knut Hamsun, che a me va bene averlo triplo perché dentro ci son delle frasi che dicono: «Può piovere o tirar vento, ma non importa; spesso una piccola gioia può impadronirsi di te in un giorno di pioggia, spingendoti a ritirarti in te stesso con la tua felicità. Allora cerchi di darti un tono; guardi dritto davanti a te, di tanto in tanto sorridi in silenzio e volgi lo sguardo intorno. A che cosa pensi? Al vetro trasparente di una finestra, a un raggio di sole che batte sul vetro, alla vista di un ruscello e, forse, a uno squarcio azzurro fra le nubi. Non serve di più» (la traduzione è di Fulvio Ferrari).

[uscito ieri su Libero]

Ma sai cosa fa?

domenica 29 Novembre 2015

Quand’ero piccolo, a Parma, la domenica mia mamma metteva su un disco con della gente che non cantavano mica, solo ogni tanto dicevano: «Oè». Era una musica che mi vergognavo, di quella musica lì, era così domestica, così famigliare, e mi ricordo che dopo, il primo anno di superiori, il mio compagno di banco mi aveva detto che un suo amico d’infanzia non si poteva più frequentare. «Come mai?» gli avevo chiesto io. «Ma sai cosa fa?», mi aveva detto lui «Cosa fa?» «Va a ballare il liscio» «No!», gli avevo detto io. Mi sembrava una cosa così: imperdonabile. Dopo, all’università, c’era un professore che si lamentava che sua moglie aveva cominciato anche lei a andare a ballare il liscio e che una volta alla settimana la venivano a prendere con delle macchine che profumavano di dopobarba e la portavano chissà dove, in Romagna, probabilmente. Dopo, finita l’università, ho fatto un viaggio in macchina fino a Pietroburgo e son partito da solo con la mia due cavalli che il mio meccanico prima di partire mi ha dato un cacciavite a stella e mi ha detto «Se la macchina si ferma tu scendi, prendi questo cacciavite e sviti le targhe. La macchina la puoi anche lasciare lì, l’importante è che porti a casa le targhe». Avevo anche uno stereo, sulla macchina, e avevo preso su tre cassette, e non avevo fatto altro che ascoltarle una dopo l’altra, e una era una cassetta con le canzoni del liscio che ascoltava mio babbo quando era piccolo, non il liscio romagnolo, con la fisarmonica, il liscio emiliano, dei pezzi fatti tutti con i fiati, e tra gli altri pezzi c’era un pezzo che a me, ancora oggi, sentirlo, mi commuove, e l’ha scritto un signore nato a Barco, in provincia di Reggio Emilia, e si intitola Battagliero. Quella musica lì, io, anni dopo, ho conosciuto un musicista che ha messo su una banda che suonano quella musica lì, la banda si chiama L’usignolo, lui si chiama Mirco Ghirardini e m’ha detto che probabilmente il liscio, le sue origini, non sono, come si pensa, romagnole, ma emiliane, che forse il liscio è nato proprio dai cosiddetti concerti a fiato, e che il primo concerto a fiato sembra fosse nato proprio in provincia di Parma, ed era quello di Cantoni, il concerto Cantoni, che erano quindici fratelli e sorelle. E mi ha detto che quando le orchestre a fiato hanno finito la loro voga, in Emilia, si son trasformate in orchestre che suonavano ai funerali, e che adesso lui va in giro a suonare, la gente è difficile che ballino, son pezzi forse troppo veloci, e la gente che passa lì, che sente la musica, gli è successo già qualche volta che gli dicessero, dopo un concerto «Guarda, passavam qua per caso, abbiamo sentito la musica, subito abbiamo pensato che era un funerale». E io, sarà che a me piacciono i fiati, io ho l’impressione che i fiati facciano come un discorso, Wynton Marsalis dice che diversamente dalla musica pop, la musica jazz, che prevalentemente è senza parole, proprio per il fatto di essere senza parole, permette di arrivare più a fondo, di dire cose più precise, di parlare di più, in un certo senso, e a me la musica di Battagliero, per dire, mi sembra che sia proprio quello, uno che fa un ragionamento ma un ragionamento che è proprio convinto, di quello che dice.

[Uscito ieri su Libero]

Turbolenze

sabato 28 Novembre 2015

Un ragazzo che si chiama Domenico mi ha detto che lui, quando era piccolo, pensava che Turbolento fosse il superlativo di lentissimo.
Che a me è sembrato un significato così bello, di Turbolento, che d’ora in poi io ho pensato che lo uso così; se vado a veder per esempio a uno spettacolo di Bob Wilson, ammesso che sia lui il regista teatrale che fa muovere i suoi attori in maniera turbolenta, se vado a vederlo e dopo quando esco mi chiedono com’è stato, io gli rispondo «Turbolento», e mi vien da definir turbolente certe giornate in pianura padana quando ti aspetti che succeda qualcosa e non succede niente, che quella mi sembra che sia un po’ una costante della mia vita che io mi aspetto sempre che succeda chissà che cosa e dopo alla fine succede chissà niente anche se ci sono delle eccezioni come in questi giorni che è appena uscito un romanzo che ho scritto e mi invitano in giro a presentarlo o mi chiedono di fare delle interviste e questa settimana ho fatto un’intervista televisiva a una trasmissione che si chiama Buongiorno regione che va in onda al mattino alle sette e un quarto dalla sede regionale della Rai che io, siccome abito lontano dalla sede Rai, e siccome per muovermi uso la bicicletta, devo andarci in bicicletta e esco di casa alle sei e un quarto, ci metto tre quarti d’ora, e questi viaggi in bicicletta, la notte prima penso «Ma chi me l’ha fatto fare, di accettare questa intervista a Buongiorno regione?», la mattina dopo son contentissimo, di uscire in bicicletta alle sei un quarto, che Bologna alle sei e un quarto è una città completamente diversa da quella che vedo di solito e a me viene in mente Piero Manzoni quando usciva alle cinque del mattino a Milano per fare delle fotografie, che alle cinque del mattino la città si vedeva tutta; e è anche un momento, quando son lì che pedalo sul ponte di via Stalingrado, che mi sembra che potrei essere qualsiasi cosa, un imbianchino, un muratore, un fabbro, e per me, esser qualsiasi cosa equivale a non essere niente e non essere niente è una cosa che mi piace da matti, e poi, l’ultimo motivo per cui mi piacciono queste dirette a Buongiorno regione, è il fatto che sono la fonte della mia popolarità presso i miei vicini di casa, che i miei vicini di casa sono quasi tutti dei pensionati e alle sette e un quarto del mattino la televisione gli unici che la guardano sono dei pensionati l’unico aspetto negativo, di fare un’intervista così presto, è che io ci metto un po’ a ragionare, io ho un cervello turbolento, allora per quello non le risento mai, queste interviste, che chissà cos’ho detto, mi dico, e se qualcuno adesso mi chiedesse «Cos’hai detto?» io gli risponderei «Non lo so», anche se dopo, quando sono ormai già le otto, mi fanno sempre anche una piccola intervista per il TG regionale e lì capisco già un po’ meglio e questa volta mi han chiesto come reagirebbe il protagonista del mio romanzo, che è un giornalista, ai fatti di questi giorni, gli attentati di Parigi, e io credo di avere risposto che secondo me gli verrebbe in mente il modo in cui ha reagito il primo ministro norvegese alla strage del 2011, quando son stati uccisi da un terrorista 77 ragazzi che non avevan fatto niente, e il primo ministro deve aver detto che loro avrebbero risposto con le armi più potenti del mondo, la libertà e la democrazia.

[uscito ieri su Libero]

Conseguenze di un pollo arrosto

sabato 21 Novembre 2015

L’altro giorno, al supermercato dove vado, regalavano un pollo arrosto a tutti quelli che facevano una spesa di almeno 20 euro e io, dovevo pranzare con mia figlia, ho pensato che potevamo mangiare un pollo arrosto ero solo preoccupato, quando sono arrivato alle casse, per via che non sapevo se ero arrivato a 20 euro di spesa, avevo preso anche un po’ di cose che non è che mi servissero proprio, una crema per le mani norvegese che usavo quando facevo il manovale da muratore, trent’anni fa, un freddo, su quelle impalcature, un male alle mani e adesso, trent’anni dopo, mi era venuta nostalgia per quel freddo e per quel male alle mani avevo comprato la crema anche se eran trent’anni che non frequentavo delle impalcature non l’avevo presa tanto per le impalcature, l’avevo presa per il pollo arrosto e poi, una volta arrivato alle casse, avevo scoperto che avevo speso 43 euro e 40 centesimi allora in questi giorni mi sono dato un sacco di crema nella mani che non è che mi serva tanto, devo dire.
Dopo, con queste mani molto curate, sono andato a Novara a presentare un libro che era appena uscito, era la prima presentazione e lì a Novara non è che c’era tantissima gente, era anche in una sala un po’ così, di traverso, io parlavo rivolto a una colonna e era anche una sala adiacente a un ristorante e dal ristorante veniva il suono di un sassofono che sembrava Fausto Papetti, o un suo imitatore, e io, queste cose, mi passa la voglia, mi ero quasi augurato che non venisse nessuno così saltava la presentazione invece alla fine undici o dodici persone si erano ammucchiate avevo cominciato a leggere avevo letto quaranta minuti poi avevo detto «Ecco, io avrei finito, avete delle domande?», e un signore che era seduto in prima fila e che nel corso della lettura aveva preso degli appunti mi aveva chiesto «Ma è tutto così?» e io gli avevo risposto «Sì, è tutto così», e con questo è finita la prima presentazione del mio nuovo romanzo e siccome io sono convinto che la lettura ad alta voce serve per capire se le cose che uno scrive son belle o son brutte, e che una cosa bella, letta ad alta voce, sembra ancora più bella, e una cosa brutta, letta ad alta voce, sembra ancora più brutta, io l’altro giorno, dopo la presentazione di Novara, sono andato a letto convinto di avere scritto un libro tutto così, brutto, solo che poi il giorno dopo il libro l’ho presentato in una libreria di Torino e la presentazione è stata bellissima e le stesse cose che avevo letto a Novara, lette a Torino mi eran sembrate completamente diverse e quella sera lì sono andato a letto convinto di avere scritto un libro bellissimo solo che poi, due giorni dopo, ho presentato il libro a Bologna, e la lettura è cominciata ed è finita molto bene solo che in mezzo, anche nella libreria dove l’ho presentato a Bologna c’è, sopra, un ristorante, e mentre leggevo, dal ristorante preparavano si vede la sala per la cena facevano un casino, con le sedie, e forse è stato per quello che in mezzo, la presentazione a Bologna è stata un po’ complicata e, alla fine è stata una presentazione così così e sono andato a letto convinto di avere scritto un libro così così ma prima di addormentarmi mi son ricordato di guardarmi le mani ho pensato “Ma che belle mani, ma di chi sono queste mani, ma sono mie? Ma che meraviglia”, ho pensato.

[uscito ieri su Libero]

Palombari

sabato 14 Novembre 2015

L’altro giorno è uscito un articolo di uno scrittore italiano contemporaneo che si chiama Fabio Genovesi che parlava di un libro di un altro scrittore italiano contemporaneo che si chiama Diego De Silva, e cominciava, questo articolo, dicendo che ogni scrittore ha il suo mestiere. «C’è chi scrive da architetto, – scriveva Genovesi, – chi da ingegnere, scalatore o musicista, ragioniere o equilibrista, ballerino, sarto o elettricista. Diego De Silva invece è un palombaro. E mentre comincia a scrivere un nuovo romanzo, – continuava Genovesi, – io me lo immagino che entra nel suo scafandro, un respiro lungo, si fa il segno della croce e poi giù nell’abisso ». Ecco, secondo me, magari mi sbaglio, ho letto qualche libro di Genovesi e io mi immagino che anche lui, Genovesi, scriva da palombaro, anzi, a pensarci bene, io ho l’impressione che cominciare a scrivere un romanzo, comporti sempre, inevitabilmente, questa cerimonia del respiro profondo, del segno della croce e del tuffo nell’abisso, e mi viene in mente lo scrittore russo Viktor Borisovič Šklovskij quando diceva che tutte le volte che cominciava a scrivere un romanzo aveva l’impressione di  dover fare una cosa al di sopra delle sue forze e che poi, un giorno, chissà come, si accorgeva che il romanzo che aveva pensato in tutti quei mesi che non sarebbe mai riuscito a scrivere, l’aveva scritto, era lì, c’era.

Ecco, chi scrive dei romanzi credo che sappia che scrivere un romanzo è una cosa così faticosa, e pericolosa, anche, un po’, che non sembra, probabilmente, vista da fuori, una volta un signore che ho incontrato in treno mi ha chiesto «Lei che mestiere fa?», «Scrivo dei romanzi», gli ho risposto, «Ho capito, – mi ha detto lui, – ma di mestiere?», «Scrivo dei romanzi», gli ho detto, «Ho capito, – mi ha detto lui, – ma i soldi, il mestiere che le fa guadagnare dei soldi, che mestiere fa?», mi ha chiesto lui, ecco, visto da fuori scriver dei romanzi non sembra neanche un mestiere, sembra un divertimento, invece, visto da dentro, uno che li scrive lo sa bene, tutti i segni della croce che sei costretto a farti se ti azzardi a immaginare di avere la sfrontatezza di scrivere addirittura un romanzo e di farlo addirittura come mestiere solo che poi, questa settimana, ho visto la la presentazione dei candidati sindaci di Milano del MoVimento 5 stelle e una candidata, una cinquantaduenne disoccupata che si chiama Patrizia Bedori, che era l’unica donna, quando l’hanno presentata, lei è arrivata sul palco e l’applaudivano in molti e lei, come prima frase, ha detto: «Essendo l’unica donna ovviamente ho la clap».

Ecco. Se consideriamo che poi Patrizia Bedori quelle primarie lì dopo le ha vinte, e che è quindi candidato sindaco di Milano del MoVimento 5 stelle, ecco io lì ho pensato che anche fare il politico, e in particolare il candidato sindaco di Milano del MoVimento 5 stelle, è una cosa che, prima  di cominciare, conviene tirare un bel respiro, o anche cinque o sei bei respiri, farti un bel segno della croce, o anche cinque o sei segni della croce, e poi via, giù nell’abisso, e spero per lei che non vinca.

[Uscito ieri su Libero]

Dal capitolo 6

venerdì 13 Novembre 2015

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Ermanno Baistrocchi è uno che, per non scrivere il romanzo che dovrebbe scrivere, si inventa la Scuola elementare di giornalismo disinformato, che è un giornalismo dove i giornalisti, delle cose che scrivono, non ne sanno niente e non ne voglion sapere niente. E un suo allievo, Mantegazza, prende così alla lettera le sue lezioni che lo mette in un guaio talmente grande che Ermanno Baistrocchi, che ha 55 anni e che di guai un po’ ne ha passati, in un guaio del genere non ci si era mai trovato.

***

Un altro posto che mi era piaciuto moltissimo, di quelli che avevo visto per le interviste, era la casa di una casalinga romana trapiantata a Bologna da una quarantina d’anni, una casalinga che si chiamava Flora che mi aveva detto che lei, la primavera, avrebbe preferito che non ci fosse.
Che però, mi aveva spiegato, se la fossi andata a intervistare all’inizio dell’inverno, mi avrebbe detto la stessa cosa dell’inverno, e se fosse stato all’inizio dell’estate, mi avrebbe detto la stessa cosa dell’estate, e se fosse stato all’inizio dell’autunno, mi avrebbe detto la stessa cosa dell’autunno, mi aveva detto Flora con una tranquillità che mi aveva incantato.
E la cosa che mi era piaciuta di più, di quell’intervista a quella casalinga nella sua cucina in via della Barca, che era una cucina che c’era un’aria, in quei pochi metri cubi di cucina, una densità, come se quarant’anni di tortellini, lasagne, bollito e ragù avessero cambiato il peso specifico, di quella cucina, era una cucina non euclidea, in un certo senso, o, forse, ipereuclidea, una cucina al cubo, era una cucina fatta di ragù, se così si può dire, e probabilmente si può dire ma non si capisce, certe cose bisogna viverle, ma la cosa che mi era piaciuta di più, di quella cucina e della conversazione che avevamo fatto con la casalinga che si chiamava Flora, era stato il bugiardino di un medicinale che stava prendendo Flora per via di una sciatica, se non ricordo male, e il bugiardino elencava i possibili effetti collaterali che erano «Capogiri, stanchezza, aumento dell’appetito, sensazione di eccitazione, confusione, disorientamento, perdita della libido, irritabilità, disturbi dell’attenzione, goffaggine, compromissione della memoria, tremore, difficoltà nel parlare, sensazione di formicolio, sedazione, letargia, insonnia, spossatezza, mal di testa, offuscamento della vista, visione doppia, vertigini, disturbi dell’equilibrio, bocca secca, stipsi, vomito, flatulenza, difficoltà nell’erezione, gonfiore del corpo, inclusi mani e piedi, sensazione di ebbrezza. Anomalie nell’andatura, aumento di peso, perdita dell’appetito, bassi livelli di zuccheri nel sangue, alterata percezione di sé, irrequietezza, depressione, agitazione, oscillazioni dell’umore, difficoltà nel trovare le parole, perdita di memoria, allucinazioni, sogni alterati, attacchi di panico, apatia, sentirsi strani, problemi della sessualità, inclusa incapacità di raggiungere l’orgasmo, ritardo dell’eiaculazione, difficoltà di ideazione, intorpidimento, alterazioni della vista, anomalie nel movimento degli occhi, movimenti convulsi, riflessi ridotti, aumento dell’attività, capogiri in posizione eretta, sensibilità cutanea, perdita del gusto, sensazione di bruciore,,. tremore durante il movimento, riduzione della coscienza, svenimento, aumento della sensibilità ai rumori, secchezza degli occhi, gonfiore agli occhi, dolore agli occhi, debolezza degli occhi, lacrimazione agli occhi, disturbi del ritmo cardiaco, aumento del battito cardiaco, pressione del sangue bassa, pressione del sangue alta, disturbi vasomotori (arrossamenti), vampate di calore, difficoltà nella respirazione, mal di gola, secchezza nasale, gonfiore addominale, aumento della produzione di saliva, bruciore gastrico, perdita di sensibilità intorno alla bocca, sudorazione, eruzione cutanea, brividi, contrazioni muscolari, gonfiore alle articolazioni, crampi muscolari, rigidità muscolare, dolore inclusi dolori muscolari, dolore articolare, mal di schiena, dolore agli arti, urinare con difficoltà o con dolore, incontinenza, debolezza, cadute, sete, senso di costrizione al torace, alterazioni dei risultati degli esami del sangue e dei test di funzionalità del fegato (aumento della creatin-fosfochinasi ematica, aumento della alanina-aminotransferasi, aumento della aspartato-aminotransferasi, riduzione della conta piastrinica), alterazioni del battito cardiaco, mani e piedi freddi, tosse, congestione nasale, naso gocciolante, sanguinamento nasale, russare, alterazione dell’olfatto, alterazioni della vista inclusa visione tubulare, sensazione di oscillazione del campo visivo, alterata percezione della profondità, bagliori di luce, brillantezza visiva, pupille dilatate, strabismo, irritazione oculare, febbre, sudori freddi, senso di costrizione alla gola, infiammazione del pancreas, difficoltà della deglutizione, movimento del corpo rallentato o ridotto, difficoltà a scrivere in modo appropriato, orticaria, aumento di liquidi nell’addome, danni muscolari, dolore al collo, dolore al seno, secrezioni del seno, crescita anomala del seno, cicli mestruali dolorosi o interrotti, livelli elevati di zuccheri nel sangue, perdita di peso, stato d’animo euforico, insufficienza renale, riduzione del volume delle urine, alterazioni dei test delle urine (riduzione della potassiemia, aumento della creatinemia, riduzione della conta dei globuli bianchi, inclusi i neutrofili), comportamento non appropriato.
Ecco.

[uscito ieri su Libero]

Non cinema

domenica 8 Novembre 2015

Questa settimana parlavano tutti di Pasolini, e ne ha parlato anche il regista Gabriele Muccino che ha scritto, su Facebook: «So che quello che sto per dire suonerà impopolare e forse, chissà, sacrilego? Ma per quanto io ami Pasolini pensatore, giornalista e scrittore, ho sempre pensato che Pasolini regista fosse fuori posto, anzi, semplicemente un “non” regista che usava la macchina da presa in modo amatoriale, senza stile, senza un punto di vista meramente cinematografico sulle cose che raccontava, in anni in cui il cinema italiano era cosa altissima».
Molti, su Facebook, si sono, per così dire, meravigliati, del fatto che Muccino giudicasse in modo così severo un collega così illustre, ma a me è venuta in mente una cosa che mi avevano detto all’università quando avevo fatto un esame di storia del cinema e cioè che Fellini, quando aveva visto Accattone, il primo film di Pasolini, aveva detto che secondo lui quello lì era non cinema, cioè aveva detto più o meno la stessa cosa che adesso un po’ si rimprovera a Muccino, mi sembra.
Che, anche se ha dei gusti molto diversi dai miei, a me certi film di Pasolini piacciono forse proprio per la loro natura sgrammaticata, sghemba, come i pensierini dei bambini delle elementari, che sono bellissimi, alcuni, mentre nei suoi libri trovo «una tale quantità di superiorità morale nei confronti dell’universo» (lo dice Giorgio Manganelli) che non riesco a leggerli, anche se ha dei gusti molto diversi dai miei, dicevo, mi sembra che Muccino, così come Fellini, possa dir quello che vuole di chi vuole e possa coltivare le sue predilezioni e le sue idiosincrasie in piena libertà e capisco benissimo che, in un periodo in cui tutti parlano di Pasolini, a un regista possa venire da dire «Ma cosa parlate tutti di Pasolini che non è capace di tenere in mano la macchina da presa?».
Forse lo capisco così bene perché anche a me, ogni tanto, quando tutti parlan di uno scrittore, mi vien da chiedermi come mai ne parlano così tanto per esempio, non so, Roberto Saviano, il suo ultimo libro, quello che si intitola ZeroZeroZero, che è stato il libro italiano più venduto del 2013, ecco io, quando è uscito, ho resistito tanto, a leggerlo, che Saviano, non per via della superiorità morale, proprio per via della scrittura, che per me lui lì ha una scrittura, tutta un’accumulazione, non so cosa farci, non mi piace, e ho resistito due anni poi quest’estate, in libreria, mi sono imbattuto nell’edizione economica, l’ho comprato, ho cominciato a leggerlo, ho letto: «La coca la sta usando chi è seduto accanto a te ora in treno e l’ha presa per svegliarsi stamattina o l’autista al volante dell’autobus che ti porta a casa, perché vuole fare gli straordinari senza sentire i crampi alla cervicale». E lì mi sono fermato “I crampi alla cervicale?” ho pensato. E ho telefonato al mio medico, che si chiama Gabriele, e gli ho chiesto «Gabriele, esistono i crampi alla cervicale?», e lui mi ha detto che non esistono, che è come dire i crampi al mal di testa, o i crampi al mal di denti, o i crampi ai crampi, praticamente.
E allora mi sono fermato nella lettura mi sono detto che potevo fare a meno di comprarlo, ZeroZeroZero di Roberto Saviano, che mi rendo conto che con Pasolini e Muccino non c’entra niente, ma io è un periodo che a Roberto Saviano ci penso un sacco, non so come mai.

[Uscito ieri su Libero]