C’è chi taglia e cuce brache, chi i leoni addestra in gabbia

domenica 6 Dicembre 2015

Marco Malvaldi, Buchi nella sabbia

Quando io ero piccolo i libri gialli eran libri che non si vendevano quasi nelle librerie, si vendevano prevalentemente nelle edicole, e se un italiano scriveva un giallo, sceglieva spesso uno pseudonimo americano, come succede adesso coi romanzi rosa, mi dicono, come se i romanzi gialli non fossero considerati romanzi che facevano parte, a pieno titolo, della nostra tradizione letteraria.
Io, devo dire, avevo, da appassionato di letteratura russa, un atteggiamento snobistico, nei confronti dei gialli, non mi sembravano all’altezza di quel che piaceva a me, la vera letteratura, e mi ricordo che mi era molto piaciuto, una volta, un libraio di Campobasso che condivideva con me questo fastidio per l’inarrestabile successo dei gialli e che mi aveva detto che quando un lettore entrava nella sua libreria e gli chiedeva «Mi consiglia un bel giallo?» lui gli dava Delitto e castigo, di Dostoevskij.
Che era stata una cosa che subito aveva soddisfatto il mio snobismo, ma dopo, a pensarci, l’aveva messo un po’ in crisi perché il comportamento di quel libraio significava, tra le altre cose, che anche Delitto e castigo, era un giallo, cioè che il pedale della trama, la curiosità su come finisce il delitto di Raskol’nikov, lo prendono o non lo prendono?, erano un pedale sul quale Dostoevskij aveva giocato e una curiosità alla quale anch’io, come lettore, avevo soggiaciuto, se così si può dire.

In questi ultimi anni se guardo il mio snobismo di allora non lo capisco tantissimo, e tra le mie letture di questo periodo ci sono tanti libri che sono considerati di genere che mi sembrano libri dove la letteratura alta e quella bassa, se così si può dire, si incontrano, e l’ultima, in ordine di tempo, di queste letture è un giallo di Marco Malvaldi ambientato nel 1901 e intitolato Buchi nella sabbia il cui protagonista, e detective, è il poeta Ernesto Ragazzoni (1870 – 1920). Il titolo stesso del romanzo di Malvaldi è preso da una poesia di Ragazzoni: «C’è chi taglia e cuce brache, / chi i leoni addestra in gabbia, / chi cattura le lumache, io fo buchi nella sabbia. // I poeti, anime elette, / riman laudi e piagnistei, / per stucchevoli Giuliette / di cui mai saran Romei; // i carabinieri, invece / pongono argini alla rabbia / dei colpevoli assassini; io fo buchi nella sabbia. // Sento sussurrarmi intorno / che ci sono altri mestieri; / bene! A voi! Scolpite marmi, / combattete il beri-beri, // allevate ostriche a Chioggia, / filugelli in Cadenabbia, / fabbricate parapioggia, / io fo buchi nella sabbia. // O cogliete la cicoria, / o gli allori e a voi Dio v’abbia, / tutti sempre in pace e gloria, / io fo buchi nella sabbia». La strampalata figura di Ragazzoni, che Sebastiano Vassalli ha definito «Straordinario dissipatore di se stesso e del suo talento», è incastrata benissimo in questo giallo di inizio secolo e Malvaldi è bravissimo a non far sfigurare gli altri personaggi, che immagino di fantasia, come per esempio il tenore Balestrieri di cui si legge a pagina 23: «Il problema del crescere, pensava Bartolomeo Cantalamessa guardando il tenore Balestrieri stravaccato in poltrona, è perdere la propria eccezionalità. Quando siamo bambini, ogni piccolo gesto banale è una conquista, sia reale che percepita; siamo circondati da persone che ci applaudono quando muoviamo i primi passi, vanno in estasi quando finiamo tutta la pappa e riescono ad entusiasmarsi anche dei nostri escrementi. Poi, fatalmente, si cresce, e questo entusiasmo piano piano sfuma. Ci sono persone che riescono ad accettarlo, e sono la maggioranza. Ci sono persone che non riescono ad accettarlo, e sono i cantanti lirici. Il mondo, per Ruggero Balestrieri, si divideva in due parti nette e ben distinte. Da una parte il tenore Ruggero Balestrieri, da quell’altra i restanti abitanti del pianeta. Entrambe le parti avevano uno scopo ben preciso: il tenore Ruggero Balestrieri, cantare. Il resto del mondo, adorare il tenore Ruggero Balestrieri».
L’unico momento che mi sono fermato nella lettura è stato un momento verso la fine, poche pagine dove mi è sembrato che Malvaldi fosse un po’ troppo preoccupato di far tornare i conti, dove mi sembrava di vederlo rileggere il libro con la calcolatrice, spuntare tutte le spese e a me, da lettore, è venuta voglia che ogni tanto due più due facesse cinque, come in Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, cioè probabilmente è tornato fuori quel mio io snob che è convinto che la conosce solo lui, la vera letteratura.

[Uscito ieri su Libero]