Non cinema
Questa settimana parlavano tutti di Pasolini, e ne ha parlato anche il regista Gabriele Muccino che ha scritto, su Facebook: «So che quello che sto per dire suonerà impopolare e forse, chissà, sacrilego? Ma per quanto io ami Pasolini pensatore, giornalista e scrittore, ho sempre pensato che Pasolini regista fosse fuori posto, anzi, semplicemente un “non” regista che usava la macchina da presa in modo amatoriale, senza stile, senza un punto di vista meramente cinematografico sulle cose che raccontava, in anni in cui il cinema italiano era cosa altissima».
Molti, su Facebook, si sono, per così dire, meravigliati, del fatto che Muccino giudicasse in modo così severo un collega così illustre, ma a me è venuta in mente una cosa che mi avevano detto all’università quando avevo fatto un esame di storia del cinema e cioè che Fellini, quando aveva visto Accattone, il primo film di Pasolini, aveva detto che secondo lui quello lì era non cinema, cioè aveva detto più o meno la stessa cosa che adesso un po’ si rimprovera a Muccino, mi sembra.
Che, anche se ha dei gusti molto diversi dai miei, a me certi film di Pasolini piacciono forse proprio per la loro natura sgrammaticata, sghemba, come i pensierini dei bambini delle elementari, che sono bellissimi, alcuni, mentre nei suoi libri trovo «una tale quantità di superiorità morale nei confronti dell’universo» (lo dice Giorgio Manganelli) che non riesco a leggerli, anche se ha dei gusti molto diversi dai miei, dicevo, mi sembra che Muccino, così come Fellini, possa dir quello che vuole di chi vuole e possa coltivare le sue predilezioni e le sue idiosincrasie in piena libertà e capisco benissimo che, in un periodo in cui tutti parlano di Pasolini, a un regista possa venire da dire «Ma cosa parlate tutti di Pasolini che non è capace di tenere in mano la macchina da presa?».
Forse lo capisco così bene perché anche a me, ogni tanto, quando tutti parlan di uno scrittore, mi vien da chiedermi come mai ne parlano così tanto per esempio, non so, Roberto Saviano, il suo ultimo libro, quello che si intitola ZeroZeroZero, che è stato il libro italiano più venduto del 2013, ecco io, quando è uscito, ho resistito tanto, a leggerlo, che Saviano, non per via della superiorità morale, proprio per via della scrittura, che per me lui lì ha una scrittura, tutta un’accumulazione, non so cosa farci, non mi piace, e ho resistito due anni poi quest’estate, in libreria, mi sono imbattuto nell’edizione economica, l’ho comprato, ho cominciato a leggerlo, ho letto: «La coca la sta usando chi è seduto accanto a te ora in treno e l’ha presa per svegliarsi stamattina o l’autista al volante dell’autobus che ti porta a casa, perché vuole fare gli straordinari senza sentire i crampi alla cervicale». E lì mi sono fermato “I crampi alla cervicale?” ho pensato. E ho telefonato al mio medico, che si chiama Gabriele, e gli ho chiesto «Gabriele, esistono i crampi alla cervicale?», e lui mi ha detto che non esistono, che è come dire i crampi al mal di testa, o i crampi al mal di denti, o i crampi ai crampi, praticamente.
E allora mi sono fermato nella lettura mi sono detto che potevo fare a meno di comprarlo, ZeroZeroZero di Roberto Saviano, che mi rendo conto che con Pasolini e Muccino non c’entra niente, ma io è un periodo che a Roberto Saviano ci penso un sacco, non so come mai.
[Uscito ieri su Libero]