Sympathy

mercoledì 2 Ottobre 2019

E ieri, alla libreria Verso, a Milano, a presentare I russi sono matti, mi è venuto da dire che Il maestro e Margherita non è un romanzo d’amore, è un romanzo sul diavolo, e che è per quello che, dopo averlo letto, Mick Jagger ha scritto Sympathy for the devil, non Simpathy for il maestro, e neanche Simpathy for Margherita, mi è venuto da dire ieri.

Per carità

lunedì 2 Aprile 2018

«Così, l’hanno molto tormentata?» aveva chiesto Woland.
«Oh, no, Messere», aveva risposto Margherita con voce appena percettibile.
«Noblesse oblige» aveva commentato il gatto e aveva allungato a Margherita un calice pieno di liquido trasparente.
«È vodka?» aveva chiesto piano Margherita.
Il gatto, offeso, era saltato sulla sedia.
«Per carità, regina» aveva gracidato. «Le sembra che mi sarei permesso di offrire della vodka a una signora? È alcool puro».

Protesto

sabato 25 Novembre 2017

Il protagonista di Cuore di cane, romanzo scritto nel 1925 e uscito, in Unione Sovietica, solo nel 1987, è un andrologo e ginecologo russo che si chiama Filip Filipovic Preobrazhenskij e che, nella Russia sovietica, ha la sfacciataggine di dire: «A me non piace il proletariato».
Il suo autore, Michail Afan’asevic Bulgakov, mi fa venire in mente una cosa che ha scritto Viktor Škovskij negli anni venti del novecento, che «la bandiera dell’arte non può mai riflettere i colori della bandiera che sventola sulla cittadella del potere».
Bulgakov è uno che, nel 1930, scriverà a Stalin: «Passando in rassegna i miei ritagli di giornale, ho constatato di aver ricevuto dalla stampa sovietica, nei dieci anni della mia attività letteraria, 301 recensioni, di cui 3 favorevoli e 298 ostili e ingiuriose. Aleksej Turbin, protagonista del mio dramma I giorni dei Turbin, è stato definito sulla stampa un “figlio di cane”, mentre l’autore è stato presentato come un “vecchio cane rimbecillito dall’età”. Hanno scritto di me come di uno “Spazzino della letteratura”, che raccatta gli avanzi “vomitati da una dozzina di commensali”.
Hanno affermato che mi piace “L’atmosfera da accoppiamenti canini che aleggia intorno alla rossa moglie di un mio amico”, e che il mio dramma I giorni dei Turbin “Puzza”, e così via».
Tra le cose di Bulgakov destinate a ricevere un’accoglienza non proprio favorevole, in epoca sovietica, c’è un romanzo intitolato Il Maestro e Margherita, che Bulgakov finirà di scrivere nel 1940 e che sarà pubblicato solo negli anni sessanta, più di vent’anni dopo la morte di Bulgakov, il cui primo capitolo, intitolato Non parlate mai con gli sconosciuti, comincia in una via del centro di Mosca, la Malaja Bronnaja.
Ci son due signori che, camminando verso gli stagni Patriarshie, parlano dell’inesistenza di Gesù Cristo, poi arrivano agli stagni e si fermano a un chiosco di bevande e chiedono alla signora che lo gestisce dell’acqua minerale, e l’acqua minerale non c’è; allora le chiedono della birra, e la birra non c’è; allora le chiedono cosa c’è, e lei risponde che c’è del succo d’albicocca.
E loro scelgono due succhi di albicocca, e lei apre i succhi di albicocca e si sparge nell’aria un odore che in russo è «parikmàcherskoj», che io nella mia testa l’ho sempre tradotto “di pettinatrice”, che era il modo di mia nonna di chiamare le pettinatrici; che l’altra gente, a parte mia nonna, credo le chiamassero le parrucchiere.
E poi i due ricominciano a parlare dell’inesistenza di Gesù Cristo e un signore straniero, che gira da quelle parti con una giacchetta a quadri e un gatto enorme che si chiama Begemot, che in russo significa ippopotamo, e che monta sugli autobus, il gatto, il signore, dicevo, che è molto gentile, si scusa, e dice che non ha potuto fare a meno di ascoltare la loro conversazione e, gli dispiace, ma i signori si sbagliano, Gesù Cristo è esistito.
E dopo un po’ salta fuori che quel signore lì è stato a colazione con Kant, anche se Kant è morto da più di un secolo, perché lui, quel signore lì, è il diavolo, cioè «Parte di quella forza che eternamente vuole il male e eternamente compie il bene», come dice l’epigrafe, che è presa da Goethe.
E quando un aiutante del diavolo, che si chiama Korov’ev, va con Azazello, un altro della brigata diabolica, nella sede dell’unione degli scrittori e prova a entrare, e una donna lo ferma e gli chiede «Siete scrittori?», e lui risponde «Certo», e lei gli chiede le tessere, lui allora le dice «Ma per convincersi che Dostoevskij è uno scrittore, ha per caso bisogno della tessera? Prenda un suo libro qualsiasi e ne legga cinque pagine e lo capisce subito, che è uno scrittore. Secondo me Dostoevskij non ha mai avuto tessere», dice Korov’ev.
E quando la signora gli dice «Lei non è Dostoevskij», Korov’ev le chiede «Come fa a saperlo?». E quando lei gli dice «Dostoevskij è morto», «Protesto!», dice Korov’ev, «Dostoevskij è immortale!».
E quando poi il diavolo, che si chiama Woland, incontra, sul tetto di un bellissimo edificio del centro di Mosca che diventerà poi pare ella biblioteca Lenin, un inviato di Dio, Levi Matteo, ex assessore delle imposte, che lo tratta male, e non lo saluta, e lo chiama Spirito del male, il diavolo allora gli chiede «Se sei venuto da me, perché non mi hai dato il buongiorno?». E Levi Matteo gli risponde «Perché non voglio che il tuo giorno sia buono». E allora il diavolo dice: «Parli come se non conoscessi le ombre, e neppure il male. Ma cerca, se puoi, di meditare su questa domanda: che mai farebbe il tuo bene, se non esistesse il male, e come apparirebbe la terra, se scomparissero le ombre? Gli uomini, le cose, proiettano ombre. Guarda l’ombra della mia spada. E ci sono le ombre degli alberi e degli esseri vivi. Vuoi scorticare tutto il globo terrestre, togliendogli tutti gli alberi, tutti gli esseri vivi, per la tua fantasia di godere della nuda luce? Tu sei uno stupido».
E questo diavolo, protagonista di un romanzo, scritto nell’atea Unione Sovietica, in cui si afferma l’esistenza storica di Gesù Cristo, è uno dei personaggi più belli del novecento, secondo me, e quando son stato a Mosca per la prima volta, nel 1991, il primo posto che ho cercato è stato la Malaja Bronnaja, e gli stagni Patriarshie, e negli stagni l’acqua era ghiacciata, e c’eran dei bambini che giocavano a hockey e mi sembravan bravissimi e mi era sembrato, me lo ricorderò sempre, un’allucinazione, probabilmente, ma mi era sembrato di sentire odore di pettinatrice e avevo pensato che io, nella mia vita, se non avessi letto quel romanzo lì di Bulgakov, non avrei mai riconosciuto l’odore di pettinatrice e mi è venuto su un senso di riconoscenza che mi faceva piangere.
E l’ultima volta che ci son stato, nel 2017, ho cercato il chiosco di bevande per bere un succo di albicocca e non l’ho trovato, ho trovato invece un cartello, uno di quelli rotondi, cerchio rosso su fondo bianco, con una striscia rossa nel mezzo, un divieto, e in nero c’eran le sagome che definivano cos’era vietato ed erano un signore straniero elegante, il suo scudiero, Korov’ev, e un gatto enorme, come un ippopotamo, e sotto c’era scritto che «È vietato parlare con gli sconosciuti», in quella piazza di Mosca.
E di fronte al cartello, avevo saputo poi dopo, c’eran montate delle telecamere perché quel cartello, i primi quattro anni che era stato montato, l’avevan rubato sei volte, per quello forse quando ci andrete, se mai ci andrete, forse non lo trovate, ma sappiate che dicono che c’è stato, e lo dico anch’io.

[uscito ieri sulla Verità]

Begemòt

lunedì 3 Luglio 2017

Allora io, mi ricordo, dovevo fare qualcosa, non avevo niente da leggere, avevo preso l’antologia di mio fratello, che faceva, secondo me, la prima superiore, e l’avevo sfogliata e ero capitato su un pezzo che si svolgeva in un teatro di Mosca dove c’era un uomo con una giacchetta a quadri, un gatto grande come un ippopotamo (che si dice in russo, me lo ricordo da allora, бегемот – begemót) e i moscoviti che, eran passati dei secoli, eran sempre gli stessi.
Non avevo mai sentito parlare, prima di allora, di quello scrittore, era un certo Bùlgakov.
Qualche anno dopo, facevo il primo anno di università, la mia lettrice di russo mi aveva chiesto su chi avrei voluto fare la tesi, io le avevo detto «Su Bùlgakov», con l’accento sulla u, Bùlgakov.
«Su chi?», mi aveva chiesto lei.
«Su Bùlgakov, – le avevo detto io, – quello che ha scritto Il maestro e Margherita».
«Aah, – mi aveva detto lei, – su Bulgàkav».
E avevo scoperto che si pronunciava Bulgàkav, con l’accento sulla a e con la o che era anche lei quasi una a, il modo che si pronunciava.
Comunque, quel primo giorno, quella mezz’ora pomeridiana che non avevo niente da leggere, lì io, adesso è difficile dir queste cose, ma lì io secondo me ho cominciato a piegar verso il russo, come studi, cioè ha cominciato a manifestarsi allora la tendenza a pensare che avrei studiato russo, nella mia vita, e poi dopo un po’ l’ho studiato davvero ma in un certo senso avevo cominciato subito, da quel romanzo lì, in italiano, lo ero andato a cercare subito in libreria e l’avevo trovato e l’inizio, mi ricorderò sempre quell’inizio, con quella forza che eternamente vuole il male e eternamente compie il bene, e con quei signori che si trovavano in una via di Mosca che si chiamava Malaja Bronnaja, e poi arrivavano nella piazza degli stagni Patriarši e trovavano una signora che aveva un chiosco di bevande e chiedevano dell’acqua minerale, e l’acqua minerale non c’era, allora chiedevano della birra, e la birra non c’era, allora le chiedevano cosa c’era, e lei diceva che c’era del succo d’albicocca.
E mi viene in mente un film che ho visto qualche giorno fa dove c’era un colonnello del KGB che a Mosca, negli anni novanta, raccontava cha in ulica Gor’kij , una strada del centro, una signora era entrata in un negozio aveva chiesto «Non avete della carne?».
E il negoziante aveva risposto «In questo negozio non abbiamo del pesce, la carne non ce l’hanno nel negozio di fronte».

[Da una prefazione al Maestro e Margherita che uscirà, forse, per Salani]

Un personaggio in tre parole

martedì 25 Ottobre 2016

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Ieri sera, alla scuola media inferiore di letteratura popolare (come scrivere un romanzo che vende moltissimo) abbiamo parlato delle descrizioni e a me è venuta in mente la moglie del Maestro e Margherita, non Margherita, quella di prima, la moglie, che Bulgakov risolve in tre parole, in russo, che diventano cinque in italiano: «un eterno vestitino a righe», che è una liquidazione talmente potente che io me la ricordo a memoria fin dalla prima volta che ho letto quel libro lì, trentacinque anni fa circa.

Tre cose russe

sabato 13 Giugno 2009

Incollo qua sotto un pezzetto su tre cose russe tradotte quest’anno che esce oggi sul manifesto (è un po’ lunghino).

 

Tre cose russe

In un articolo del 1924, Il presente letterario, Jurij Tynjanov diceva che, ai suoi tempi, nel 1924, in Unione Sovietica, gli scrittori scrivevano senza gioia, come se facessero rotolar dei massi. Con ancora meno gioia, secondo Tinjanov, gli editori trasportavano quei massi fino alla tipografia e quegli stessi massi, poi, i lettori li guardavano con assoluta indifferenza.
I lettori, scriveva Tynjanov, si trascinano fino alle librerie e chiedono: E poi, cosa c’è? E quando gli danno questo poi, si accorgono che questo poi c’era già stato. Perché gli editori a lui contemporanei, secondo Tynjanov, non avevan fatto quasi altro, in quegli anni, che pubblicare Tarzan, il figlio di Tarzan, la moglie di Tarzan, il suo bue e il suo asino, e, con l’aiuto di Erenburg, avevano quasi convinto il lettore che questo Tarzan fosse, in sostanza, la letteratura russa. Continua a leggere »