lunedì 22 Ottobre 2018
Mi chiamo Angela Vitiello. Sono di Napoli. Grazie a Giorno e notte ho perso più di trenta chile e sono contenta. Questi se vi interessano sono taglia cinquanta quarantotto, da una taglia più di sessanta. Posso fare la fotomodella? Vi piace? Non riuscivo molto a salire le scale facilmente, l’affanno, non riuscivo a prendere più i bambini in braccio, se facevo un servizio mi dovevo riposare. Invece adesso non più. Adesso salgo le scale, anzi voglio sempre camminare a piedi. Prima mio marito mi diceva vuoi camminare un poco a piedi? No, mi scoccia. Adesso cammino a piedi, faccio molti chilometri a piedi mi piace camminare. Sono più energica, più attiva. Mi sento diversa. Il mio abbigliamento è cambiato dalla stalla alle stelle, per il semplice fatto che io dovevo adeguarmi ai vestiti delle persone anziane oppure farmi fare qualche vestito da una sarta per la mia misura. Adesso invece vado nei negozi, negozi famosi, negozi che io prima non ci potevo stare perché non esistevano le mie misure. Vado nei negozi normali, calzo la taglia quarantottocinquanta facilmente. Mi sento, c’ho un guardaroba che sto mano a mano rinnovando, perché ogni anno lo deve rinnovare, perché ogni anno mi vanno grandi e lo deve rinnovare per la misura più piccina. È diverso. Poi vesto un poco più moderna. Ho conservato un cappotto che portavo allora, quando me lo metto addosso è enorme. È enorme e poi ho conservato anche un vestito di seta pantalone e uno spolverino sopra, ma sono enormi. Li ho conservati tre anni per andare a guardare per vedere la differenza. Mio marito diceva sempre che dovevo dimagrire, dovevo dimagrire. E io dicevo sì sì lo facevo contento due tre giorni e poi… Allora stavamo sempre i battibecchi fra tutti e due. È l’alimentazione che prima facevo un’alimentazione sbagliata. Proprio sbagliata, mangiavo tutto fuori orario e assaggiavo cose, mangiavo dolci. Adesso ho capito che ci vuole una “cornetta alimentazione”. Allora basta usare queste bustine che dove vado vado non ho bisogno di acqua, niente. Dopo pranzo me la prendo, la apro me la metto sotto la lingua e basta. Zac tac. È finito, subito non tengo più problemi.
(Il compito della sbobinatura di Matteo Martignoni, dalla Scuola elementare di scrittura emiliana per non frequentanti)
giovedì 22 Giugno 2017
Stanno per ripartire i corsi della scuola elementare di scrittura emiliana e della scuola media inferiore di scrittura emiliana, e ho cercato in rete il programma, che è su questo sito, e adesso lo rimetto, quando lo trovo, non l’ho ancora trovato, ho trovato invece una recensione a Scuola elementare di scrittura emiliana per non frequentanti, un libro uscito nel 2014 per Corraini, con le illustrazioni di Yocci, che mi è piaciuta molto, la recensione, dice così:
«Libro inutile e pessimo. L’ho ricevuto per errore e ho provato a leggerlo (senza riuscire ad andare molto avanti). Di notevole ho notato solo la pretenziosità dell’autore (andatevi a vedere la sua pagina su Wikipedia, è più lunga di quella di Alessandro Manzoni). Gente che crede che sia sufficiente pubblicare libri per essere scrittori. Evitatelo». Il signor Giacomo Bellini, l’ha scritta. Grazie, mi ha fatto star bene.
venerdì 9 Settembre 2016
Venerdì 9 settembre,
a Mantova,
in Galleria Corraini,
via Ippolito Nievo 7,
Merenda e firmacopie con Yocci (I racconti del Re della Torta di Carote)
e Paolo Nori (scuola elementare di scrittura emiliana per non frequentanti)
martedì 2 Dicembre 2014
Ho ricevuto ieri una soluzione che mi piace all’uguaglianza pubblicata alla fine della Scuola elementare di scrittura emiliana per non frequentanti:
Adès i cièva tótt : adesso c’è libertà di coito = me l’è trent’an ch’a chégh cumè un arlózz : x
e x, nella soluziuone di Laura (grazie), è questa:
sono trent’anni che regolano Greenwich sulla mia peristalsi
lunedì 10 Novembre 2014
La lingua batte di domenica 9 novembre, l’inizio, dove si parla di Scuola elementare di scrittura emiliana per non frequentanti: Clic
domenica 9 Novembre 2014
Domenica 9 novembre,
su radio 3,
alle 10 e 45,
all’inizio di La lingua batte,
parliamo,
con Giuseppe Antonelli,
di Scuola elementare di scrittura emiliana
per non frequentanti
(con esercizi svolti)
mercoledì 17 Settembre 2014
Volevo sapere che cosa ha rappresentato l’esperienza dei corsi per lei e come si è evoluta nel tempo. Ci sono allievi che hanno pubblicato? Che cosa cercano i partecipanti alle lezioni? Ci sono i loro esercizi nel libro…
I primi anni ero preoccupato e mi preparavo forse meglio, alle lezioni, adesso sto peggiorando, mi sembra. Ci sono allievi che hanno pubblicato e credo avrebbero pubblicato anche se non avessero fatto la scuola; una volta mi è venuto da dire che ero contento che la scuola non li aveva dissuasi dal pubblicare. Cosa cerchino non lo so, e mi vien da pensare che non gliel’ho neanche mai chiesto. Nel libro ci sono esercizi di trenta ex allievi.
Che cosa si intende per scrittura emiliana? Ci sono dei maestri di scrittura emiliana? (mi viene in mente Celati…). Perché questo libro?
Uno dei motivi per cui sono contento che sia uscito il libro è che ci sono i disegni di Yocci, che se non ci fosse stato il libro non ci sarebbero stati, e sarebbe un peccato. Non penso che si debba scrivere in emiliano (ci son state scuole di scrittura emiliana all’estero, a Milano, a Torino, a Genova, a Lugano, perfino), penso che si possa scrivere non soltanto con una lingua alta, colta, letteraria, nazionale, esemplare, ma anche con una lingua bassa, concreta, grossolana, la lingua degli autobus, delle sale d’aspetto, dei marciapiedi delle stazioni, perché quella, mi sembra, è la lingua dei romanzi, i cui personaggi non son sempre dei dottorandi in letterature comparate, e anche quando son dottorandi in letterature comparate non parlano sempre ostendando la propria condizione di dottorandi in letterature comparate, usano anche loro una lingua regionale, goffa, sgraziata, che, a guardarla bene, delle volte, è bellissima.
Che cosa si può insegnare rispetto alla scrittura e che cosa invece è talento? E come lo si riconosce? Cosa pensa del fatto che in moltissimi vogliono scrivere, in un paese dove si legge sempre meno?
Da quando ho cominciato a scrivere io leggo molto di più, e credo succeda così un po’ a tutti, e il fatto che in molti vogliano scrivere per me è una cosa positiva. Non so se si può insegnare a scrivere e non so niente del talento, so che noi ci mettiamo lì, alla modo infoshop, al lunedì sera, alle nove di sera, e arriviamo spesso che siamo stanchi, dopo un giorno di lavoro, e andiamo via, tre ore dopo, che non siamo più stanchi, ed è una cosa stupefacente.
[Su Repubblica Bologna dovrebbe essere uscita una riduzione di una intervista di Emanuela Giampaoli che ho copiato qua sopra nella sua forma integrale]
mercoledì 17 Settembre 2014
Mercoledì 17 settembre,
a Bologna,
alla liberia Modo infoshop,
in via Mascarella 24/B
alle ore 21,
Scuola elementare di scrittura emiliana
per non frequentanti
(con esercizi pratici: clic)
mercoledì 17 Settembre 2014
E per finire, vorrei proporre un compito minuscolo a tutti i lettori di questo libretto; si tratta di una traduzione dal dialetto di Santarcangelo di Romagna che credo possano fare anche quelli che, come me, il dialetto di Santarcangelo di Romagna non lo sanno. È la traduzione dell’inizio di una poesia di Nino Pedretti. È un poeta che mi piace moltissimo, Pedretti, ma che leggo in pubblico raramente proprio per via delle traduzioni, perché la traduzione delle sue poesie, raccolte in un volume dell’Einaudi che si intitola Al vòusi, è fatta in un modo che io non lo so. Una di queste poesie si intitola L’orgasmo e è stata scritta credo negli anni settanta, e l’io narrante, la voce che parla nella poesia, è una donna di settant’anni che si lamenta che quando era giovane lei di queste cose qui, dell’orgasmo, della liberazione sessuale, non ne parlava nessuno, e la poesia inizia con un verso che fa così: Adès i cieva tótt , che si potrebbe tradurre Adesso chiavano tutti, o Adesso scopano tutti, o Adesso guzzano tutti, o Adesso fiondano tutti eccetera eccetera. Be’, quella poesia lì, nell’edizione Einaudi delle poesie di Pedretti, è tradotta così: Adesso tutti fanno sesso. Che, a parte il fatto che è un’altra cosa, che far sesso e fiondare, cioè fiondare è proprio una pratica precisa, con delle regole precise, ma lasciamo perdere, a parte quello, l’espressione Fare sesso, detta all’inizio degli anni settanta da una signora settantenne che quindi era nata all’inizio del secolo scorso, non lo so, magari mi sbaglio, ma a me sembra che una signora così a fare sesso non ci hai mai neanche pensato. Stasera forse facciamo sesso è una frase che dentro le teste, in Italia, nel 1970, non la pensava nessuno, figuriamoci le signore di settant’anni. Pedretti era amico di Raffaello Baldini, altro grande poeta, erano tutti e due di Santarcangelo, e Baldini raccontava che Pedretti di solito non parlava in dialetto, ma in italiano, in casa parlava italiano, e il dialetto era una lingua che aveva imparato per strada, e i suoi primi versi in dialetto non li pubblicava neanche, anzi uno l’aveva regalato a Baldini. «Ricordo, – scrive Baldini, – che a un certo momento Nino cominciò a dirci, a dire a me a Lina, mia moglie, due versi in dialetto, due endecasillabi, campati in aria, fuori da ogni contesto, due versi che aveva acchiappato al volo, che gli erano fioriti dentro gratuitamente. Ce li diceva e ce li ripeteva, con autoironia, divertendosi e divertendoci. Il primo di questi versi era: «Mè, s’i m déss da capè, abdrébb a lèt» («Io, se mi dessero da scegliere, andrei a letto»), il secondo era: «Me l’è trent’ann ch’a chégh cumé un arlòzz» («Io sono trent’anni che cago come un orologio»). Dopo un po’, – scrive Baldini, – un giorno chiesi a Nino: «Questo verso, «Me l’è trent’ann ch’a chégh cumé un arlòzz», non me lo regaleresti?». E lui rispose: «Sì, sì, prendilo pure». Continua a leggere »
martedì 9 Settembre 2014
C’è della gente che ha in mente di scrivere per degli anni, o per dei decenni e che, per degli anni o per dei decenni, ha in qualche angolo della testa l’idea che prima o poi scriverà un romanzo, ed è un’idea che li fa star bene, e c’è questa gente che quando viene il momento di mettersi lì davvero a scrivere quel romanzo che sono degli anni o dei decenni che pensa di scrivere, pur di non scriverlo, quella gente lì si inventano tutte le cose possibili e immaginabili per frustrare quella spinta lì a scrivere, non so perché, forse perché poi dopo, quando l’hai scritto, un romanzo, non ti puoi più rifugiare in quell’angolo lì della testa dove ti dici che prima o poi scriverai un romanzo che si sta così bene, a dirsi così.
Solo che se l’hai già scritto, il romanzo, non puoi dirti che lo scriverai, l’hai già scritto, devi trovare un altro angolo in cui rifugiarti che si fa fatica, a trovarli, quegli angoli lì.
Allora forse se tu fallissi, se tu rinunciassi, sarebbe forse anche meglio, che poi tanto, alla fine, anche se ci riuscissi comunque sarebbe inutile, che tanto comunque il mondo è corrotto, che gli altri, loro, tu sei da solo, e loro son tutti, ti vien da pensare continuamente anche se qualche anno fa, per esempio, hai letto un libro di René Girard che si intitola Menzogna romantica e verità romanzesca che dice che i romanzi servono a quello, per smascherare la menzogna romantica che dice che tu sei da solo e loro sono tutti, che invece non è vero, e la cosa vera sarebbe che tu sei da solo e loro son da soli anche loro, è la verità romanzesca secondo Girard, se hai capito quel libro lì di Girard.
Eppure, pur avendo letto quel libro lì di Girard e pur avendo l’impressione di averlo anche capito, io, per esempio, nel corso della scrittura di questo libretto, un lunedì mattina mi son seduto al tavolo, stavo per cominciare a scrivere, ho sentito una voce, dentro la testa, che mi diceva «Ma cosa vuoi scrivere? Ma chi ti credi di essere, a voler scrivere? Ma non ti rendi conto che sei solo una merda e che non hai nessuna speranza di essere altro?». E mi sono fermato, nella scrittura, ho fatto due conti, ho pensato che eran diciassette anni, che sentivo quella voce lì.
[Scuola elementare di scrittura emiliana per non frequentanti, pagine 156-157]