Il poeta Mariengof

giovedì 5 Maggio 2022

Ossignore, pof, pof, pof,
C’è il poeta Mariengof.
Molto beveva, molto mangiava,
Senza mutande in giro andava.

[Anatolij Mariengof, Romanzo senza bugie, traduzione di Sergio Leone, Roma, e/o 1986, p. 79]

La fortuna

sabato 28 Marzo 2020

Uno, che si chiamava Sergej Esenin, diceva che, alla vita, la fortuna bisognava chiederla in un certo modo. Bisognava fare come quel vagabondo di Odessa che chiedeva l’elemosina così: «Cittadina, mi dia cinque copeche! Altrimenti le sputo in faccia: ho la sifilide.»

[Anatolij Mariengof, Romanzo senza bugie, dal Repertorio dei matti della letteratura russa, in preparazione]

Per favore

sabato 15 Febbraio 2020

Uno era un poeta e quando un suo amico gli aveva confessato di essere innamorato di sua moglie, aveva risposto: “Prenditela per favore, ti sarò riconoscente in eterno”.

[Dal Repertorio dei matti della letteratura russa, in preparazione]

Una libreria vuota

venerdì 15 Giugno 2018

Anatolij Mariengof, Romanzo senza bugie

Ancora ai tempi della libreria, quadri e incisioni rare cominciarono ad abbandonare le pareti dell’appartamento di Aleksandr Malent’evič. E dopo poco cominciarono a diradarsi i libri sugli scaffali.
Accadde che per quasi un anno non andai a casa sua. Quando entrai il mio cuore si mise la coda tra le zampe e cominciò a guaire: per un uomo che vive di libri, avere la libreria vuota è come tenersi in casa un cadavere.

[Anatolij Mariengof, Romanzo senza bugie, traduzione di Sergio Leone, Roma, e/o 1986, pp. 54-55]

Un altro cappotto

martedì 21 Marzo 2017

Anatolij Mariengof, Romanzo senza bugie

[Stasera, alla scuola elementare di scrittura emiliana e letteratura russa, per provare a raccontare come mai, in Russia, uno scrittore, nel XIX e XX secolo, erano tanto importanti, ho letto questo pezzo di un romanzo del poeta russo Anatolij Mariengof, ambientato a Mosca sul finire degli anni 10 del novecento]

Sto tornando a notte inoltrata dalla casa d’un amico. Nel cielo una nube come un lavabo di ferro col rubinetto rotto d’una casa di campagna: butta giù una pioggia maledetta, continua, ininterrotta.
I marciapiedi della Tverskaja sono neri, lucidi come il mio cilindro. Mi appresto a svoltare nel vicolo Kozickij. D’un tratto dall’altro lato della strada sento:
– Straniero, fermati!
Gli ingenui erano stati ingannati dal mio cilindro e dal cappotto di sartoria.
Cinque uomini si scostarono dal muro.
Mi fermo.
– Cittadino straniero, i suoi documenti!
Un cocchiere col suo vecchio cavallo arrancava sulle pozzanghere del selciato irregolare. Guardò dalla nostra parte, e via, frustando il suo bucefalo che partì a razzo: non era mica stupido. Nei pressi del caffè Lira, all’angolo del vicolo Gnezdnikovskij, un guardiano sonnecchia nella sua giacca rossa. Un attimo e già sgattaiola nella viuzza, e chi s’è visto s’è visto.
Non un’anima viva. Non un cane randagio. Non un pallido lampione. Chiedo:
– In base a quale diritto, compagni, volete i miei documenti? Avete il mandato?
– Il mandato?…
E un ragazzo col berretto da studente e il viso pallido e sciupato, come un cuscino non sprimacciato dopo la notte, agitò davanti al mio naso un revolver:
– Ecco il mandato, cittadino!
– Ma allora volete il cappotto, non i documenti!
– Grazie a Dio, l’ha capita…
E come per aiutarmi a togliermi i paramenti, il ragazzo dal viso sciupato si appostò dietro di me, come il portiere di un buon albergo.
Provai a scherzare. Ma non era il momento. Il cappotto me l’avevano appena confezionato. Di buon taglio, stoffa inglese di ottima qualità.
Il viso sciupato mi guardava malinconicamente.
E quando, scoraggiato al massimo, già mi stavo sfilando le maniche, in mio aiuto giunse puntualmente l’amore senza confini dei russi per l’arte.
Uno della cordiale compagnia, dopo avermi osservato, chiese:
– E come ti chiami, cittadino?
– Mariengof…
– Anatolij Mariengof…
Piacevolmente sorpreso dalle dimensioni della mia fama, ripetei con orgoglio:
– Anatolij Mariengof!
– L’autore di Magdalena?
In quell’istante fortunato e magico della mia vita non solo ero pronto a consegnare loro il cappotto di sartoria, ma ad aggiungervi spontaneamente pantaloni, scarpe di vernice, calzini di seta e fazzoletto.
Nonostante la pioggia! Nonostante non fosse molto dignitoso tornare a casa in mutande! Nonostante l’equilibrio spezzato del nostro bilancio! Nonostante! Mille volte nonostante! E tuttavia quanto è complesso, appetitoso, prelibato il lauto pasto per l’ambizione dell’ingordo Falstaff che abbiamo dentro di noi!
Occorre dire che i miei conoscenti notturni non toccarono il cappotto, il capo che aveva scoperto in me Mariengof si profuse in mille scuse, mi accompagnarono amabilmente fino a casa e, nel salutarli, strinsi loro forte le mani e li invitai alla Stalla di Pegaso ad ascoltare le mie nuove composizioni.

[Anatolij Mariengof, Romanzo senza bugie, traduzione di Sergio Leone, Roma, e/o 1986, pp. 31-32]

Non esiste una forza

domenica 22 Novembre 2015

Anatolij Mariengof, Romanzo senza bugie

Non esiste una forza che sia riuscita a strappare di dosso, a noi russi, la funesta inclinazione alle arti: non c’è riuscito il pidocchio portatore di tifo, né il fango gelatinoso di periferia che t’arriva alle caviglie, né la mancanza di cessi, né la guerra, né la rivoluzione, né i guanti consunti fino alle unghie.
Possiamo dire d’essere delle nature nobili.
Sto tornando a notte inoltrata dalla casa d’un amico. Nel cielo una nube come un lavabo di ferro col rubinetto rotto d’una casa di campagna: butta giù una pioggia maledetta, continua, ininterrotta.
I marciapiedi della Tverskaja sono neri, lucidi come il mio cilindro. Mi appresto a svoltare nel vicolo Kozickij. D’un tratto dall’altro lato della strada sento:
– Straniero, fermati!
Gli ingenui erano stati ingannati dal mio cilindro e dal cappotto di sartoria.
Cinque uomini si scostarono dal muro.
Mi fermo.
– Cittadino straniero, i suoi documenti!
Un cocchiere col suo vecchio cavallo arrancava sulle pozzanghere del selciato irregolare. Guardò dalla nostra parte, e via, frustando il suo bucefalo che partì a razzo: non era mica stupido. Nei pressi del caffè Lira, all’angolo del vicolo Gnezdnikovskij, un guardiano sonnecchia nella sua giacca rossa. Un attimo e già sgattaiola nella viuzza, e chi s’è visto s’è visto.
Non un’anima viva. Non un cane randagio. Non un pallido lampione. Chiedo:
– In base a quale diritto, compagni, volete i miei documenti? Avete il mandato?
– Il mandato?…
E un ragazzo col berretto da studente e il viso pallido e sciupato, come un cuscino non sprimacciato dopo la notte, agitò davanti al mio naso un revolver:
– Ecco il mandato, cittadino!
– Ma allora volete il cappotto, non i documenti!
– Grazie a Dio, l’ha capita…
E come per aiutarmi a togliermi i paramenti, il ragazzo dal viso sciupato si appostò dietro di me, come il portiere di un buon albergo.
Provai a scherzare. Ma non era il momento. Il cappotto me l’avevano appena confezionato. Di buon taglio, stoffa inglese di ottima qualità.
Il viso sciupato mi guardava malinconicamente.
E quando, scoraggiato al massimo, già mi stavo sfilando le maniche, in mio aiuto giunse puntualmente l’amore senza confini dei russi per l’arte.
Uno della cordiale compagnia, dopo avermi osservato, chiese:
– E come ti chiami, cittadino?
– Mariengof…
– Anatolij Mariengof…
Piacevolmente sorpreso dalle dimensioni della mia fama, ripetei con orgoglio:
– Anatolij Mariengof!
– L’autore di Magdalena?
In quell’istante fortunato e magico della mia vita non solo ero pronto a consegnare loro il cappotto di sartoria, ma ad aggiungervi spontaneamente pantaloni, scarpe di vernice, calzini di seta e fazzoletto.
Nonostante la pioggia! Nonostante non fosse molto dignitoso tornare a casa in mutande! Nonostante l’equilibrio spezzato del nostro bilancio! Nonostante! Mille volte nonostante! E tuttavia quanto è complesso, appetitoso, prelibato il lauto pasto per l’ambizione dell’ingordo Falstaff che abbiamo dentro di noi!
Occorre dire che i miei conoscenti notturni non toccarono il cappotto, il capo che aveva scoperto in me Mariengof si profuse in mille scuse, mi accompagnarono amabilmente fino a casa e, nel salutarli, strinsi loro forte le mani e li invitai alla Stalla di Pegaso ad ascoltare le mie nuove composizioni.

[Anatolij Mariengof, Romanzo senza bugie, traduzione di Sergio Leone, Roma, e/o 1986, pp. 31-32]