Un’intervista

lunedì 10 Maggio 2010

[Sull’ultimo numero di Stilos dovrebbe esserci questa intervista di Alessandro Bonino]

Ti presenti? (chi sei, cosa fai, dove vivi e con chi, da dove vieni e dove stai andando, sei hai pesci, cani, gatti.)

Mi sembra una domanda un po’ indelicata; e ho anche l’impressione di non esser capace di rispondere. Cioè potrei dire che sono un uomo, ma sarebbe già una risposta impegnativa, che ho 46 anni, ma non vorrebbe dir niente, che vivo a Bologna, ma sarebbe vero in parte, che ho due cani, due setter, con i quali vado caccia tutte le mattine nella campagna tra Basilicanova e Santa Maria del Piano, potrei dire qualsiasi cosa, ma che senso avrebbe?

Quel che fai nella tua vita, ti piace? È quello che volevi fare?

Anche questa mi sembra una domanda un po’ indelicata. Comunque dipende dai giorni.

E la musica, c’è della musica che ti piace? Tu suoni o suonavi la tromba, lo fai ancora? E i Bogoncelli, che fine han fatto? Pensi di fare ancora qualcosa in ambito musicale?

Non è che mi piaccia un genere musicale. Non c’è una musica che mi piace. Mi piace il liscio, ma non tutto. Mi piace l’opera, ma non tutta. In generale, quello che mi vien da dire della musica, è che sono molto ignorante, in materia musicale. Suono la tromba in modo orribile. Recentemente, ho suonato la colonna sonora di un booktrailer, il booktrailer dei Malcontenti, che è un romanzo che è uscito da poco. Se uno vuol sentire come suono, può andare a sentirlo su youtube. I Bogoncelli, o, meglio, i nuovi Bogoncelli, visto che ci siamo sciolti e poi ci siamo ricomposti (con lo stesso identico organico e la stessa identica scaletta e gli stessi identici bis, perfino, abbiamo cambiato solo il nome), esisterebbero ancora, ma non ci chiamano più da un anno e mezzo circa. Faccio, o ho fatto, un po’ di cose con dei musicisti, Fabio Bonvicini, Umberto Petrin, Carlo Boccadoro, Maurizio Pisati, Antonio Zambrini, Mirco Ghirardini e il suo concerto a fiato L’usignolo, e son tutte cose che mi piacciono molto. Mi piacerebbe scrivere delle canzoni, alcune le ho scritte ma ci manca la musica, il testo di una è dentro un libro che si chiama Siam poi gente delicata.

Da cosa nasce la tua passione per l’Unione Sovietica?

Non lo so, da dove nasce. Mi vien da dire che mi piace la Russia perché piaceva a mio nonno, ma non tutte le cose che piacevano a mio nonno piacciono anche a me, allora mi vien da dire che mi piace perché è bella, e anche questa, come vedi, è una risposta insensata. Poi quando ci sono andato per la prima volta, in Russia, oltre a essere Russia era anche Unione Sovietica, e era un mondo stupefacente, era proprio una cosa che toglieva il fiato, che ti veniva da piangere a camminare per strada.

Per strada ti riconoscono?

Raramente.

Quando ti chiedono che lavoro fai, cosa rispondi?

Che scrivo dei libri.

Che ne pensi della situazione italiana dal punto di vista politico e sociale?

Quello che penso, in questo caso, mi vien da dire che coincide con quello che vedo, e quello che vedo, in estrema sintesi, è un aumento delle gabbie e dei percorsi obbligati, il che corrisponde, grossomodo, al dire che noi facciamo una vita da carcerati.

Guardi la tv? e se sì, cosa?

No.

Ci sono dei libri, cd, film o persone che vorresti mettere in una
valigia per portarli con te, se tutto il resto dovesse essere
distrutto?

Penso che, se tutto il resto stesse per essere distrutto, avrei delle altre preoccupazioni.

Hai vizi, debolezze, manie, follie?

Sì.

Da bambino, com’eri?

Avevo un gatto che si chiamava Pelè, rosso. Era molto bello e molto buono e mi sembrava molto indipendente.

3 aggettivi che ti descrivano.

Ecco. Non credo di essere capace di descrivere qualcuno, tantomeno me stesso, con tre aggettivi. E, in generale, a parte la questione degli aggettivi, descrivere se stessi, per me, è complicatissimo, e si rischia di essere un po’ indelicati.

Ultimamente, a quanto si legge sul tuo sito, sembra che tu vada molto in bici. Com’è la città, vista dalla bici?

Guarda, devo scrivere un libro, su questa cosa, e non so minimamente da dove cominciare.

Te l’hanno mai rubata, la bici?

Sì, molte, l’ultima due anni fa.

Ti capita di perdere le cose? O di pensare di averle perse e poi
invece ritrovarle nel posto più ovvio?

Mi capita.

Sei una persona che pianifica oppure fai tutto all’ultimo minuto?

Pianifico e poi faccio tutto all’ultimo momento.

C’era un personaggio di un tuo libro (Gli Scarti) che gioca molto ai videogiochi. Tu ci giochi? Se sì, a cosa? Che cosa fai quando ti capita di procrastinare?

No, non ci gioco più, o quasi più. Quando sono contento, che voglio perdere del tempo, compro i giornali.

Che rapporto hai con la tecnologia? È cambiata, in qualche modo, la tua percezione di internet, negli ultimi anni?

Sì, è cambiata, sono meno diffidente e ho meno paura, sia degli strumenti che della gente che li usa. Mi ricordo, quando facevo l’università, avevo letto la Nausea, di Camus, c’èra il protagonista che diceva una frase che mi aveva molto colpito, era questa qua: “Il ne faut pas avoir peur”, non bisogna avere paura. Poi l’ha ripresa anche il papa, mi sembra.

Sul sito ogni tanto dici quanto pesa il libro Vita di Moravia di Alain Elkann. Hai mai fatto un grafico delle variazioni? Oggi quanto pesa?

Non ho fatto grafici, adesso lo vado a pesare.

Ci sono dei libri, o degli autori, senza i quali non saresti ciò che sei?

Be, sì, anche se, per me, è complicato capire cosa vuol dire Essere quello che si è. Il verbo essere, io, devo dire, lo guardo un po’ con diffidenza.

È appena uscito per Einaudi il tuo ultimo romanzo, I malcontenti. Stai già lavorando a qualcos’altro?

Sto lavorando a una traduzione di un romanzo di Tolstoj, che si intitola Chadži-Murat.

Ti piacciono le interviste?

Dipende. Quella che mi hai fatto tu quando è uscito I malcontenti, quella che era composta da un’unica domanda che diceva Ciao Paolo, oggi è uscito il tuo nuovo romanzo, I malcontenti, è bello?, quella lì mi è piaciuta. La Vita di Moravia stamattina pesa 860 grammi.