Un’intervista non pubblicata

martedì 5 Febbraio 2013

[Nell’imminenza della lettura integrale di Grandi Ustionati che c’è stata domenica scorsa, organizzata da Marcos y Marcos, ai Frigoferi milanesi, Severino Colombo, per le pagine milanesi del Corriere della Sera, mi ha fatto un’intervista che non è stata pubblicata perché poi me ne ha fatto un’altra Alessandro Beretta, che è tornato all’ultimo momento da un posto dov’era che mi son scordato di chiedergli che posto era. Visto che l’abbiam fatta, mi dispiaceva che andasse persa, allora la incollo qua sotto]

Innanzitutto sull’evento. Non si sente un po’ come una rockstar a registrare un audiolibro dal vivo, con il pubblico in sala?

No, non mi sento come una rockstar.

Come funziona l’evento: lei con un leggìo davanti agli spettatori o ha pensato ad altre formule?

Non c’è un leggio, c’è un pianista, che si chiama Carlo Boccadoro, davanti a un pianoforte, e ci sono io davanti a un microfono con asta [poi Boccadoro non c’era perché era malato].

Ci vuole più coraggio o più incoscienza per proporre un evento che dura quattro ore? e se dovesse accorgersi che qualcuno si annoia o si addormenta?

La gente che viene è consapevole della durata, ci saranno tre intervalli e chi sarà stanco, o annoiato, potrà andare a casa quando vuole, oppure, se vuole, potrà restare lì ad annoiarsi o a dormire.

Quando scrive ha l’abitudine di rileggersi ad alta voce per sentire come suona il romanzo come a esempio fa Sepulveda? Se si perché? E se no pure.

Lo facevano anche Puškin, Gogol’, Dostoevskij, Tolstoj, Charms, Chlebnikov, lo faceva anche Kierkegaard, e raccomandava di farlo, e io ho letto la sua raccomandazione e mi son messo a farlo e mi son trovato bene.

Secondo lei uno scrittore deve anche saper leggere ad alta voce?

No.

E i libri, i romanzi, devono anche essere belli da leggere? Mi fa qualche esempio, al riguardo.

In generale, mi vien da dire che i libri che leggo, se son belli da leggere, io
sono contento.

Lei è anche traduttore dal russo (visto che ci sentiamo approfitto per ringraziarla per Charms).
È un lavoro in cui bisogna saper far “suonare” parole in lingue un altra lingua. O magari lei la vede diversamente…

Mi son sempre sforzato, con gli autori che ho tradotto (Charms, Gogol’, Tolstoj, Turgenev, Dostoevskij, Lermontov, Chlebnikov e Gončarov), di considerare (anche in prosa) il suono dell’originale, di tenerne conto nella resa italiana, e credo che tutti i traduttori facciano così. Il suono, in fondo, è una componente essenziale della parola, potremmo dire che è il significante, che, insieme al significato, compone la parole, e tradurre un libro senza considerare il significante a me sembrerebbe una pazzia.

Lei è un “lettore” di audiolibri? cosa ha ascoltato?

No, non ascolto audiolibri, li leggo io ad alta voce, ma da solo; quando leggo, muovo le labbra, come quelli che hanno imparato a leggere da poco.

C’è un romanzo non suo, magari russo, che le piacerebbe leggere in pubblico e perché?

Sono tre anni che, un’ora a settimana, il lunedì, dalle 19 alle 20, faccio letture integrali di romanzi russi in una libreria di Bologna. Ho cominciato con le Anime morte, adesso sto leggendo Oblomov. Le registrazioni di queste letture si trovano su un podcast nel sito www.ilpost.it.

Nell’epoca di Twitter e della cultura veloce, si diffondono happening e maratone letterarie (del fenomeno ne ha parlato qualche giorno fa anche il Wall Street Journal). Lei come se lo spiega?

Ci sono moltissime cose che non mi spiego.