Una presentazione

giovedì 1 Febbraio 2018

Buongiorno, si sente? Grazie.
Quando andavo nei posti dove non ero mai stato, fino a un paio di anni fa, leggevo quasi dappertutto un piccolo discorso di presentazione che non so perché oggi mi è tornata voglia di leggerlo; anzi, a dir la verità lo so, perché, mi è tornato in mente di leggerlo, mi è tornato in mente di leggerlo perché quando mi capitava di far dei discorsi che dicevo che avevo studiato russo, e in quasi tutti i discorsi che mi capitava di fare lo dicevo, dopo alla fine c’era sempre qualcuno che mi chiedeva «Ma davvero, hai studiato russo?», «Ma come mai hai studiato russo?», allora io di solito rispondevo in anticipo con un pezzetto di un romanzo che ho scritto con un mio conoscente che si chiama Marco Raffaini che ha studiato russo anche lui, non è ancora il discorso, è una introduzione che vale anche come risposta a quella domanda lì «Come mai hai studiato russo?» che è una domanda che di solito un po’ te la fanno, e è un pezzetto che è preso da un romanzo che si intitola Storia della Russia e dell’Italia che è un romanzo epistolare cioè fatto di lettere che si scambiano due che si chiamano uno Mario e uno Learco e vi leggo l’inizio di una lettera che scrive Learco a Mario e che risponde a quella domanda lì come mai hai studiato russo che, per chi studia russo, dev’essere la domanda che gli fanno più spesso, a uno che studia russo, e è un pezzetto che fa così:

Caro Mario,
ero lì che stavo cominciando a scriverti, volevo dirti che non capisco il motivo del tuo pessimismo in un momento che Alvise ci sta risolvendo i problemi forse sottovaluti il target, ti avrei scritto, che a te le storie della Russia di Tano Cariddi di Toto Cutugno forse a te ti sembrano poco interessanti per via che quando facevamo l’università le hai raccontate e sentite raccontare tante di quelle volte, che quando facevamo l’università tutte le volte che andavamo da qualche parte che c’era della gente che non ci conosceva dopo di solito succedeva sempre che a un certo punto una qualche figa, attratta dal nostro magnetismo animale si avvicinava cercava di attaccare bottone E voi, cosa studiate? chiedeva, Studiamo russo, rispondevamo. Russo? diceva lei. Eh, russo. Ma dài, diceva la figa, ma che interessante, oh, chiamava la gente si rivolgeva anche agli altri, loro studiano russo! Russo? si giravano gli altri si fermavano nei loro discorsi, Ma dài, dicevano, Ma che interessante, Ma lo parlate, anche? Ma ci siete stati, in Russia? Ma non c’è freddo? Ma cosa si mangia?

Che allora noi, ti avrei ricordato, se le prime volte questo interesse per la millenaria cultura russa era una cosa che ci faceva piacere, che c’era scappata anche qualche fiondata, che te, Pensa, dicevi, ci son quelli che vanno in Russia, per fiondare, a noi ci succede che grazie al fatto che siam stati in Russia fiondiamo in Italia, se le prime volte era anche piacevole, ti avrei ricordato, dopo però dopo due o tre anni di questo andiamo io mi sarei ricordato che ci eravamo un po’ rotti i maroni, di parlar sempre delle stesse cose, e che a un certo punto quando ci chiedevano Ma non c’è freddo? Freddo in Russia? rispondevamo, Ma cosa dici? Nella stagione delle piogge tirano i monsoni siberiani non c’è freddo c’è il clima continentale come in pianura padana con in più i monsoni siberiani, gli dicevamo. E che quando ci chiedevano cosa mangiano i russi noi, I bambini, rispondevamo, ti avrei ricordato, e che in generale erano buoni, dicevamo, te dicevi che soprattutto gli uzbechi e i georgiani, ti piacevano, A me piaccion di più gli armeni son più delicati, dicevo io. Solo, ti avrei detto poi dopo, la gente non si scoraggiava neanche dirgli che in Russia c’era caldo che si mangiavano i bambini, Ma davvero? dicevano, Ma che interessante. Allora mi sarei ricordato che gli ultimi anni quando alle feste le fighe, attratte dal nostro magnetismo animale si avvicinavano e ci chiedevano, Ma voi, cosa studiate? noi una volta avevamo anche detto, Noi non studiamo. Davvero? E cosa fate? Facciamo i facchini. I facchini? Eh, i facchini. Ma dài, aveva detto la figa quella volta lì, mi sarei ricordato, ma che interessante oh, aveva chiamato la gente si era rivolta anche agli altri, loro fanno i facchini! I facchini? Si eran girati gli altri si eran fermati nei loro discorsi, Ma dài, avevan detto, ma che interessante, Ma esistono ancora? Ma ci siete già stati, a far dei traslochi? Ma non c’è freddo? Ma cosa mangiano, i facchini? Allora poi dopo, ti avrei scritto poi dopo, abbiamo imparato le ultime feste degli ultimi tempi dell’università in Italia quando la figa, attratta dal nostro magnetismo animale si avvicinava ci chiedeva, Ma voi, cosa studiate? Economia e commercio, rispondevamo. Ah, scusate, diceva la figa.

Ecco.
Questa era la premessa che rende necessaria anche una piccola precisazione.
Perché questa cosa, come vi ho detto, io la leggo quasi sempre, quando vado in giro a leggere, e l’anno scorso l’ho letta al festival di Santarcangelo, dove leggevo una cosa tutti i giorni, e come prima cosa, prima di tutto, ho fatto come stasera, ho letto questo pezzetto e il giorno dopo gli organizzatori mi han detto che quando ho detto figa per la prima volta c’è stata una mamma che si è alzata ha preso per mano la sua bambina l’ha portata via.
Che allora io il secondo giorno mi sono sentito di dire che, essendo io di Parma, noi, a Parma, figa, cioè non intendiamo proprio la figa, no, non è una sineddoche, è un intercalare, noi figa lo usiamo come intercalare, non so, se c’è caldo, noi a Parma diciamo «Figa, che caldo», oppure, se c’è freddo, noi a Parma diciamo «Figa, che freddo», oppure se non c’è né caldo né freddo, noi a Parma diciamo «Figa, che tempo», e con questo finisce la precisazione che c’era dopo la premessa che veniva prima del discorso vero e proprio che comincia adesso e si intitola:

Tradurre la punteggiatura

[Inizio del discorso tradurre la punteggiatura da fare il 7 febbraio a Pavia al collegio Borromeo, se non mi sbaglio]