Una cosa vecchia sulle elezioni
Non so perché, ma ho l’impressione che ci sia una specie di collegamento diretto tra l’Emilia e la Russia. Una volta, una decina di anni fa, avrei voluto fare un’antologia di scrittori emiliani e avrei voluto intitolarla “Allegri e disperati”. Quell’antologia lì, nella mia testa, partiva da una frase di Gogol’. Nella mia testa c’era questa frase di Gogol’ che girava e diceva, più o meno: “Non avete provato anche voi quella sensazione di quando finisce la festa, che vi sembra che vi si stacchi la pelle di dosso?”. Quella sensazione lì di cui parla Gogol’, che dopo la festa la pelle ti si stacca di dosso, è secondo me tipica dell’Emilia, dove il carattere gioviale della gente convive con una discrezione che impedisce di manifestare in pubblico i propri sentimenti e i propri affetti. Allora il momento della disperazione è un momento solitario. Non ci sono, da noi, e non potrebbero esserci, mi sembra, quelle donne che in Sicilia sono pagate per piangere ai funerali. Noi affrontiamo il mondo come se fossimo tutti d’un pezzo, con una dignità e una coerenza che ci hanno insegnato che vanno bene. E quando crolliamo, che crolliamo, crolliamo da soli, dentro le stanze. E uno che viene da fuori non lo direbbe mai, a vederci che teniamo su una compagnia di trenta persone e beviamo lambrusco e diciamo cazzate, non lo direbbe mai che diamo i pugni al muro, quando torniamo a casa.
E quella Russia lì, così assurda e così emiliana come la si trova in Gogol’, io l’ho ritrovata quando in Russia poi ci son stato, che era già Russia ma per molte cose era ancora Unione sovietica.
Una volta, ero a San Pietroburgo, sulla Prospettiva grande dell’isola Vasilevskij, e dovevo andare in biblioteca, e aspettavo il filobus numero 10 e pioveva, e quando il filobus è arrivato ero entrato e avevo visto che sul soffitto, del filobus, c’era un buco, e pioveva dentro. Allora loro cosa avevano fatto? Avevano fatto un buco anche sotto, sul pavimento, alla stessa altezza di quello che c’era sopra, e la gente era dappertutto tranne che in quel cerchio lì di mezzo metro di diametro, e l’acqua entrava da sopra e usciva da sotto, e il filobus andava, e io avevo pensato che quella, per me, era la Russia.
E l’altro giorno ho visto “Diario di un pazzo”, di Andrea Renzi, con Roberto De Francesco, al Teatro Parenti, di Milano, tratto dal racconto di Gogol’, e ha ricominciato a muoversi nella mia testa una frase che vive con me da una ventina d’anni: “E tutto questo, credo, succede perché gli uomini credono che il cervello umano si trovi nella testa; nient’affatto: lo porta il vento dalle parti del mar Caspio”.
E a pensare che adesso, tra poco, i primi di marzo, in Russia si vota, a me torna in mente una cosa che ci è arrivata, nella mia testa, pochi giorni fa, cioè che io, qui in Emilia, non sono governato dalla giunta regionale emiliana, né dalla giunta comunale di Casalecchio di Reno, che è il posto dove abito, né son stato governato da quella di Parma, che è il posto dove ho abitato per tantissimo tempo.
Io, pochi giorni fa, a ripensare al “Maestro e Margherita” di Bulgakov, che nelle prime pagine c’è una signora che ha un chiosco di bevande nel centro di Mosca e apre due succhi di albicocca e intorno si spande odore di parrucchiera, e io, da quando ho letto quella cosa lì, tutte le volte che sento odore di parrucchiera penso al “Maestro e Margherita”, e se non avessi letto “Il maestro e Margherita” probabilmente non avrei mai riconosciuto, nella mia vita, l’odore di parrucchiera, o a ripensare alle poesie di Chlebnikov, e “le ragazze, quelle che camminano, con stivali di occhi neri, sui fiori del mio cuore”, o alle cose che ha scritto Charms, e “prova a restare indifferente, quando finiscono i soldi”, o alle opere di Learco Pignagnoli, filosofo emiliano, e a tutte le volte che mi è tornato in mente che “tranne me e te, il mondo è pieno di gente strana, e poi anche te sei un po’ strano”, a me qualche giorno fa mi è venuto da pensare che io, invece che dai vari governi Pentapartito o monocolore che si dice si siano alternati alla guida del paese negli anni della mia adolescenza e della mia giovinezza, io, piuttosto che da loro, sono stato governato da Bulgakov, da Chlebnikov, da Charms, da Mandelstam, da Blok, da Puskin, da Anna Achmatova, da Lev Tolstoj, da Gogol’, da Dostoevskij, da Victor Erofeev, da Josif Brodskij, da Learco Pignagnoli, da Ivan Gončarov, e sono stato, a volte, per degli attimi, per dei giorni, per dei mesi, un suddito felice e riconoscente.
Allora per me, e per qualche altro emiliano, penso, e magari anche per qualche non emiliano, un evento politico più importante delle elezioni di Putin sarebbe che qualcuno, da qualche parte, in Russia, o in Ucraina, a Kaluga, o a San Pietroburgo, o a Rostov sul Don, o a Volgograd, di notte, nel suo appartamento ancora sovietico, uno che non sappiamo neanche come si chiama, e che fa, probabilmente, un mestiere normale, come ispettore delle mense scolastiche, o qualcosa del genere, sarebbe importante che continuasse a scrivere il romanzo al quale sta lavorando da dei mesi, che continuasse a rubare tempo al sonno per tirare fuori dalla sua pancia il romanzo destinato a governarci, noi emiliani, per i prossimi anni, e a fare di nuovo, di noi emiliani, e forse di qualche altro non emiliano, dei sudditi felici e riconoscenti, speriamo, speriamo.