Un quartiere
[Sto scrivendo il discorso che devo leggere sabato a Santa Margherita al Festival della punteggiatura e c’è un pezzo dove parlo del posto dove ho scritto i primi quattro romanzi che ho pubblicato che a me è un posto che mi sembra ancora stupefacente, a pensarci, avere abitato per decenni in quel posto lì]
Ecco. Allora, per me, la mia tesi è molto semplice e la dico chiaramente fin dal titolo: per me, la punteggiatura, è proprio il confine che divide la lingua parlata dalla lingua scritta, e fare degli esercizi di sbobinatura, prendere dei discorsi orali e metterli per iscritto cercando di far sentire la voce e l’intonazione di quello che parla, cioè fare come ha fatto, mirabilmente, mi sembra, Gianolio, mi sembra una pratica che può essere utile per capire l’importanza, della punteggiatura come confine tra lingua scritta e lingua parlata, che è un confine che in italiano non è un confine che si attraversa spesso, io per esempio, ho cominciato a scrivere dei romanzi nel ’96, diciannove anni fa, e per i primi otto mesi io non ci avevo mai pensato, che la cosa che stavo provando a fare, scrivere un romanzo, aveva a che fare con la lingua che si parlava per strada, con la lingua che usavano i miei vicini di casa, i clienti della tabaccheria dove andavo io, mi ricordo un vecchio, io non lo vedevo in faccia, ho sentito solo la voce, che chiedeva un biglietto del tram, ed era una voce così bella, aveva un modo così bello, di chiedere un biglietto del tram, reso ancora più bello dal fatto che a Parma i tram non ci sono più da quarant’anni, che io credo che non me la dimenticherò mai, quella voce lì, però allora, nella mia testa, non era una voce che potevo usare in letteratura, perché in letteratura, i personaggi letterari non parlavan così, parlavano bene, corretto, non facevano errori: io mi ricordo, quei primi mesi in cui provavo a scrivere, mi ricordo esattamente la posizione in cui era il mio computer, abitavo a Parma, al numero 3 di via Caduti di Montelungo, tra largo Dispersi dell’Egeo, viale Dispersi e Morti in Russia, via Martiri di Cefalonia e via Anna Frank, avevo il computer su un tavolo che era contro un muro, e scrivevo guardando questo muro e la mia attenzione era tutta verso l’alto, il triangolo che percorrevo per ore, nella mia testa, era tra me, il computer e il cielo della letteratura dal quale cercavo di attingere quelle parole, quelle espressioni, quella sintassi leggera, straniante, nuova e antica contemporaneamente che avrebbe fatto di me un maestro di stile, e scrivevo in una lingua dalla quale non si capiva, non si doveva capire, che io ero di Parma, nel cielo della letteratura non c’era Parma, non c’eran confini comunali, provinciali, regionali, c’eran delle altre cose, c’era il premio Nobel, c’eran dei busti, c’era la legge Bacchelli e dietro, là in fondo, c’era la crusca, e i cruscanti, che si intravedevano appena ma restava il dubbio sulla loro natura a metà tra l’umano e il divino, delle cose così.