Un autobus

giovedì 27 Maggio 2010

harstad

Prende un autobus a caso. Il primo che arriva. Si siede in fondo. Guarda dritto davanti a sé. Incontra gli sguardi di quelli che salgono, giovani uomini o ragazzi che non riescono a staccare gli occhi da lei, seduta da sola nel bus, e sognano fidanzate che non avranno mai, qualche ragazza che nota quanto lei sia graziosa, seduta lì con la sua piccola valigia in grembo. E accoglie tutti gli sguardi che le sono diretti, abbassa gli occhi, li rialza, aspetta, guarda gli uomini che la osservano, quelli che sentono una fitta allo stomaco quando la vedono. E appena prima che uno di loro prenda coraggio, prima che qualche ragazzo trovi la forza di alzarsi, di avvicinarsi, lei scende. Prende un altro autobus. Va avanti così. Compare ovunque, in tutto il paese, è lei che incontri, prima o poi, in autobus, sul treno, sull’aereo, lei a cui non fai caso finché non sei seduto, lei il cui sguardo incroci all’improvviso, e arrossisci, ti viene caldo, perché non ci si può innamorare così in fretta, non è così che succede, solo per l’aspetto esteriore, con uno sguardo, ma invece succede e tu sei sull’autobus e pensi che dovresti andare laggiù in fondo, dire qualcosa, pensi, dovresti scendere alla sua stessa fermata, perché non incontrerai mai più una persona più bella di questa. E se solo trovi il coraggio, se adesso dici qualcosa, se scendi insieme a lei, vai da lei, l’abbracci, allora forse, forse o di sicuro, avrai incontrato l’unica persona nell’universo che può fare di te l’essere più felice che sia mai esistito. Invece non lo fai. Non scendi quasi mai alla stessa fermata. Non ti alzi nell’autobus, per dirle o dirgli qualcosa. Rimanete seduti, vi guardate o distogliete lo sguardo, fino a che uno di voi non scende e qualche ora dopo hai giù dimenticato tutto, fino a un mattino, di dieci, vent’anni dopo, quando di colpo senti di nuovo la stessa fitta, te la rivedi davanti, e sai che quel giorno dovevi cogliere la palla al balzo, dire qualcosa. Non l’hai fatto, e l’unica cosa che ti rimane è la certezza che almeno una volta, per un istante nella vita sei stato amato così, senza riserve, senza pretese. Un solo istante, come schioccare due dita. Melodrammatico.

[Johan Harstad, Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?, cit., pp. 206-7]