Tutto tranne che il liscio (secondo giorno-4)

lunedì 1 Giugno 2009

Ecco niente. Io adesso ho una figlia, piccolina, che avrà dei figli, credo, tra vent’anni, tra trent’anni, io non sarò probabilmente neanche più vivo, ma se dovessi esser vivo, se io potessi lasciare ai miei nipoti almeno un ricordo come questo qua, sarebbe un gran bel lavoro. Che la famiglia, è una cosa, quando uno è piccolo non ci pensa mica, la prende un po’ in giro, che poi è un riflesso che rimane un po’ per tutta la vita, una volta, ma mica tanto tempo fa, due o tre anni fa, ero a Basilicanova, da mia mamma, adesso in quella casa là di Basilicanova ci abita mia mamma, e avevo visto un contenitore di biscotti di latta, di quelli grossi di una volta, pieno di bottioni, Hai qualche bottone? le avevo detto a mia mamma con un tono come per prenderla in giro, e lei mi aveva guardato mi aveva detto C’è tutta la storia della nostra famiglia, in quella scatola lì, e io mi ero sentito così coglione. Non so, è difficile, sono argomenti difficili, e con la musica non c’entrano niente, o quasi, ma quel che volevo dire è che ci vuole del tempo, a capire che i tuoi famigliari, alla fine, sono fatti delle stesse cose di cui sei fatto tu, o meglio, che tu sei fatto delle stesse cose di cui son fatti loro. Ci vuole del tempo. Si tende piuttosto a prenderli in giro, a vederne i difetti, a emaciparsi, che è normale, per carità. E così ho fatto io. E sei mesi dopo, sempre nell’ottantacinque, quando poi quella stessa impresa per la quale avevo fatto il colloquio mi avevan chiamato mi avevano chiesto se volevo ancora andare in Algeria, io avevo detto che ci sarei andato molto volentieri. E difatti ci son poi andato, e se devo pensare una musica che ho ascoltato in quel periodo lì, io devo dire che quello è stato un periodo che di musica, non ne ho mai ascoltata; lavoravo 14 ore al giorno, non avevo molto tempo, di ascoltar della musica, e il pezzo da metter su adesso, il pezzo ideale, per quel periodo lì dall’ottantacinque all’ottantotto, prima Algeria e poi dopo Iraq, sarebbe 4’ e 33” di John Cage, che sono, come si sa, 4 minuti e trentatre secondi di silenzio, solo che ho dei dubbi sul carattere, come si dice, radiofonico, di quel pezzo lì, allora è meglio un altro pezzo sempre degli anni ottanta, televisivo, di quel periodo lì che a me veniva da scappare che però tra tutti gli altri pezzi televisi è uno di quelli che mi ricordo più volentieri.

[Si sente qui]