Su Left

domenica 17 Agosto 2014

guatelli

 

 

 

 

 

 

 

 

[Sul numero di Left che è in edicola c’è anche questo pezzetto sul museo Guatelli con le fotografie di Carlotta Zarattini]

Sai come dicono a Parma, a una ragazza, per dirle che è bella? Sei fatta a mano. Ecco, lì dentro, c’è quasi solo della roba fatta a mano. Quello lì è un posto che è un lavoro, che io un lavoro così non l’avevo mai visto. Un museo, ma non un museo, cioè si chiama museo, Museo Guatelli, si chiama, ma lo chiamano Il bosco delle cose, perché lì dentro ci son sessantamila cose che praticamente son come sessantamila storie, perché ciascuna di quelle cose lì ha una storia, e alcune ne hanno anche più d’una perché son cose che hanno dei secoli, e la maggior parte, di quelle cose lì, vengono da quel periodo lì, dell’inizio del secolo scorso, o anche prima, che i contadini, c’era una miseria, sai come dicono a Parma? In casa nostra c’era una miseria che quando siam diventati poveri abbiam fatto una festa, e lì, uguale, una cosa anche quando si rompeva non la buttavano via, la tenevano lì che poteva venir sempre buona. Han cominciato poi dopo negli anni sessanta a buttar via la roba, quando è arrivata la fòrmica, la plastica, ma lì, a Ozzano Taro, c’era un signore, che si chiamava Ettore Guatelli, che era un maestro elementare che per lui era un dispiacere veder buttar via tanta roba, e allora la teneva tutta lui, raccoglieva tutto, aveva questa casa grande, col fienile, e piano piano ha messo insieme questo museo che però è un museo senza quadri, cioè è un museo che non è un museo, è un museo che espone delle falci, delle botti, delle scarpe, delle scatole di latta, ma delle quantità, non so come dire, industriali, cioè non sono industriali-industriali, son sessantamila, che non sono tantissime, non son neanche poche, ma non è la quantità, è la qualità, cioè è la quantità che rafforza la qualità, non so, ti faccio un esempio, quando è andato lì Federico Zeri, il critico, sai Federico Zeri? No? Be’, è un critico, famoso, dell’arte, che ha scritto, dopo che c’è stato, «Per fortuna c’è stato qualcuno che ha raccolto gli oggetti della cultura contadina e ha istituito delle raccolte e la principale, direi la raccolta maggiore, la più importante, la più bella, la più interessante e direi anche la più commovente è quella fatta da Ettore Guatelli, che per tutta la vita ha raccolto gli oggetti della cultura contadina e della vita quotidiana dei contadini e li ha raccolti con un’apertura mentale ECCEZIONALE, senza privilegiare questo o quell’oggetto e ha messo su un museo vicino a Collecchio, a Ozzano Taro. Io lo considero uno dei musei più straordinari dell’Italia, innanzitutto per la ricchezza dei reperti, e degli oggetti, e in secondo luogo per il modo con cui è allestito, modo che dimostra un grandissimo gusto, una grande sensibilità e una grande intelligenza». Oppure Christian Boltanski, sai Boltanski, l’artista? No? Be’, è un artista, performer, regista, credo, è famoso, e è stato lì al museo Guatelli e dopo che c’è stato ha scritto: «Le somiglianze tra la mia poetica e quella di Guatelli, geniale maestro elementare con la passione per il tutto può tornare utile, sono tantissime. Ho visto similitudini non solo con il mio lavoro, ma anche con quello di Duchamp e di Spoerri. Perché anche Guatelli come loro estrapola gli oggetti (in questo caso attrezzi da lavoro) dal loro contesto, li reinveste e li trasforma rendendoli mausolei del passato. Strappa alla dimenticanza echi di persone appartenenti ad un mondo minore, che nessuno avrebbe mai raccolto». Ecco. Sai chi è Spoerri? No? Eh, Spoerri non lo conoscevo neanch’io, è un pittore rumeno, ho scoperto, naturalizzato svizzero, è famoso anche lui. Allora niente. Allora a me, qualche anno fa, mi ci han portato, lì, e quando l’ho visto, io, a me mi è venuto in mente La fondazione, di Raffaello Baldini, sai Raffaello Baldini? No? Be’, Raffaello Baldini è un poeta che non è tanto famoso, forse, ma è straordinario, secondo me, e ha scritto un monologo che si chiama La fondazione dove quello che parla è un signore che tiene da conto, cioè non butta via niente, ma non solo le cose vecchie, fatte a mano, anche quelle nuove, «perché le cose – dice, – si rinnovano, non sono mai le stesse, i vasetti della marmellata, che li tengo da conto anche quelli, ogni tanto cambiano le etichette, anche delle volte la forma, ma le etichette più spesso, e le fanno sempre più colorate, sono sempre più belle, anche i succhi di frutta, che una volta li facevano in quelle bottigliette, che a me mi piacevano, ne tengo una distesa sopra il comò, che così è come un gran sopramobile, tutte bottigliette, adesso invece i succhi li fanno nelle scatole di cartone, ogni scatola la sua cannuccia, di plastica, che puoi bere con la cannuccia, e anche questi cartoni, questi cartoncini, li cambiano, li fanno sempre più, perché devono attirare, se li devi comprare, ti devono colpire, ma anche le medicine, dice Come le medicine, che scadono, bene, ma io non le prendo mica, le tengo da conto, e così vedo anche il cambiamento, che la confezione la rimodernano, continuamente, la fanno sempre più elegante, che è una cosa però che io non la capisco, perché non è la confezione che deve attirare, non è che tu prendi una medicina perché si presenta bene, perché la scatola è fine, non è che uno cambia medicina, dice, questa basta, non la prendo più, prendo quest’altra che è più bella, non è neanche che le farmacie abbiano nelle vetrine tutte queste medicine, che tu ti fermi, guardi, scegli, mi piacerebbe quella lì, o no, forse è meglio quest’altra, è più bellina quest’altra, te lo dice il dottore la medicina che devi prendere, però, cosa vuoi che ti dica, cambiano anche le medicine, che forse anche quella è una cosa che ha il suo effetto, chi lo sa, forse c’entra la psicologia, magari una medicina bella, che la devi prendere, devi prendere quella, te l’ha detto il dottore, te l’ha scritta nella ricetta, ma forse se è anche bella ti fa anche più bene, la psicologia è una cosa misteriosa, l’animo umano», scrive Baldini, e racconta di quello lì che tiene da conto delle cose che non servono a niente, come Guatelli, che lui lo sa, che è tutta roba che non serve a niente, e lo dice «tanto – dice, – è tutta roba che, lo so, non serve a niente, ma se dovessimo buttare via tutto quello che, tutto quello che non serve a niente, non si può, neanche a volere, non si può, uno sguardo, per dire, incontri una bella ragazza, la guardi, a cosa serve? alla televisione, stai a vedere i campionati europei d’atletica, i cento metri, i duecento metri, i quattrocento a ostacoli, il salto in alto, a cosa serve? o quando vengo giù dalla Marecchia, che è già notte, vedo San Marino e Verucchio che è tutta una luce, delle volte mi fermo, si sentono tanti di quei grilli, a cosa serve?». Insomma, te poi fai come vuoi, ma secondo me faresti bene a andarci, al Museo Guatelli, prima che finisca come è finita La fondazione, di Baldini, che nella Fondazione quello lì che parla, tutta quella roba che ha ammucchiato, lui, quello lì, sai cosa fa, alla fine? La smucchia. Ecco. Sarebbe un peccato. Ma grosso.