Se no avrei potuto leggere il giornale
Poi mi ero seduto mi ero messo a aspettare.
Purtroppo quel giorno lì era sabato, non avevo il giornale, se no avrei potuto leggere il giornale.
Avevo cercato tra i libri della libreria, ne avevo trovato uno che avevo già letto ma che avrei riletto volentieri.
Si intitolava Il libro dei fincipit; il fincipit era una pratica che consisteva nel prendere l’inizio di un libro o di una poesia o di una canzone famosa e nell’immaginare un seguito repentino e disastroso che avrebbe provocato la fine immediata di quell’opera o di quella canzone.
E mi ero seduto lì, sulla scaletta, e avevo letto: «Ei fu. Siccome immobile, pagava l’ICI; Chiamatemi Ismaele. Che a me vede il numero sul cellulare e non risponde; Non so che viso avesse, neppure come si chiamava mi spieghi come facevo a andarlo a prendere in stazione?; C’è una strana espressione nei tuoi occhi:
non ti sarai mica cagato addosso?; Alla fiera dell’Est, per due soldi, un topolino mio padre comprò. Ma io l’avevo già letto; Una rotonda sul mare, è mia sorella che nuota; Respiri piano per non far rumore,
o sei proprio morta?; Tanto gentile e tanto onesta pare,
invece non rilascia mai fattura; Meriggiare pallido ‘a soreta; “Chiamatemi Ismaele”. “Ismaeleeee!”; E se domani io non potessi rivedere te, fissiamo per dopodomani?; Una canzone per te; non te l’aspettavi, eh? Invece, eccola qua: però, ti avviso, fa cagare; Tutti ormai lo chiamavano Don Ciccio. Anche se il suo vero nome era Ismaele; Ho visto le menti migliori della mia generazione e ho pensato “Ah, andiam bene. Ah, andiam proprio bene, andiamo”».
Ero arrivato qui, che mi era suonato il telefono.
[Paolo Onori, Fare pochissimo, Milano, Marcos y Marcos 2017, pp. 212-213]