Se c’è un fuggi fuggi è generale

martedì 28 Maggio 2013

Labandadelformaggio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come le è venuto in mente un editore-libraio come nuovo protagonista?
Non mi ricordo bene.

Ermanno, in qualche modo, è “antipolitico”, ma diffida anche di tutto quello che si presenta come “nuovo”. Insomma, è tutt’altro che grillino. Si sente “governato” solo dalla letteratura. La letteratura può essere una guida per la politica?

Per come capisco io Ermanno, lui pensa che la politica non consista nell’andare a votare, ma nello stare attenti a quel che si fa, tutti i giorni, non solo i giorni che ci sono le elezioni, non solo quando c’è da prendere partito. E, come dice, il fatto che una cosa sia nuova, secondo Ermanno, non è una garanzia della bontà di quella cosa. Per via della letteratura come guida della politica, credo che la letteratura sia una guida per chi legge i libri.

A pagina 130 Ermanno non riesce a rispondere alla domanda sul “pericolo degli e-book”. Se non fosse caduta la linea, cosa avrebbe risposto?
Credo avrebbe detto che la crisi dei libri di carta, secondo lui non dipendeva dalla presenza dei libri elettronici ma era legata alla crisi più generale che c’era nel momento in cui lui scriveva il romanzo (2012), e avrebbe provato a dimostrare questa sua tesi sostenendo che il mercato immobiliare, che pure era in crisi, era in crisi senza che fosse comparsa, a causarla, la concorrenza di (auspicabili, pure) appartamenti elettronici.

L’intera pagina 143 è dedicata a “dove sta la letteratura”. Nei festival e nei saloni del libro, c’è la letteratura? A Ermanno non va troppo bene la presentazione di un libro…
Non so se gli è andata male, quella presentazione; lui lì dice delle cose che pensa e che a me sembrano anche sensate. Per esempio che, su certi giornali, se uno è ricco, è sempre sfondato, se ha la barba, è sempre folta, se c’è un fuggi fuggi, è generale, se si parla di acne, è giovanile, se si parla di tecnologie, sono nuove, se c’è un nucleo, è familiare, se c’è un’attesa, è dolce, se c’è una marcia, è funebre, oppure nuziale, se c’era un andirivieni, è continuo, se ci son delle chiacchiere, sono oziose, se c’è’ un errore, è fatale e se c’è un suicida, è un galantuomo. Anche sui posti dove si trova la letteratura, devo dire, sono d’accordo con Ermanno che, più che nei festival letterari sia più facile trovarla nella spazzatura, nei cassonetti, negli ospedali, sui filobus, nelle sale d’attesa degli ambulatori veterinari, nei bagni dei cinema, nei sottopassaggi abbandonati, sotto i cavalcavia, nei prati dopo che hanno smontato i tendoni dei circhi, nelle tabaccherie, nelle collezioni di francobolli, negli espositori delle cartoline, nei pavimenti dei bar quando sono cosparsi di segatura, nelle file alle casse dei supermercati, sui marciapiedi delle stazioni, negli uffici di oggetti smarriti, nella paura di chi faceva una cosa per la prima volta, un farmacista, o un medico di guardia, o uno scrutatore, o una bambina delle medie, nel passo di quelli che danno le dimissioni, nel respiro che si prende prima di aprire l’esito di una lastra ai polmoni, nel toccare i muri quando era saltata la luce e in tutto le occasioni e in tutti i posti di questo tipo.

Nelle note finali il destino del personaggio si intreccia alla vita del suo autore (“23 marzo 2013: Ermanno viene investito…”)… Quanto ha ritoccato il romanzo nell’ultimissimo periodo prima dell’uscita?
Una combinazione.

Quelle che sembrano coincidenze sono coincidenze?
Alcune sì. Per esempio, in riferimento a un incidente che ho avuto recentemente, sono rimasto colpito da un’agenzia che mi ha girato un mio amico e che diceva che io aveva fratture ed ematomi in diverse parti del corpo e lottavo fra la vita e la morte e che lo schianto era stato causato dallo scontro tra un’auto e una motocicletta; bene, io non ho mai lottato tra la vita e la morte, non ho mai avuto nessuna frattura, nessuna auto è stata implicata nell’incidente. Allora, l’incipit del romanzo («Ma quelli che scrivono sopra ai giornali, non gli capita mai che gli viene il dubbio che quello che scrivono son delle cagate?»), qualcuno potrebbe pensare che è stato scritto per commentare questa piccola vicenda autobiografica, in realtà no, è stato scritto due anni fa.

In che modo ha interrogato la letteratura, dopo l’”incidente”? Ho letto nel suo blog, e altrove, lunghe citazioni da Thomas Bernhard, tra gli altri…
In ospedale ho riletto due romanzi di Bernhard, Il freddo e Il respiro, e ci ho trovato un sacco di cose che mi han dato da pensare, come la definizione di «trapassatoio» che Bernhard dà del sanatorio nel quale era ricoverato e che, per certi versi, si poteva adattare anche al reparto dov’ero ricoverato io.

È vero che sta traducendo Tolstoj?
Sì, sto traducendo la Morte di Ivan Il’ič, ho quasi finito.

Learco non tornerà più? Ma non potrebbe pubblicare un libro con Ermanno?
Non credo, Ermanno ha venduto la sua casa editrice.

Come si sente in questo momento?
Guardi, il primo maggio mi hanno invitato a parlare, per due minuti, sul palco del concerto del primo maggio, in piazza San Giovanni, a Roma, e io accettato anche perché era un modo per fare vedere che non ero morto e che stavo abbastanza bene.

 

[intervista a Dario Pappalardo uscita oggi su Repubblica]