Sanin

sabato 2 Gennaio 2010

sanin

[È stato appena ritradotto e ristampato per Utet un romanzo che agli inizi del novecento, in Russia, era popolarissimo, Sanin, di Michail Petrovič Arcybašev. Ho scritto la prefazione, che metto qua sotto (è un po’ lunga)]

1. Fine degli anni ottanta

Quando facevo l’università, alla fine degli anni ottanta, a Parma, giravano delle voci che volevano che Sanin fosse un romanzo di un erotismo esplicito e estremo.

All’epoca, a Parma, per via del fatto che Sanin era difficile da trovare (l’ultima edizione italiana, del 1946, era esaurita da tempo), uno cercava di immaginarsi cosa volesse dire quell’erotismo esplicito e estremo, e ci si immaginavano delle cose che non avevano nessuna base concreta se non il confronto con la narrativa dell’epoca che i manuali di Storia della letteratura russa avvicinavano a Sanin, come quella di Andreev , che aveva trattato anche lui in qualche sua opera dei temi espliciti e estremi, come si leggeva nelle monografie a lui dedicate, in particolare a proposito della novella L’abisso, novella nella quale un ragazzo e una ragazza, innamorati, passeggiano, parlando d’amore, «impacciati e reticenti come si conviene a due bravi ragazzi borghesi impastati di falsa morale vittoriana e che sanno dell’amore solo ciò che dicono i poeti» , quando, d’un tratto, incontrano una banda di malviventi, che picchiano il ragazzo, facendolo svenire, e violentano la ragazza. Il fidanzato, quando si sveglia, cerca di rianimare la fidanzata, «si dispera, poi, vinto da un desiderio ripugnante alla sua coscienza, ma sempre più irrefrenabile, la violenta a sua volta».

In quella stessa monografia si leggeva che Lev Tolstoj diceva che, quando pensava ad Andreev, gli tornava sempre in mente un racconto di Ginzburg «in cui un bambino con l’erre moscia racconta a un altro: “Evo andato a passeggiave quando d’un tvatto scovgo un lupo… hai pauva? Hai pauva?”. E io non ho paura» , diceva Tolstoj.

Ecco. Se si considera che, a giudicare da quel che ne sapevamo noi a Parma allora, alla fine degli anni ottanta, l’estremismo di Andreev non era niente e non faceva paura, in confronto all’estremismo di Arcybašev, ci si può fare un’idea di come fosse difficile per noi, allora, immaginarci fino a che punto si potesse essere spinto Arcybašev.

2. Oggi

A leggerlo oggi, questo romanzo, vien da pensare come doveva essere difficile scrivere dei romanzi, in Russia, all’inizio del novecento, con i tutti romanzi russi dell’ottocento che era come se fossero sospesi sopra la testa degli scrittori.

Doveva essere difficile, per chi scriveva, allora, avere a che fare con questo retaggio, non lo si poteva ignorare, lo si poteva, al limite, rifiutare, come fanno le avanguardie, nel 1912, quando ordinano di «Gettare Puškin, Dostoevskij, Tolstoj, ecc. ecc. dal Vapore Modernità» .

Arcybašev, invece, sembra accoglierla, l’eredità di Puškin Dostoevskij Tolstoj ecc. ecc., e sembra farlo a tal punto che oggi, forse, Sanin potrebbe essere letto come una specie di compendio della letteratura russa dell’ottocento.

In questa ottica, l’indifferenza per le buone maniere di Sanin ricorda quella di Bazarov in Padri e figli; l’inconcludenza e la vanagloria di Jurij ricalcano quelle di Tentetnikov nella seconda parte delle Anime morte; la crudezza del rapporto tra Lida e Zarudin fa pensare a quello tra Anna e Vronskij nell’Anna Karenina; la volgarità e il ridicolo del duello fanno venire in mente sia il duello di Padri e figli che quello di Un eroe dei nostri tempi; l’imbarazzante dichiarazione d’amore di Novikov fa venire in mente quella di Levin a Kitty in Anna Karenina; l’incapacità di Jurij di dipingere in modo originale sembra identica a quella di Vronskij, sempre in Anna Karenina; le considerazioni sulla propria morte di Semënov riecheggiano quelle dell’Ivan Il’ič di Tolstoj; l’idea di Jurij della castità come ideale fa pensare alla Sonata a Kreutzer; l’idea della bellezza che salverà il mondo, è una frase sulla quale il principe Myškin di Dostoevksij è come se avesse depositato i diritti.

Ma nel Sanin di Arcybašev c’è un tono, che poi è una specie sguardo sui personaggi, che, sentito oggi, sembra appartenere al primo novecento, all’epoca in cui Sanin è stato scritto.

È un tono che, come ha notato Vladimir Markov, ha probabilmente a che fare con la teoria della bestia umana , e nel romanzo lo troviamo più volte: per esempio quando l’ufficiale Zarudin si inchina tutto d’un pezzo «come un vivace e focoso stallone», o quando Lida lascia cader sulla sabbia «uno spillone lungo come un pungiglione», o quando Semënov gesticola con il suo braccio nero, «in un movimento che ricorda il sinistro battito dell’ala di un rapace notturno», o quando i contadini «odorano di pane e di pecora insieme», o quando Vološin squadra i vicini con gli occhi grigi e glaciali, come se fosse «di fronte alle gabbie di uno zoo», o quando Lida pensa di aver gettato la sua vita ai piedi di un ufficiale «che in realtà è una bestia vigliacca», o quando lei e l’ufficiale «lasciano cadere il manto di raffinatezza, bellezza e dolcezza che li copriva e si scoprono due belve arruffate e selvagge», o quando nel romanzo entra «quella parola volgare, pesante, animalesca: “gravida”», o quando «una ragazza meravigliosamente altera scompare lasciando il posto a un animaletto svilito, insozzato», o come quando quella ragazza reagisce «come se le avessero pestato la coda», o quando Novikov prova «una cruda, animalesca gelosia, ciecamente vorace, come un rettile», o quando Sanin gli rinfaccia le volte che ha «ansimato di lussuria, ubriaco e sporco come un cane», o quando sempre Sanin dice sempre a Novikov che si sta «gonfiando come un verme in un carogna», o quando Novikov «manda un debole pigolio che si spegne subito», o quando «non si vede l’ora di vedere un volto vero in mezzo a tante maschere che nascondono musi di bestie».

Che è un tono, poi, un’atmosfera, che un celebre critico letterario, Vladimir Il’ič Lenin, ha definito «di tristezza, di disperazione, di tradimento» .

3. 1907

Una cosa stranissima, oggi, è che nel 1907, subito dopo la pubblicazione di Sanin, Michail Petrovič Arcybašev era, probabilmente, lo scrittore più noto di tutta la Russia.

La poetessa simbolista Zinaida Gippius ricorda come, allora, il successo di Arcybašev avesse di gran lunga superato quello di Gor’kij e di Andreev e come, a Pietroburgo, a lei e a suo marito, Dmitrij Merežkovskij, molti studenti, e anche ragazzi che non studiavano, chiedessero continuamente se bisognava vivere alla Sanin oppure no. E dice che lei e Merežkovskij rispondevano: «No» .

4. 2001

M. N. Nikolaev scrive che nel 2001, nel Grande dizionario enciclopedico russo, sotto la voce Arcybašev, si trovava quello che segue: «Scrittore russo. Romanzi naturalistici, che predicavano l’amoralismo (Sanin, 1907). Dopo il 1917, emigrato».

Scrive sempre Nikolaev che nel 1927, quando Arcybašev morì (a Varsavia), sulla diffussissima rivista sovietica «Ogonëk» (Fuocherello), fu pubblicata una foto di Arcybašev e sotto la foto questa didascalia: «È morto all’estero M. P. Arcybašev. Difficile che qualcuno, tra il pubblico russo dei lettori, abbia sofferto per la morte di questo a suo tempo tanto conosciuto belletrista».