Quello che si può portare a Parigi
A prima vista mi era parso una pelliccia della Lenormand, di breitschwanz o di karakul, ma la donna presentandomela disse che si trattava di un capo di gran valore fatto confezionare da suo figlio prima della sua partenza presso un grande sarto. «Fu» disse «un’idea di Maurice. Voleva un cappotto non con la pelliccia all’interno come si usa comunemente, ma all’esterno. Diceva che in Russia, al temo degli zar, i signori portavano cappotti di quel tipo lunghi fino ai piedi. Perciò è un po’ lungo… Andrebbe portato on un colbacco dello stesso pelo in testa e un paio di stivali ai piedi.»
Mi vidi, quando avessi indossato quella pelliccia, simile a un Michele Strogoff o a qualche personaggio di Tolstoi, ma non osai sorridere. Guaredai bene il cappotto, che aveva una martingala sopra lo spacco posteriore e un colletto rialzato, come certi pastrani militari dell’epoca napoleonica. Era di colore grigio argento con riflessi quasi azzurri e una fodera di satin bleu all’interno sulla quale spiccava l’etichetta di un sarto.
Al mio paese, con un cappotto simile non sarei mai comparso, ma a Parigi si può portare tutto, anche un elmo col pennacchio. Nessuno si sarebbe mai voltato a guardarmi per strada.
[Piero Chiara, Il cappotto di Astrakan, Milano, Mondadori 2015 (14), p. 40]