Quello che aveva ucciso la vecchia

martedì 5 Aprile 2016

Karel Čapek,  Racconti dall'una e dall'altra tasca, Mursia

«E come si concluse la vicenda?» s’intromise il signor Dobeš. «Lo arrestarono, quello che aveva ucciso la vecchia?».
«Lo arrestarono eccome» disse il signor Hanák riprendendo il racconto. «Lo vidi con i miei stessi occhi quando, due giorni dopo, i poliziotti lo trascinarono via dalla botteguccia, dove, come si suol dire, avevano compiuto un sopralluogo per interrogarlo. Non lo vidi che per cinque secondi, ma di nuovo fo come se lo guardassi sotto una lente che ingrandiva a dismisura. Era un giovane apprendista, con le manette ai polsi, e camminava con un’andatura così lesta che i poliziotti faticavano a tenergli dietro. Aveva il naso sudato, e saettava gli occhi sgranati con un’espressione terrorizzata. Si capiva che aveva una paura del diavolo, come un coniglio in trappola. Finché avrò vita, non dimenticherò mai il suo volto. Dopo quell’incontro provai un forte disagio e mi sentii molto scombussolato. “Adesso andrà a processo”, pensai, “e litigheranno con lui per qualche mese, prima di mandarlo sulla forca”. Infine mi resi conto che per lui, in realtà, provavo un’enorme pena, e che quasi sarei stato felice se fosse riuscito a farla franca, in un modo o nell’altro. Non che avesse un volto simpatico, anzi; ma lo avevo visto da una distanza troppo ravvicinata, avevo visto come strizzava angosciato gli occhi. Per tutti i diavoli, non sono certo un sensitivo, ma visto così da vicino non era un omicida: era soltanto un uomo. In tutta franchezza, io stesso non me ne capacito; non so che cosa avrei deciso se fossi stato il suo giudice; ma quella vicenda mi lasciò una tristezza tale come se io stesso avessi dovuto espiare una colpa».

[Karel Čapek, Un banale assassinio, in Racconti dall’una e dall’altra tasca, traduzione dall’inglese [!] di Barbara Mirò, Milano, Mursia 2011, pp. 130-131]