Socrate

venerdì 10 Aprile 2009

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Nel Simposio di Platone si legge che Alcibiade, lodando Socrate suo precettore – e incontestabilmente il principe dei filosofi – lo diceva fra l’altro simile ai Sileni. Sileni eran chiamati a quel tempo certi piccoli vasi quali se ne vedono oggidì nelle botteghe degli speziali, ornati di figure festose e puerili, come satiri, arpie, paperi imbrigliati, lepri cornute, ed altre pitture del genere, contraffatte a piacere per far ridere la gente, proprio come Sileno, maestro dell’ottimo Bacco; ma dentro poi custodivano le droghe più ricercate, come balsamo, ambra grigia, amomo, muschio, zibetto, pietre virtuose, ed altre cose di gran pregio. E così, diceva lui, era Socrate, perché a vederlo di fuori, a giudicarne dall’aspetto, non gli avreste dato una pelle di cipolla, tanto era brutto nel corpo e ridicolo nel portamento. Naso appuntito, sguardo di toro, faccia da mantecatto, disadorno nei modi, rustico nel vestire, povero, sfortunato con le donne, inetto ad ogni pubblica funzione, sempre di umor faceto, sempre a bere in compagnia – uno a me uno a te -, sempre a berteggiare, sempre attento a nascondere il suo divino sapere. Ma poi, chi avesse scoperchiato quel coccio, vi avrebbe scorto all’interno una celeste inestimabile droga: intendimento più che umano, virtù meravigliosa, coraggio invincibile, sobrietà ineguagliabile, facilissima contentatura, lealtà assoluta, e un incredibile disprezzo di tutto ciò per cui gli uomini perdono il sonno, corrono, si arrabattano, vanno per mare e battagliano.

[François Rabelais, Gargantua e Pantagruele, recato in lingua italiana da Augusto Frassineti, Milano, Bur 1984, p. 13]