Maurizio Salabelle

lunedì 11 Gennaio 2010

salabelle

Maurizio Salabelle ha scritto alcuni libri che oggi mi sembrano ancora più solitari e abbandonati. Ha incominciato a pubblicare da Bollati Boringhieri, quando ancora c’ era Giulio Bollati; poi ha dovuto via via cambiare editori, avendo difficoltà nel trovarne. Io dico che ha fatto onore alla lingua italiana, senza molto rumore di critica. E’ un male? Forse no. Stavo per dire: mi piacerebbe fosse più letto. Ma ci sono opere che hanno una loro natura discreta ed è meglio se continuano a vivere nella discrezione. Gli ultimi suoi libri si trovano ancora (L’ altro inquilino, Casagrande 2002, e Il caso del contabile, Garzanti 1999); chi li legge direi che ne può avere un beneficio; e fa parte della loro attrattiva sentire che non sono adatti allo strombettamento mediatico. Né d’ altronde Salabelle era un grande promotore di sé. Mi ricordo che quando fu pubblicato il suo primo libro (Un assistente inaffidabile, Bollati Boringhieri 1992) non voleva più uscire di casa per la vergogna; poi per un pezzo evitò di passare nei pressi della libreria di Pistoia che lo esponeva; faceva larghe diversioni dalla vetrina. Diceva che non avrebbe saputo che faccia fare passandoci accanto. Ma anche in questi percorsi semicircolari allargati il problema della faccia restava, perché sentiva che in ogni caso gli sorgeva la faccia inevitabile dello scrittore, ad esempio dello scrittore che svicola e fa vie traverse, quindi se la aggiustava la faccia, ma mi diceva che anche in vie fuori mano e solitarie gli veniva ad esempio la faccia dello scrittore che evita la mondanità e la compiacenza, e allora arrossiva in cuor suo anche là in periferia. Diceva che non era questione di testimoni, ma proprio di darsi una faccia, e che non ne aveva una neutra che non significasse in qualche modo il libro pubblicato ed esposto. Credo non l’ abbia mai superata questa difficoltà, non solo perché era persona timida di natura (lui mi spiegava che era la faccia che gli scivolava verso il timido scrittore esordiente), ma perché questa questione della faccia non sua, è la questione generale anche del mondo entro i suoi libri. Tra le ultime cose che Salabelle ha scritto, c’ erano delle recensioni giornalistiche (ne ho lette quattro) non a un libro, ma alla faccia del suo autore («L’ espressione intensa dell’ autore promette un prossimo libro…», «I folti baffi rivelano pregnanza e perizia stilistica…», «… autore che manca di unità, come si vede dalla foto»). Un po’ , certo, è parodia di quei recensori affrettati che se la cavano con un’ occhiata al libro e qualche frase di repertorio; ma è anche la sua astratta ossessione che torna fuori: là c’ è il libro; che faccia occorre? non sarà inadeguata? o il libro inadeguato alla faccia? Questa è la questione anche di tutti i suoi libri: l’ adeguatezza. Li ho letti tutti, credo, sono cinque pubblicati, e sono su per giù dei romanzi. Mi sono sempre sentito allegro a leggerli e un po’ agghiacciato; si muovono in un panorama che riconosco ogni volta, e che definirei uno stato di rovina senza termine, uno stato di normale rovina del mondo, dove tutto è sbeccato, logoro, ritinto, rimediato, i vestiti rivoltati, le canottiere sudate, seccate e reindossate, e in generale tutto posticcio e tutto riciclato; anche il colorito di una persona diventa qualcosa di non suo, di appiccicato; una capigliatura, una peluria, un gesto, sembrano sempre presi dall’ immondizia e riutilizzati; i gesti sono nominati come acrobazie aliene importate e improprie. In questo slegamento generale sembra che le cose (e le membra delle cosiddette persone) provino una reciproca cauta vergogna nello stare insieme a formare le totalità abituali: le stringhe a stare insieme alle scarpe, la tovaglia alle macchie, le unghie alle dita, un nome al suo detentore. Il risultato è che ne esce un mondo delicatamente schifoso. Dico delicatamente perché non si sguazza nel lurido, nella compiacenza del lurido efferato, ossia non c’ è merda o intestini, il lurido convenzionale. Il mondo fa un po’ schifo perché è fatto di parti che non formano un tutto; è impuro, cioè sempre sporcato dalle sue componenti, che sono entità a se stanti (un naso, una dentatura, guasta sempre una faccia, perché se ne distacca), come sotto l’ effetto di una visione troppo ravvicinata e pignola. Diciamo che lo schifo è gelato, uno schifo stoico. E ne ho l’ impressione che il mondo sia al suo ultimo sforzo per stare insieme, che le cose (queste discariche di particolari) convivano come sposi vicino al divorzio, e quindi un po’ si vergognino del connubio forzato, e anche si facciano reciprocamente un po’ schifo. Però il divorzio non ci sarà mai. Mi accorgo che parlo di Salabelle come avesse fatto un solo lungo romanzo a puntate; e in effetti credo sia così. C’ è sempre un giovane sprovveduto che osserva e si cimenta in questo mondo in tranquilla rovina, senza meravigliarsi di nulla, e si aggira a metà tra una classe scolastica e la ricerca di un primo lavoro, sempre paradossale, occasionale, inutile. Salabelle ha invece coltivato il suo scrivere (conosco diverse cose sue che non hanno mai trovato editore) come un destino obbligato, e con un po’ di vergogna.

[Ermanno Cavazzoni, La repubblica, 22 febbraio 2003]