La politica degli autori

giovedì 17 Novembre 2016

Roberto Saviano, La paranza dei bambini

Mi piacciono molto quelle quattro righe di autobiografia che gli scrittori compilano in terza persona, come se parlassero di un altro, e che pubblicano a margine dei loro romanzi; mi piacciono talmente che vorrei fare una Storia della letteratura italiana dal dopoguerra a oggi composta solo di note autobiografiche, e credo sarebbe un bel libro, e quando ho preso in mano il nuovo romanzo di Roberto Saviano, che si intitola La paranza dei bambini, e che è appena uscito per Feltrinelli, la prima cosa che ho letto è stata la nota biografica, che dice così: «Roberto Saviano (Napoli, 1979) è autore del bestseller internazionale Gomorra (Mondadori 2006). Ideatore, autore e sceneggiatore dell’omonimo film (Grand Prix du Jury a Cannes 2008) e di Gomorra – La serie, distribuita in oltre 150 paesi». E non ho capito in che senso Saviano è l’autore del film Gomorra. L’autore del film Gomorra non è il regista, Garrone? mi sono chiesto. Evidente sono rimasto indietro, mi sono risposto, sono rimasto alla cosiddetta «politique des auteurs» di Truffaut (1955), che era un movimento che riconosceva lo statuto di autore del film al regista del film e soltanto a lui (non agli sceneggiatori, ai soggettisti, agli scrittori dai cui romanzi il film era tratto). Evidentemente le cose sono cambiate e io non me ne sono accorto, mi sono detto, e poi ho cominciato a leggere il libro anche per capire che tipo di autore è, questo nuovo autore il cui prototipo si chiama Roberto Saviano. La prima frase che ho letto è stata «Il nome paranza viene dal mare». E ho pensato “Grazie”.
Poi sono andato avanti e ho letto: «Chi nasce sul mare sa che c’è il mare della fatica, il mare degli arrivi e delle partenze, il mare dello scarico fognario, il mare che ti isola. C’è la cloaca, la via di fuga, il mare barriera invalicabile. C’è il mare di notte». E ho pensato “Ma guarda. Io sono nato a Parma, che non è proprio sul mare, ma che c’era il mare di notte lo sapevo anch’io. Sapevo anche che c’era il mare di giorno, quello di pomeriggio, quello di sera. Anche il mare d’inverno, e d’estate, e d’autunno e di primavera. Andiamo pure avanti”, ho pensato. Sono andato avanti e ho letto: «Forcella è materia di Storia», frase nella quale per Forcella si intende l’omonimo quartiere napoletano, e storia si intende con la s maiuscola. E qui mi son detto che io, che, anche se non credo di essere un autore nel senso moderno del termine, scrivo anch’io dei romanzi, se sul mare di notte me l’ero cavata, su Forcella materia di Storia dovevo capitolare. Nel senso che io ho abitato a Parma, nel quartiere Cittadella, a Bologna, nel quartiere Borgo Panigale, e a Casalecchio di Reno, nel quartiere Croce, e se scrivessi «il quartiere Cittadella di Parma è materia di Storia», con la esse maiuscola, non farei una bella figura. E se scrivessi «Borgo Panigale è materia di Storia» sarei un po’ ridicolo, forse. E se scrivessi «La croce di Casalecchio è materia di Storia» sarei ridicolo uguale, credo. Ma perché Forcella sarebbe più storica (e più romanzesca) di Borgo Panigale?
Forse per via di una cosa che è successa a Gianni Celati un po’ di tempo fa, e che Celati ha raccontato nella prefazione a un libro che si intitola Racconti impensati di ragazzini: che era andato in una biblioteca e il bibliotecario gli aveva fatto vedere i nuovi romanzi appena arrivati, e glieli aveva presentati così: «Questo è un romanzo sul problema dei giovani. Questo è un romanzo sul problema della donna. Questo è un romanzo sul problema della famiglia. Questo è un romanzo sul problema della devianza e della tossicodipendenza». E Celati gli aveva chiesto «E romanzi senza problemi non ce ne ha mica? ».
E mi sono detto che questo nuovo autore contemporaneo, Saviano, scrive i romanzi sopra i problemi (mi sembra impensabile un libro di Saviano senza la mafia o la camorra o la malavita e forse il nuovo autore è proprio quello, un professionista dell’antimafia, o dell’anticamorra, o dell’antidevianza e tossicodipendenza), e intanto che ci parla dei problemi ci racconta anche un po’ com’è il mondo: «Esistono i fottitori e i fottuti, null’altro», ho letto molto più avanti, e mi son detto “Ma pensa”.
E ho pensato a un romanzo che avevo appena riletto, A sangue freddo, di Truman Capote, un romanzo del 1966 dove uno dei protagonisti, Dick Hickock, poco prima di essere impiccato per un omicidio plurimo che aveva ideato e contribuito a mettere in pratica (Hickock sarebbe, nella classificazione di Saviano, un fottitore – che brutta parola – e nient’altro), be’, Hickock, in A sangue freddo dice: «Io, per me, sono un ignorante tranne quando si tratta delle cose della vita. Ne ho passate di tutti i colori. Ho visto frustare un bianco. Ho visto nascere dei bambini. Ho visto una ragazza, e non aveva più di quattrodici anni, farsela con tre uomini alla volta e fargli spendere bene i loro soldi. Una volta sono caduto da una nave a cinque miglia dalla costa. Ho fatto a nuoto quelle cinque miglia con tutta la mia vita che mi passava davanti a ogni bracciata. Una volta ho stretto la mano al Presidente Truman nell’atrio dell’Hotel Muehlebach. Harry. S. Truman. Quando lavoravo per l’ospedale, come autista dell’ambulanza, ho visto tute le facce che ha la vita, roba da far vomitare un cane» (la traduzione è di Mariapaola Ricci Dèttore). Altro che nient’altro.

[Uscito ieri sulla Verità]