Il mondo è pieno di gente che sta a casa – 3
Il 31 di luglio, al mattino, la prima cosa che ho fatto, sono andato a correre. Andare a correre, negli ultimi vent’anni, secondo me cinque o sei anni io li ho passati che andavo a correre. Adesso ho appena ricominciato, il 31 di luglio era il terzo giorno, e una cosa strana, di andare a correre, è che i primi giorni, che non sei ancora abituato, ti svegli al mattino che hai un pensiero che pensi “Vacco mondo, devo andare a correre”. Poi decidi che prima di tutto fai colazione, e dopo colazione, hai appena mangiato, non puoi andare a correre, “Ci vado verso le undici”, pensi. Dopo, quando sono le undici, ti viene in mente che devi andare a correre “Vacco mondo – ti vien da pensare – devo andare a correre”. Poi ti chiedi se, piuttosto che andare a correre, non sia meglio lavorare ancora un po’ e poi mangiare e a correre andarci al pomeriggio, magari, e ti rispondi che sì, è meglio. Dopo, quando poi è pomeriggio, che ti viene in mente che devi ancora andare a correre, e magari hai finito il lavoro che dovevi fare, la cena è ancora lontana, non trovi nessuna ragione per rimandare e pensi “Vacco mondo, devo andare a correre”, e dopo che hai pensato così ti metti le scarpe per correre, e dopo che ti sei messo le scarpe per correre, è fatta. Non devi far più nessuna fatica. La cosa più difficile non era andare a correre, era mettersi le scarpe per correre e il 31 di luglio, a me non piace parlare bene di me, ma devo dire che son stato bravo, sono andato a correre al mattino le ho trovate subito, le scarpe per correre, e poi dopo son tornato a casa che ero in quella condizione di quando sei esausto, ma non quell’esaustione che andresti a dormire, no, quell’esaustione che tu sei esausto ma stai d’un bene. Dopo ho fatto una doccia, mi sono vestito, ho preso la mia bicicletta sono andato in centro che dovevo andare in un negozio a cambiare due paia di braghe che avevo comprato che mi erano strette, e intanto che andavo giù per la discesa, in bicicletta, che tirava un po’ d’aria che si stava d’un bene io intanto pensavo, nella mia testa, “Fantastico”, e dopo che pensavo così mi veniva in mente quel che mi ha scritto qualche giorno fa una mia amica che si chiama Marina che mi ha scritto che gli ebrei dicono che in paradiso noi faremo la nostra vita normale, solo con una tazza appena un po’ spostata, e io ho pensato “Vuoi vedere che oggi è un giorno, che, una botta di culo, ho messo la tazza come si deve?”, e intanto che pensavo così mi è data giù la catena. Mi sono fermato, ho rimesso su la catena, son stato attento a non sporcarmi le mani che dovevo andare in un negozio, e son ripartito. E poi sono arrivato, ho cambiato le braghe, e alla fine, la cassiera, c’era una cassiera gentilissima, ci siam guardati in faccia ci siam detti “Buongiorno” e ci scappava da ridere; e una cassiera gentile, pensavo uscendo dal negozio, è una cosa importante, le cassiere han delle responsabilità e dipende anche da loro la qualità delle nostre giornate e poi, ero quasi già a casa, poco oltre lo stadio, sulla sinistra, c’era una fontanella e un signore grassissimo, a torso nudo, che aveva in mano uno specchietto e si stava rasando, aveva le guance sporche di schiuma da barba e si indovinava, tra quelle mani grandi, una lametta, ma non si vedeva, come una volta a Mosca che ero andato a sentire un concerto al conservatorio di Ulica Gorkaja, mi ero seduto in prima fila, si vedevano i violini non si vedevano le corde la musica sembrava un trucco da prestigiatori. E niente, dopo sono arrivato a casa, ho controllato la mia tazza, le ho detto “Stai lì, eh?, non ti muovere”, e ho cominciato a lavorare adesso sono le 22 e 25 non ho ancora finito.
[uscito ieri sul foglio]