Il mondo è pieno di gente che sta a casa – 16
Lunedì, venti agosto, verso le nove di sera, sei in cucina a pensare a tutte le cose che ti eran successe in questo mese di agosto e che non eran finite dentro nel diario. Un nido di vespe attaccato allo scuro, in camera da letto, la paura che fa un nido di vespe. Tua figlia dal bagno che dice «Oh, che bello sciampo che ho fatto, come mi sono asciugata bene», e non ha fatto lo sciampo e non si è asciugata affatto. Tu che ti stendi, di sera, dopo aver corso e aver fatto la doccia, e metto la pianta d’un piede contro il dorso dell’altro, e senti il fresco e il pulito dei piedi, e ti addormento. Un uomo, alla stazione di Reggio Emilia, nervoso, grasso e sudato, che dice a una bambina di cinque o sei anni, probabilmente sua figlia, «Sei un imbecille». E a te viene da fermarti e da dirgli che probabilmente non è colpa di sua figlia, se lui è nervoso, grasso e sudato, e poi non ti fermi. Un paese delle Marche, piccolino, lontano dal mare, pieno di olandesi «Perché gli olandesi, – ti dicono, – da loro è tutto piatto, quando vedono una collina van giù di testa». Un bambino vestito di rosso, sulla pista ciclabile di via Andrea Costa, che segue una bolla di sapone con negli occhi l’attenzione dello strumentista che aspetta l’attacco del diretore d’orchestra che hai visto una volta in un documentario che si intitolava La faccia della terra. Un uomo, su un autobus, con un maglietta con scritto «I am Tiger Woods» e l’alito che puzza di sottaceti. Un bambino che cade dal cielo, in piscina (questo forse nei diari l’hai messo). Un cartello, in autostrada, che dice «Prevista ondata di calore». L’odore del tuo appartamento, coi gatti, che certi giorni sembra di entrare in una palude. E non aver più forza nelle braccia, o avere poca forza nelle braccia. E ricominciare a fare gli esercizi addominali, con un file con una voce meccanica che ti dice cosa devi fare. E un’infermiera che ti deve fare gli esami del sangue, ti dice «Si sieda qui, oppure, se pensa di star male, si corichi lì». E chissà come mai ti vengono in mente tutte queste cose, come se agosto fosse finito, e invece è solo il venti, e forse ti vengon in mente perché quando sei tornato a casa, oggi, con la tua bicicletta, sulla Porrettana deserta, hai avuto l’impressione che si sentisse, nell’aria, come la sensazione che la gente stava per tornare. Come quando, da piccolo, le prime volte che ti lasciavano a casa da solo, che ti sembrava incredibile, aver tutta la casa per te, e erano le due del pomeriggio e i tuoi sarebbero tornati solo alle sette, e quella sensazione lì, di silenzio di solitudine e di spazio, durava fino alle sei e quaranta, perché poi, alle sei e quaranta era ancora così ma non è già più così, era come se quel silenzio, quella grandezza, quella solitudine, si fossero strappate, era come in quel paradosso di Mommsen, il futuro allungava la sua ombra sul passato, e la stessa cosa ti è sembrata che sia successa lunedì venti agosto alla città di Bologna, che non sembrava fosse ancora tornato quasi nessuno, in città, ma la città non era già più la città che era stata fino a tre giorni prima.