Il mondo è pieno di gente che sta a casa – 15
I tre giorni tra sabato 18 e lunedì 20 agosto del 2012, come tutti i giorni di tutti i mesi di tutti gli anni, mi immagino, sono successe un sacco di cose ma, praticamente, come atmosfera, nella mia testa, è come se non fosse successo niente.
Che è una cosa che a me, devo dire, non mi dispiace.
Qualche anno fa, un mio amico che aveva appena letto il secondo romanzo che avevo scritto, intitolato Bassotuba non c’è, mi aveva detto che, come romanzo, gli era sembrato un po’ il contrario dei romanzi di avventura. «Che nei romanzi di avventura, – aveva detto quel mio amico, – ogni due pagine ci son dei duelli, dei rapimenti, degli omicidi, dei furti, delle agnizioni, te volti le pagine per vedere che cos’altro succede. Nel tuo romanzo, – mi aveva detto, – te volti le pagine per vedere se finalmente succede qualcosa».
Che io, devo dire, per me il mondo, fin da quando son piccolo, e poi anche dopo, io mi ricordo, di notte, le notti che andavo a letto la maggior parte delle notti io mi dicevo, «Ecco, non è successo niente».
Forse è per quello, che a me piacciono tanto certe cose, come per esempio questo breve scritto di Daniil Charms:
Ho sentito questa espressione: «Cogli l’attimo».
Facile a dirsi, ma difficile a farsi. Per conto mio, è un’espressione priva di senso. Effettivamente, non si può esortare all’impossibile.
Dico questo con piena convinzione, perché ho sperimentato la cosa su me stesso. Ho provato a cogliere l’attimo, ma non l’ho preso mi sono solo rotto l’orologio. Adesso so che non è possibile.
Così come non è possibile «cogliere l’epoca», perché è come l’attimo solo più grossa.
Un’altra cosa, se dicessero: «Rappresenta quello che succede in questo momento». Questa è tutta un’altra cosa.
Ecco, per esempio: un due tre. Non è successo niente. Ecco che ho rappresentato un momento in cui non succede niente.
Ho detto questa cosa a Zabolockij, gli è piaciuta molto, è stato seduto tutto il giorno a contare: un due tre. È quello che ha notato, che non succedeva niente.
E forse è per quello che, di quel libro straordinario di Daniele Benati che si intitola Opere complete di Learco Pignagnoli, mi piace moltissimo l’opera numero 13 («Opera numero 13. Tranne me e te, tutto il mondo è pieno di gente strana. E poi anche te sei un po’ strano»), mi piace moltissimo l’opera numero 39 («Opera numero 39. Le donne si innamoravano sempre di quello seduto vicino a lui»), moltissimo mi piace l’opera numero 122 («Opera numero 122. È già un po’ di anni che non vedo più un uomo assorto nei suoi pensieri»), ancora di più forse mi piace l’opera numero 135 («Opera numero 135. Elton John, a gurdarlo di profilo, quando è seduto al piano, e ha la giacca stretta, sembra un sacco di merda»), ma più di tutte, forse, mi piace l’opera numero 191 («Opera numero 191. In quest’opera non ci ho scritto niente»).
E molto mi sono piaciuti i tre giorni tra il 18 e il 20 di agosto dell’anno 2012, dove, quel che è successo, son successe un sacco di cose, ma, come atmosfera, non è successo niente, e l’unica cosa che mi è venuta da pensare, in questi tre giorni, è stato che io, se vivessi in un romanzo russo dell’ottocento, sarei in pensione.
[uscito ieri sul foglio]