Il mondo è pieno di gente che sta a casa – 12
Il 13 agosto, al mattino, sono andato a correre; ho corso un po’ più di quel che correvo di solito, che l’esaurimento benefico che provavo alla fine della corsa, in questi ultimi giorni mi sembrava un po’ meno benefico, ho aggiunto un quarto d’ora (credo), ho corso cinquanta minuti (credo), non sono sicuro perché mi son dimenticato di guardare l’orario quando partivo. Dopo forse ero un po’ troppo stanco, non so di preciso, ho dormito. Ho letto un racconto di Tolstoj, Due ussari, ho scritto due paginette e poi ho dormito, ero stanco, oppure, non so, ci avviciniamo a ferragosto e ferragosto per me è un momento difficile, un po’ come natale, che sono quei giorni che far finta che siano dei giorni normali io faccio fatica; ferragosto, e anche Natale, non lo so, cos’ho addosso.
Io per esempio sono vent’anni che la domenica riesco a lavorare benssimo, ferragosto, o natale, invece, ma perché sono stupido (credo), mi sembra che siano dei giorni che mi dan delle scuse per non lavorare, e se non lavoro io non sto bene, e ferragosto e natale, per me, sono come dei giorni che mi servono per non stare bene (non puoi mica star sempre bene), e anche i giorni un po’ prima e un po’ dopo, e così il tredici agosto, che avevo così tanti motivi, per stare bene, avevo corso cinquanta minuti, in bagno nuova fiammante avevo una tavoletta del bagno che avevo montato io, avevo un romanzo da finire che quello è un momento, come correre giù per una discesa, solo che anche lì, c’è da mettersi le scarpe, per correre, e io, il 13 agosto, fino alle otto di sera ero scalzo, non so cosa ho fatto, ho letto, ho dormito, ho sentito la radio, a me piace ogni tanto sentire la radio, intanto che lavoro, invece il 13 agosto l’ho sentita intanto che non lavoravo, c’era un convegno sul Risorgimento, con Gianni Letta e Giuliano Amato, che se uno si chiede «Ma che fine hanno fatto, Gianni Letta e Giuliano Amato?», è il segno che è uno che non ascolta la radio, che per radio spessissimo ci son dei convegni con Gianni Letta e Giuliano Amato, ed era un convegno, se ho capito bene, non ho ascoltato dall’inizio, non so se ho capito, era un convegno sul Risorgimento per degli studenti, che gli han regalato un libro che raccoglieva i discorsi sul Risorgimento di Giorgio Napolitano, un convegno pieno di applausi, ogni cosa imbarazzante un applauso, e a me è venuta in mente una cosa che ho pensato l’anno scorso al festival di Santarcangelo, quando sono andato a sentire Elena Sartori e Marina Kotsadam che facevano una cosa che si chiamava Dittico, che cantavano e suonavano dentro delle grotte, e prima di farci entrare ci avevano chiesto di spegnere il cellulare, che però se volevamo lasciarlo acceso era lo stesso che tanto nelle grotte non prendeva, e poi ci avevano detto che Elena Sartori e Marina Kotsadam ci pregavano di non applaudire, alla fine.
Che io, per me, ero d’accordo. Che questa mania di applaudire, io non la capivo. Uno si sposa, la gente applaude. Cosa applaudi? Si è sposato. Si è fidanzato e poi si è sposato, ti sembra una cosa da applaudire? Uno si laurea, e la gente applaude. Cosa applaudi? Si è laureato. Ha dato gli esami, ha scritto la tesi e si è laureato. Ti sembra una cosa da applauire? Uno muore e la gente applaude. Ma cosa applaudi? Ti sembra una cosa da applaudire? E a teatro, per me, è la stessa cosa. Han fatto uno spettacolo, te l’hai visto, magari ti è piaciuto, e ce l’hai ancora dentro e se non applaudi ti resta proprio più dentro, invece se applaudi, è come se l’applauso espellesse la sensazione che ti ha dato lo spettacolo, è come se tu, con l’applauso, ti liberassi dello spettacolo, al limite bisognerebbe applaudire per le cose che non ti piacciono, allora per quello, secondo me, quei ragazzi lì facevano bene, a applaudire, gli avevano anche regalato anche un libro dei discorsi sul Risorgimento di Giorgo Napolitano, bisogna difendersi.
Invece l’anno scorso, nelle grotte di Santarcangelo, dopo che Elena Sartori e Marina Kotsadam avevano finito i loro canti, non aveva applaudito nessuno, e io quando ero uscito le avevo guardate e avevo detto, piano, «Grazie», e loro mi avevano detto, piano, «Grazie», e era stato bellissimo, come l’altro giorno quando una commessa gentilissima, ero andato a cambiare un paio di pantaloni, dopo che li avevo cambiati le avevo detto «Buongiorno», e lei mi aveva detto «Buongiorno» e ci scappava da ridere e avevamo cominciato la giornata così, che ci scappava da ridere invece il 13 agosto, fino alle 19 e 55, non siamo andati mica tanto bene, dopo alle 19 e 55 ho finito questo pezzetto che state leggendo non so di preciso cosa ho fatto, forse mi sono buttato giù per la discesa del romanzo che chissà dove sono, adesso, o forse sono ancora lì che tintogno, che tintognare, a Parma, significa darsi da fare darsi da fare darsi da fare, non combinar niente.
[uscito ieri sul foglio]