Il mondo è pieno di gente che sta a casa – 1
Qualche giorno fa mi ha chiamato un giornalista mi ha chiesto cosa avrei fatto quest’estate, nel senso di agosto, «l’estate dello spread», ha detto lui, e io gli ho risposto che quest’estate, nel senso di agosto, l’estate dello spread, avrei lavorato, che dovevo finire un romanzo e scriverne un altro e che siccome agosto, in città, è un mese adattissimo, per lavorare, che nessuno ti telefona nessuno ti scrive nessuno ti cerca nessuno ti suona nemmeno al citofono, che anche le pubblicità nelle cassette, il mese di agosto, non ce le mettono, qualcuno deve finire un romanzo e scriverne un altro non può immaginare un mese migliore del mese di agosto, per lavorare, dicevo io l’altro giorno al telefono con un giornalista che era il 26 o il 27 di luglio, se non mi sbaglio. Solo che poi, il giorno dopo, sarà stato il 27 o il 28 di luglio, intanto che tornavo da far spesa sulla mia bicicletta, che io, quando posso, che non piove forte, non avendo la macchina e non sopportando, d’estate, il caldo che c’è sopra gli autobus, che a Bologna, d’estate, se stiamo a una mia indagine empirica stilata nel mese di luglio le tre volte che ho preso l’autobus, a Bologna, d’estate, due volte su tre non funziona l’aria condizionata, sugli autobus, ma non volevo dir quello, volevo dire che io, il giorno dopo, il 27 o il 28 di luglio, intanto che tornavo da fare spesa sulla mia bicicletta su via Porrettana, mi son ricordato che io, di solito, quando lavoro alla scrittura di un romanzo, il fatto di non avere niente e nessuno che mi disturba è una cosa che un po’ mi disturba, ho pensato io l’altro giorno.
Solo che poi, in quel momento lì, su via Porrettana, sulla mia bicicletta, mi son ricordato che avevo proposto al Foglio di fare un diario delle mie vacanze a lavorare in agosto, a Bologna, l’estate dello spread, che quando gliel’ho proposto c’era una voce che mi diceva, intanto che glielo proponevo, «Ma non devi anche finire di scrivere un romanzo e scriverne uno per intero, in agosto, l’estate dello spread?».
«Certo che devo», mi sono risposto su via Porrettana, sulla mia bicicletta, il 26 o il 27 di luglio , «Certo, e per quello è un bel lavoro dover fare anche dell’altro, come per esempio anche un diario, va benissimo, come disturbo, come pensiero da cullare la notte, “Noo, domani non solo devo finire il romanzo che poi prima della fine del mese ne devo fare anche un altro, non solo, devo anche scrivere il diario di agosto per il foglio, l’estate dello spread, nooo”».
pensando così, sulla mia bicicletta, in via Porrettana, l’altro giorno, 27 o 28 di luglio, c’era il semaforo rosso, si vede che mi ero distratto, ho tamponato una Mercedes.
Il signore che la guidava è sceso mi ha detto «Ben ma…».
Io gli ho detto «Ha ragione, mi scusi».
«Ma a me mi gira la testa», ha detto lui.
«Vengo da Rimini, – ha detto, – lei si immagini quanti sorpassi ho fatto, per arrivare a Bologna a farmi venire addosso da uno in bicicletta. Ma lei, – mi ha detto, – a andare a sera, quanti ne tira sotto?»
«No, guardi, io giro sempre in bicicletta non mi succede mai niente», gli ho detto io.
«Ecco, – ha detto lui, – proprio con me doveva succedere».
«Eh, – gli ho detto io – mi dispiace».
[uscito ieri sul Foglio]