Il freddo

martedì 15 Dicembre 2009

L’altro giorno ho fatto un discorso, in occasione del 4° congresso dell’arci di Reggio Emilia, e dopo che l’ho fatto mi son ricordato che mi ero scordato una cosa e allora l’ho corretto e la versione corretta la metto qua.

Il freddo
discorso sull’Arci di Reggio Emilia
pronunciato il 12 dicembre 2009
al circo Arci Pigal di Reggio Emilia
in occasione del 4° congresso dell’Arci di Reggio Emilia

Buongiorno, buongiorno a tutti. Ecco, io, a dire il vero, non sono molto portato per i discorsi celebrativi, sono più portato per la, non so come dire, per la critica.

Cioè a me il mondo, a dir la verità, mi piace sì e no, e se mi son messo a scrivere è più per via del no che del sì, che se era per il sì, di scrivere non ne avevo bisogno e forse non si capisce ma non è tanto importante, e poi non è quello che volevo dire, quello che volevo dire è che in questi giorni ho cercato nella mia testa qualcosa di brutto da dire sull’Arci di Reggio Emilia, solo che, lo dico con un certo senso di vergogna, e di impotenza, non mi è venuto in mente molto.

Avevo letto, a dir la verità, un po’ di tempo fa, un articolo su un giornale che si chiamava Mucchio selvaggio dove si parlava male abbastanza, dell’Arci di Reggio Emilia, e avrei potuto citare quello, se non fosse che c’erano scritte tante di queste stupidate, come si fa? Va bene la critica, ma c’è un limite a tutto.

Allora ho provato a pensare alla mia esperienza personale, che io è qualche anno che ho a che fare, con l’Arci di Reggio Emilia, e devo dire, con dispiacere, che alcune delle cose più belle che ho fatto in questi ultimi anni, e che continuo a fare, per esempio la scuola elementare di scrittura emiliana, che è una scuola dove con Daniele Benati e Ugo Cornia insegnavamo a scrivere male, o il Pignagnoli ballabile, che è il primo, e ultimo, probabilmente, convegno ballabile al mondo, o L’accalappiacani, che è un settemestrale di letteratura comparata al nulla, il primo, e ultimo, probabilmente, settemestrale di letteratura al mondo, ecco queste cose qua, io le ho fatte tutte insieme all’Arci di Reggio Emilia e devo dire, con dispiacere, che son molto contento, di averle fatte, e di continuare a farle, e che se penso a come si è comportato, e come si comporta ancora, l’Arci di Reggio Emilia, rispetto a queste cose, devo dire, con un certo senso di vergogna, e di impotenza, che non ho molte cose da criticare, anche se, delle volte, mi ricordo, quando la scuola elementare di scrittura emiliana la facevamo qua, in questo circolo qua, al Pigal, il primo anno, con Daniele Benati e Ugo Cornia, io mi ricordo che qualche volta il gestore del circolo, qua, si scordava di accendere il riscaldamento, per esempio, che non è bello.

Che voi potreste dire Va be’, è una cosa da poco, che è vero, è una cosa da poco, però, io, dopotutto, son qua anche per quello, per segnalare le cose da poco, perché se io vi dicessi Bravi, siete proprio bravi, oh, come siete bravi, secondo me, dopo, adesso non è che io pensi che questo mio breve intervento, che durerà dieci minuti, anzi ne durerà ancora otto perché due praticamente sono già passati, non è che io pensi che su questo intervento si basi la vostra politica dei prossimi cinque anni, il vostro piano quinquennale, si potrebbe dire, che io ho studiato russo ho un po’ quei parametri lì, hai studiato russo?, direte voi quelli che non mi conoscono, sì, ho studiato russo, direi io, non è per quello, si fa per ragionare, non è che pensi che voi state prendendo appunti per impostare la vostra angeda dei prossimi cinque anni, però insomma, mi avete invitato io ho accettato son venuto qui a fare questo discorso devo pensare che produca degli effetti, anche minimi, e se vi dicessi Bravi, siete proprio bravi, oh come siete bravi, io produrrei un certo, anche minimo, rilassamento, invece se mi concentro sulle cose che non funzionano, mi vien da pensare, provoco un certo, anche minimo, fastidio che è una cosa che può servire di più, per i piani quinquennali, che in Unione Sovietica i piani quinquennali, quando facevano le verifiche saltava sempre fuori che le quantità da produrre che c’eran nel piano quinquennale le avevano superate tutti di tre o quattro volte avete visto com’è andata a finire.

Allora io vi dico, per quando antipatica la cosa possa risultare, che secondo me non è bene seguire l’esempio sovietico è meglio concentrarsi sui propri errori per quanto piccoli possano essere.

Anche se, mi viene in mente adesso, è anche vero che la mia lettrice di russo, quando facevo l’università, che uno di voi che non mi conosce e che prima non era attento potrebbe pensare Hai studiato russo, sì, ho studiato russo, è anche vero che la mia lettrice di russo ci diceva che lei, quando faceva le scuole superiori, in Russia, o, meglio, in Unione Sovietica, o, meglio ancora, in Siberia, lei aveva un’insegnante che, d’inverno, quando dovevano fare i compiti in classe, apriva le finestre, perché diceva che con il freddo si ragionava meglio.

Allora voi potreste anche ribattere che il gestore del Pigal il riscaldamento, all’epoca, quando facevamo la scuola elementare di scrittura emiliana qui al Pigal, lo tenesse spento apposta, per quello, però io, se voi ribatteste così, ribatterei anch’io che non credo, perché quando glielo dicevamo, Guardi che stasera c’era il riscaldamento spento, lui non ci diceva L’ho fatto apposta perché con il freddo si ragiona meglio, ci diceva Ah, scusate, mi sono scordato.

Comunque è vero, è un dettaglio, e non è successo poi sempre, diciamo quattro volte su dieci lezioni, che non è tanto, è poi meno della metà, se ci fossero state le elezioni, e ci fossero state due liste, Riscaldamento acceso e Riscaldamento spento, avrebbe vinto Riscaldamento acceso, e con l’attuale legge elettorale avrebbe anche, credo, una maggioranza bella pesa, con il sessanta per cento, maggioranza assoluta vittoria nettissima, è vero, avete ragione.

Però. Abbiam patito dei freddi. Adesso a pensarci, forse, quella lì è stata forse la scuola che è venuta meglio, delle scuole elementari di scrittura emiliana che abbiamo fatto qui a Reggio, quindi forse quella teoria lì della mia lettrice di russo, a pensarci, aveva anche ragione, però, anche se fosse, c’è comunque una differenza, che là, in Russia, o in Unione Sovietica, o in Siberia, la mancanza di riscaldamento era una cosa voluta, scientifica, in un certo senso, mentre qui la cosa è dettata da dimenticanza, sono due cose molto diverse.

Allora, io, se devo dirvi una cosa, adesso non voglio usare dei toni catastrofici, ma se volete evitare di far la fine dei cosi, là, dei sovietici, che il presidente, Federico Amico, per dire, un estate, quando è in vacanza mettiamo a Carpiteti, va giù un commando di una bocciofila che lo rapiscono e salta fuori un out-sidera, Stefano Bertini, per dire, che quando viene a sapere quel che sta succedendo a Carpiteti monta sulla sede dell’Arci con un giubbotto antiproiettile, io la cosa che vi consiglierei è di stare attenti al riscaldamento.

Di ricordarvi. Di tenere presente, nella vostra testa, questa domanda: C’è stasera la scuola elementare di scrittura emilana? E se la risposta a questa domanda è sì di tenere presente quest’altra domanda: L’ho acceso, il riscaldamento?

Che voi potreste dire Eeee, come la tiri alla lunga. Cosa sarà mai. Non è una cosa grave. Poi non è che sia successo proprio sempre. Quattro volte su dieci. Cosa sono, alla fine? Uno che gestisce un circolo ha tante di quelle cose a cui pensare. E io vi direi va bene. Fate come volete. Che io non è che pensavo, con questo discorso, di convincervi, eh? No no. Perché io l’ho letto, coso là, come si chiama, Erik Satie, e il suo celebre pezzo del Capogiro con il quale, adesso che mi viene in mente, potrei anche avviarmi a chiudere questo breve intervento che mi scuserete se son stato un po’ critico, però ho patito tanto di quel freddo.

Del capogiro

Mi trovavo in campagna con un mio amico e parlavamo del capogiro: il mio amico non sapeva cosa fosse. Gli descrissi diversi esempi di capogiro senza ottenere alcuno risultato. Il mio amico non riusciva a rendersi conto dell’angoscia che si può provare alla vista di un operaio in cima a un tetto. Qualunque argomento gli portassi, il mio amico si stringeva nelle spalle, il che non è molto cortese e nemmeno molto simpatico.
D’un tratto scorsi un merlo che si era appena posato su un ramo, un alto ramo, un vecchio ramo. La posizione di quell’animale era tra le più pericolose… Il vento faceva oscillare il vecchio ramo che la povera bestiola stringeva convulsamente con le sue manine.
Allora, voltandomi verso il mio compagno: Guardi, gli dissi, quel merlo mi dà la pelle d’oca e il capogiro. Presto, portiamo un materasso sotto l’albero perché, se perde l’equilibrio, quell’uccello finirà senz’altro per spezzarsi la spina dorsale!
Sapete che cosa mi rispose il mio amico?
Con indifferenza, con semplicità: Lei è un pessimista.
Convincere la gente non è facile.

Ecco. Del capogiro è finito, e noi siamo a otto minuti. Che io, mi fermerei anche qua, però dopo voi mi potreste dire Aah, ti abbiamo beccato. Te ti lamenti tanto che non c’era il riscaldamento (non sempre, tra l’altro, direste voi) e poi quando prendi l’impegno di fare un discorso di 10 minuti lo fai di otto minuti e non spieghi delle cose che potrebbero magari avere destato la curiosità dell’auditorio, e io vi direi Per esempio? Per esempio, volevamo chiederti, se noi oggi dicessimo che il piano quinquennale l’abbiamo rispettato di sette otto volte come facevano in Unione Sovietica, dopo, va bene, abbiamo capito, rapiscono Federico Amico, Bertini si mette il giubbotto antiproiettile e monta sul tetto e dopo, cosa succederebbe? Allora, vi risponderei io, succederebbe che Amico darebbe le dimissioni, e subito dopo la sua popolarità, dentro l’Arci di Reggio Emilia, cadrebbe a dei livelli infimi. Gli farebbero pagare tutto quello che ha fatto nel suo mandato, soprattutto la campagna contro l’alcolismo che i soci Arci, nonostante le dichiarazioni ufficiali, non avrebbero mai né capito né condiviso e Amico, quando si ripresenterebbe alle elezioni, quattro anni dopo, otterrebbe una percentuale ridicola, tipo il due per cento, ad attestare definitivamente il fatto che sarebbe caduto in disgrazia, a Reggio Emilia, mentre godrebbe, Amico, di un’improvvisa e inaspettata popolarità in occidente, vale a dire a Parma, dove gli darebbero alla fine anche il premio Nobel per la pace. Il nuovo presidente dell’Arci diventerebbe Bertini, che, da un lato, comincerebbe la smoblitiazione, vendendo dei pezzi di Arci a delle multinazionali, prevalentemente la Disney, e dall’altro comincerebbe a bere come un disgraziato, cosa che diventerebbe di dominio pubblico una sera che Bertini, a una prima del Boris Godunov, al teatro Valli, prenderebbe con la forza il posto del direttore d’orchestra e si metterebbe a dirigere l’orchestra in evidente stato di alterazione alcolica, e dopo pochi anni morirebbe di cirrosi, sostituito, alla guida dell’Arci, da un addetto alla sicurezza del fuori orario, che continuerebbe l’opera di smantellamento dell’Arci e di livellamento delle differenze tra l’Arci di Reggio Emilia e gli Arci dell’occidente, vale a dire di Parma, così come è successo in Russia, quando con l’avvento di Putin ha cominciato a sparire un modo di stare al mondo che si potrebbe definire modo sovietico di stare al mondo, che era così diverso, dal nostro, e che uno che c’era stato, come me, era un modo di stare al mondo che, a pensarci, era un sollievo, il fatto che c’era, e io mi ricordo di averci pensato una volta che ero in ospedale, a Parma, nel reparto grandi ustionati e che mi era venuto a trovare un mio amico che si chiama Marco che era appena stato nella nuova Mosca di Putin e quando io gli avevo detto che speravo che almeno a Mosca le cose andassero un po’ come si deve perché in occidente, vale a dire a Parma, nel reparto Gradi ustionati, mi sembrava che le cose andassero al contrario di come dovevano andare, Marco mi aveva detto una cosa che poi io l’ho scritta in un libro che si chiama Grandi ustionati e che adesso la copio qui sotto così arrivo ai dieci minuti previsti così la smettete, magari, di fare tanto i precisini, e il pezzo è un dialogo che comincia con me che mi rivolgo a Marco e gli dico
Marco, questo posto bisogna starci attenti che questo è un posto carnascialesco che qui niente è quello che sembra è una cosa incredibile, Marco.
Sì, perché fuori? mi dice Marco.
Come fuori, gli dico.
Eh, mi dice Marco, io son stato a Mosca.
E allora? Hanno fatto dei danni anche a Mosca?
Allora a Mosca c’è un architetto, mi dice Marco, ha fatto una statua per l’anniversario della scoperta dell’America, sai come l’ha fatta? Alta, voglio dire. Cento metri. Forse anche centodieci non esagero mica, mi dice Marco.
Quella statua lì, l’ha presentata alla Spagna, la Spagna gliel’han rifiutata. Eh, ha detto Cereteli, si chiama Cereteli, questo architetto, mi dice Marco, e adesso cosa faccio? si è chiesto. Aspetta che la presento alla Repubblica Dominicana. L’ha presentata alla Repubblica Dominicana, la Repubblica Dominicana l’han rifiutata. Eh, ha detto Cereteli, e adesso? Presentiamola a Cuba. L’ha presentata a Cuba, Cuba gliel’han rifiutata. Eh, ha detto Cereteli, e adesso? Io quasi quasi la presento alla Guinea Bissau. L’ha presentata in Guinea Bissau, Cosa c’entriamo noi con la scoperta dell’America? gli han detto la Guinea Bissau. Ah, gli ha detto Cereteli, pensavo.
Ha fatto il giro di altri tre o quattro paesi sudamericani, mi dice Marco, Argentina Brasile Cile Costa d’Avorio, Cosa c’entriamo noi della Costa d’Avorio? gli han detto a Cereteli in costa d’Avorio. E, va be’, gli ha detto Cereteli, quante storie. Anche in Guinea Bissau, le stesse difficoltà. È sempre cultura, gli ha detto. Rifiutata anche in Costa d’Avorio.
È andato dal sindaco di Mosca, Cereteli, Lužkov, si chiama, mi dice Marco, Compagno Lužkov, gli ha detto, in memoria dei vecchi tempi, aiutami a risolvere questo grave problema che solo di materiale ciò settanta tonnellate di roba che non le vuole nessuno. Compagno Cereteli, dov’è il problema? gli ha detto Lužkov a Cereteli, mi dice Marco. Fammi vedere un po’ questa statua, gli ha detto.
Sono andati, hanno visto.
Sì sì sì sì, bene bene bene bene, ha detto Lužkov, te la prendiamo noi. Solo, devi fare una piccola modifica. Che modifica, dice Cereteli. Tagli la testa, ci metti la testa di Pietro il grande.
Così adesso a Mosca sulla Kamennyj ostrov c’è un Pietro il grande al timone di una caravella che domina tutta la città tutto illuminato di notte, non va mica tanto bene neanche a Mosca, mi dice Marco.

Ecco. Volete far quella fine lì? Prego.
Ecco, adesso, mi rendo conto di essere andato un po’ oltre i dieci minuti devo essere arrivato a 12 che voi potreste pensare Guardalo lì, si lamentava delle imprecisioni nella gestione del riscaldamento, e lui, gli appaltiamo un discorso di 10 minuti, che lo fa di 12, senti da che pulpito.
Che allora io potrei rispondervi, anche con delle equazioni di primo grado, dimostrandovi che, percentualmente, il mio errore e l’errore del gestore di allora del Pigal sono incomparabili, che io ho parlato 12 minuti invece 10, lui ha acceso il riscaldamento sei volte invece dieci, fate un po’ il calcolo, potrei dirvi io, solo che mi rendo conto che più parlo e più il mio errore si avvicina percentualmente all’errore del riscaldamento, è meglio che smetto che ci salutiamo, grazie dell’invito e grazie delle cose che fate, che secondo me siete bravi (a parte certi dettagli), c’è solo un’altra cosa che mi è venuta in mente adesso: voi, nel passato, avete fatto una campagna che si chiamava attivArci, poi ne avete fatta un’altra che si chiamava estasiArci, poi ne avete fatta un’altra che si chiamava confrontArci, poi dopo ne avete fatta un’altra che si chiamava inkiostrArci, scritto col k, dopo ne avete fatta un’altra che si chiamava liberArci, poi ne avete fatta una che si chiamava musicArci, dopo ne avete fatta una che si chiamava svegliArci, e dopo magari ne avete fatte delle altre che a me mi son sfuggite. Ecco, volevo chiedervi una cosa: basta, per cortesia. Grazie.