E come si chiama?
Di qualsiasi disgrazia si parlasse in sua presenza, magari di un villaggio incendiato da un fulmine, di un mulino travolto da una piena, di un contadino che si era staccato una mano con l’ascia, lui domandava ogni volta con un teso accanimento: «E come si chiama?», intendendo con ciò riferirsi al nome della donna che aveva causato la disgrazia, perché, secondo le sue convinzioni, causa di ogni disgrazia era una donna, e si trattava dunque soltanto di approfondire i particolari dell’accaduto. /…/
«Io dico, io sostengo che per quanto riguarda le signorine in generale, è chiaro che non intendo riferirmi alle qui presenti…»
«Ma questo non vi impedisce di pensare anche a loro», l’interruppe Dar’ja Michajlovna.
«Di loro non vorrei parlare» ripeté Pigasov. «In genere tutte le signorine peccano di affettazione in sommo grado; sono affettate nell’espressione dei loro sentimenti. Se, ad esempio, una signorina sente una gioia o un dolore in primo luogo lei imprimerà al proprio corpo un certo ti po di movimento» e qui Pigasov si piegò sgraziatamente sulla vita e spalancò le braccia «e poi lancerà un grido: “ah!”, mettendosi a piangere o a ridere. Tuttavia una volta sono riuscito a ottenere un’autentica e naturale espressione da una signorina particolarmente affettata!»
«E in che modo?»
Gli occhi di Pigasov scintillarono.
«Le assestai con una pertica di pioppo un colpo sul fianco, senza essere visto. Lei dà uno strillo e io le grido: “Brava, brava!”. Questa è stata la voce della natura, questo è stato uno strillo naturale. Anche per il futuro comportatevi sempre così”…»
Tutti i presenti scoppiarono in una risata.
«Che sciocchezze dite, Afrikan Semënyč!», esclamò Dar’ja Michajlovna. «Venite a raccontare proprio a me che avete preso a colpi di pertica una ragazza!».
«Per Dio, una pertica, una pertica enorme come quelle che si usavano nella difesa delle fortezze».
[Ivan Sergeevič Turgenev, Rudin, a cura di Giovanna Spendel, Milano, Mondadori 1984, pp. 34-36]