Due alternative

sabato 16 Giugno 2012

In questi giorni sto leggendo l’autobiografia di Andre Agassi, che si intitola Open, pubblicata in Italia da Einaudi, tradotta da Giuliana Lupi e ha una storia singolare, non il libro in sé la cui storia non la conosco, proprio la mia copia, quella che sto leggendo. Di Open mi aveva parlato Andrea Bajani, che mi aveva detto che era uno dei libri più strani e più convincenti che aveva letto negli ultimi mesi. Stavo per comperarlo, quando è cominciata la rubrica che Baricco tiene su la Repubblica, rubrica nella quale Baricco parla dei cinquanta libri più belli che ha letto negli ultimi dieci anni, e il primo libro che ha consigliato di leggere è stato Open, di Andre Agassi. Di conseguenza, Open, che era uscito nell’estate del 2011 e che da mesi non era più esposto sui banconi delle librerie, è tornato a essere esposto sui banconi delle librerie e in quella dove vado io, la Coop Ambasciatori, a Bologna, ce n’era una pila all’ingresso. Allora non l’ho più comprato. Non volevo che, chi mi avrebbe visto leggere Open, magari in treno, pensasse «Guardalo, quello lì che sta leggendo il libro consigliato da Baricco su la Repubblica». Dopo, in maggio, sono stato al salone del libro a Torino, e, nello stand Einaudi, Dalia Oggero a un certo punto mi ha detto «Ma tu l’hai letto, Open, di Andre Agassi?». «Volevo, – le ho detto io, – solo che dopo che lo ha consigliato Baricco non mi sono attentato, a comprarlo». «Te lo regalo», mi ha detto Dalia, e me l’ha regalato. Così, visto che è un regalo, mi sono sentito autorizzato a leggerlo senza vergognarmi. Anche se la gente che mi vede non lo sa, che me l’han regalato, ho pensato l’altro giorno nell’anticamera del mio medico intanto che aspettavo e leggevo Open, di Andre Agassi. Potrei mettermi al collo un cartello, quando lo leggo, e scriverci: « È vero, sto leggendo Open, di Andre Agassi, consigliato da Baricco nella sua rubrica su la Repubblica, ma non l’ho comprato, me l’han ragalato». Oppure, semplificando, potrei scriverci: «È vero, son deficiente, ma non mi vergogno». Che è poi una cosa, questo fatto di essere deficiente e di non vergognarsi, che mi sembra abbia a che fare anche col libro di Agassi, anche se non l’ho ancora finito. Che Agassi, dopo che ha vinto per la prima volta un torneo del grande slam, Wimbledon, scrive (a pagina 215): «Ho la sensazione di essere stato messo a parte di un piccolo, ignobile segreto: vincere non cambia niente. Adesso che ho vinto uno slam, so qualcosa che a pochissimi al mondo è concesso sapere. Una vittoria non è così piacevole quanto è dolorosa una sconfitta. E ciò che provi dopo aver vinto non dura altrettanto a lungo. Nemmeno lontanamente» . Cioè, se ho capito bene, non c’è cura, all’essere deficiente e non vergognarsene. L’unica alternativa, mi sembra, è essere deficiente e vergognarsene.

[uscito ieri su Libero]