Dove che manzemo in sedici

mercoledì 23 Dicembre 2015

antonio pennacchi, canale mussolinoi parte seconda

Una delle cose che succedono a chi legge Canale Mussolini parte seconda, romanzo di Antonio Pennacchi appena uscito per Mondadori, è di trovare delle frasi come: «Un fiòlo l’è senpre una benedision. Dove che manzemo in sedici, mangeremo in diciassette», che rendono il modo in cui parlavano negli anni venti i futuri coloni veneti di Littoria, l’attuale Latina; mettendo per iscritto questo veneto comprensibilissimo, Pennacchi scrive in un modo che mi ricorda il modo di scrivere del poeta veneto Giacomo Noventa che ha scritto, tra le altre cose: «Parché scrivo in dialeto…? / Dante, Petrarca e quel dai Diese Giorni / Gà pur scrito in toscan. // Seguo l’esempio».
Ecco, anche Pennacchi, mi sembra, segue l’esempio di Dante, che nel De vulgari eloquentia scrive che «la lingua volgare è quella che, senza bisogno di alcuna regola, si apprende imitando la nutrice. Abbiamo poi anche, – continua Dante, – oltre a questa, una seconda lingua che fu chiamata dai Romani «gramatica». Questa seconda lingua è posseduta anche dai Greci e da altri popoli, ma non da tutti. Poche sono d’altronde le persone che giungono alla padronanza di essa, perché non si apprendono le sue regole e non ci si istruisce in essa se non col tempo e con l’assiduità dello studio. La più nobile di queste due lingue, – scrive Dante, – è il volgare, sia perché fu la prima a essere usata dal genere umano, sia perché tutto il mondo ne fruisce, sia perché ci è naturale, mentre l’altra è artificiale. Proprio di questa lingua più nobile è nostro intento trattare», conclude Dante e sembra incredibile che per secoli i due «più nobile» di Dante, «nobilior», nell’originale latino, sono diventati, nelle edizioni a stampa, «più mobile», «mobilior»: i filologi e i grammatici non potevano concepire il fatto che Dante considerasse la lingua volgare, la lingua parlata, il dialetto, una lingua più nobile della lingua scritta, codificata e grammaticata della quale loro erano i depositari. Ecco: l’impressione che si ha a leggere questo ultimo romanzo di Antonio Pennacchi è di essere di fronte a quella lingua più nobile di cui parla Dante.

[uscito ieri su Libero]