Domande su Facebook
Credo che la domanda che più frequentemente ci si sente rivolgere su Facebook, all’inizio, quando qualcuno ti cerca per la prima volta, sia Ma sei proprio tu? Che è una domanda che uno non sa cosa rispondere, per molti motivi. Da un lato ti vien da pensare Ma come, non vedi, che sono io?
Dall’altro lì c’entra una cosa che ha a che fare con un mio amico che si chiama Giuseppe Faso che qualche mese fa ha pubblicato un libro che si intitola Lessico del razzismo democratico al quale libro mi ha chiesto di scrivere una prefazione che è questa qua:
L’anno scorso, prima di conoscere Giuseppe Faso, o subito dopo, adesso non mi ricordo, sono andato a Napoli a lavorare in teatro, a fare l’attore, una cosa stranissima, per me, recitare, non leggere, a me piace molto leggere. Avevo scritto un testo teatrale, l’avevo scritto io, dove c’era una parte, che era la mia, di uno che doveva solo leggere, era un conferenziere. Mi sembrava una soluzione, non so come dire, ideale, solo che poi ho scoperto che al regista non sembrava la soluzione ideale, e che per lui la soluzione ideale era che, nei limiti delle mie capacità, recitassi, oltre che leggere. E mi ha convinto, e mi ha messo su un ruolo dove facevo tre cose, semplici, ma le facevo, e non mi vergognavo neanche tanto, dopo le prime tre o quattro repliche.
E questo ha comportato delle conseguenze, soprattutto il fatto che ho imparato delle cose, come camminare, su un palcoscenico, che non è facile, provate, se credete che sia facile, e come riconoscere i miei gesti parassiti, se si chiaman così, cioè quei gesti che uno fa senza rendersene conto, quei gesti che abitano in lui senza che lui lo voglia. Io adesso ne ho due, perlomeno. Quando ero grasso, ne avevo anche un altro, che era tirarmi giù il maglione sulla pancia, continuamente. Ma non importa.
La prima volta che sono andato in Russia, nel 1991, io il russo non l’avevo mai parlato, con dei russi, l’avevo solo studiato sulle grammatiche e su qualche testo classico, come la Donna di picche, di Puškin, che era il testo da preparare per la prova finale del primo anno e il cui inizio, Odnaždy igrali v karty u konnogvardejca Narumova, Dolgaja zimnjaja noč’ prošla nezametno eccetera eccetera, lo sapevo a memoria. E a memoria sapevo dei pezzi interi, per esempio quello in cui si diceva che Saint Germain mog raspolagat’ bol’šimi den’gami, poteva disporre di forti somme di denaro.
Allora quando, quel primo anno in Russia, dovevo dire a qualche russo che non avevo di soldi, io gli dicevo Ja ne raspolagaju bol’šimi den’gami. Loro mi guardavano come per dire Ma come cazzo parli? Ma non ero io che parlavo così, era quell’espressione lì che viveva in me senza che me ne accorgessi.
Questo fatto, delle parole parassite, che con una lingua straniera dopo un po’ è un fatto abbastanza evidente, con l’italiano è un fatto difficile da capire. Ecco questo libro, è un libro pieno di parassiti. Io, dopo che ho letto questo libro, delle volte mi scappa ancora di dire, per esempio, di un immigrato, che è un extracomunitario, ma appena lo dico penso Ma che cazzo dici?
A dir la verità, dopo che ho conosciuto Giuseppe Faso, e dopo una conversazione che abbiamo avuto sul portone di casa sua, dove lui mi aveva accompagnato e mi aveva fatto compagnia molto gentilmente intanto che fumavo una sigaretta, dopo quella conversazione lì anche quando uso il verbo essere, magari mi scappa ancora di dire Io sono, ma subito dopo mi viene da chiedermi Ma chi cazzo vuoi essere?
Però, insomma, quello che volevo dire, è che questo libro, se uno lo legge, cambia il suo modo di parlare.