Diego

lunedì 5 Luglio 2010

diego

Quando arrivò quel giorno, con il vecchio passammo a prendere il Goyo e Montañita, un altro ragazzo del quartiere che giocava bene. Da Fiorito ne arrivarono tanti altri, ma noi tre rimanemmo uniti e noi tre restammo.
Il viaggio in sé fu già un’avventura. Feci per la prima volta il tragitto che poi avrei ripetuto migliaia di volte. Partimmo da Fiorito con il ‘verde’, come chiamavamo il 28, e a Pompeya prendemmo il 44 per arrivare fino a Las Malvinas, dove si allenava l’Argentinos, a Tronadore e Bauness. Giuro che a me passare il ponte Alsina faceva lo stesso effetto che mi fa oggi passare il ponte di Manhattan, giuro.
Finalmente arrivammo a Las Malvinas. Aveva talmente piovuto che, dopo averci tutti riuniti, ci informarono che non si poteva giocare per non rovinare i campi. Che delusione! Credo che se tutti noi ragazzi ci fossimo messi a piangere insieme, avremmo provocato un’alluvione, così davvero non si sarebbe potuto giocare mai più. Allora intervenne Francis, un personaggio fenomenale che lì si occupava di tutto:
“Non vi disperate, prendiamo il fuoristrada di don Yayo e andiamo al parco Saavedra, lì si può giocare”. /…/
Al parco Saavedra fecero due squadre. Noi entrammo al secondo turno e io capitai con il Goyo. Anche se avevamo sempre giocato da avversari, ci intendevamo alla perfezione e gliela facemmo vedere. Tirai cannonate, feci tacchetti, pallonetti, un paio di gol, non ricordo quanti. Ricordo però che Francis disse al Goyo di continuare a farmi venire, che voleva vedermi un’altra volta. Solo che non credeva che io avessi veramente nove anni. Allora mi squadrò con faccia seria…
“Nene siamo sicuri che sei del Sessanta?”
“Sì, don Francis…”
“Vediamo, mostrami i documenti”.
“È che li ho lasciati a casa, don Francis”.
Era vero, ma lui non ci credeva. Qualche tempo dopo mi confessò che aveva pensato che fossi un nano.

[Diego Armando Maradona, Io sono el Diego, traduzione di Alberto Bracci T., Roma, Fandango 2002, pp. 17-18]