Di mia madre
Di mia madre nulla saprei dire –
come ripeteva, rimpiangerai un giorno,
quando non ci sarò più, e come non credevo
né nel “più”, né nel “non ci sarò”,
come mi piaceva guardare, quando leggeva un romanzo alla moda,
sbirciando subito l’ultimo capitolo,
come in cucina, reputando che questo non è per lei
il luogo adeguato, prepara il caffè domenicale,
oppure, ancora peggio, i filetti di merluzzo,
come attende l’arrivo degli ospiti e si guarda allo specchio,
facendo quella faccia che la proteggeva efficacemente dal
vedere realmente se stessa (cosa che, pare,
ho ereditato da lei, insieme ad alcune altre debolezze),
come poi disinvoltamente disserta di cose
che non erano il suo forte, e come io scioccamente
la stuzzicavo, come in quella occasione in cui si
paragonò a Beethoven facentesi sempre più sordo,
e io dissi, crudelmente, ma sai, egli
aveva talento, e come tutto mi perdonava
e come io lo ricordo, e come volavo da Houston
al suo funerale e in aereo veniva proiettato
un film comico e come piangevo di riso
e di rimpianto, e come non ero in grado di dire nulla
e continuo a non esserlo.
[Adam Zgajewski, Asymetria, Cracovia, a5 2014, citato nel domenicale del sole 24 ore di ieri (traduzione di Marco Bruno) a corredo, come si dice, di un pezzo di Francesco Cataluccio originato, credo, dal fatto che sabato 11 luglio, a Cetona (Siena) danno a Zagajewski il premio Cetonaverde poesia]