Critiche e alettoni

giovedì 5 Settembre 2013

Quando sono partito per andare a vedere la settantesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ero sull’autobus per andare in stazione, ancora a Bologna, e ho visto un vecchio che parcheggiava una macchina con l’alettone, una Peugeot, se non sbaglio, con l’alettone, e l’autista era un vecchio, come me, forse ancora più vecchio di me, calvo, come me, forse ancora più calvo di me e con la pancia, come me, forse con ancora più pancia di me e io ho pensato «Ma dove vai, con quell’alettone?». E dopo poi, quel giorno lì, fin dal treno interregionale che mi ha portato a Venezia, c’era della gente, che era montata a Padova, se non mi sbaglio, che han cominciato a dire delle cose, alla mia sinistra, del tipo che «Un giovane oggi in Italia non puòn lavorare», che «Van tutti all’estero», che «Oggi le banche non fanno più credito», e che «C’è la fuga dei cervelli», cioè che io non me ne ero accorto eran montati su degli opinionisti che avevan delle opinioni con l’alettone e dopo, sul traghetto 5 punto 1, quello che da Santa Lucia arriva al Lido, c’era una signora che diceva «La nostra responsabile di prodotto» e si capiva, dal tono che aveva, che lei aveva una responsabile di prodotto con l’alettone.
Dopo poi, arrivato al Lido, ho sentito dire che alla proiezione del mattino era stato aveva avvistato Walter Veltroni, al che io ho pensato “Ecco”. Cioè queste son cose che a me, non so come dire, mi mettono in imbarazzo. Perché, la domanda si potrebbe formulare anche così: «Quando compare Walter Veltroni, cosa si può dire?». E la risposta potrebbe essere questa: «Niente».
Dopo a un certo momento ho visto del rosso, ho sentito gridare, delle ragazzine che gridavano come se fossero delle cinefile con l’alettone, tappeto rosso, anni ruggenti, una mia amica che mi chiede «Come stai?» con un tono che non è un «Come stai?» normale, è un «Come stai?» che vuol dire che, dopo l’incidente, non ci eravamo più visti (ho avuto un incidente con l’alettone, ho picchiato la testa ho fatto venticinque giorni di ospedale) e io normalmente quando mi chiedono «Come stai?» di solito rispondo «Non c’è male», però in quei casi, quando sono quei «Come stai?» con l’alettone rispondo «Benissimo», che è una risposta con l’alettone, a pensarci.
Il primo film che ho visto, che si intitola Kill your darlings, titolo italiano Giovani ribelli, è un film d’esordio di un regista americano che si chiama Krokidas e la storia è ambientata nel 1944 a New York e i personaggi sono Allen Ginsberg, Lucien Carr, William Burroughs e Jack Kerouac e il protagonista è Daniel Radcliffe, che quando entra in sala tutti dicono «Oooooh», e io non capisco perché, dopo mi spiegano che è quel ragazzo che faceva Harry Potter, un protagonista con l’alettone.
Quando comincia il film, la prima cosa che penso è che gli attori, dentro nel film, sembra che recitino, sembra anche un po’ un’opera lirica, piena di gente che batte a macchina senza esser capace di battere a macchina, e mi viene da pensare alla rielaborazione dell’urlo di Ginsberg che ho letto una volta in un libro che diceva «Ho visto le menti migliori della mia generazione e ho pensato “Ah, andiam bene”».
Dopo c’è l’incontro con il regista e il protagonista che salgon sul palco e salgon sul palco anche le guardie del corpo che sono sei e sembra che recitino anche loro, delle guardie del corpo con l’alettone e a me mi vien da pensare che una guardia, anche se si dice guardia, genere femminile, di solito è un uomo, genere maschile, proprio un pensiero con l’alettone.
Dopo prendo da mangiare, un panino con il prosciutto di Parma, che io dopo che han detto che il prosciutto di Parma è imbottito di diossina non faccio altro che mangiare prosciutto di Parma, e dopo ci sono altri due film, al Palabiennale, Parkland, di Peter Landesman, che racconta di quando, il 22 novembre del 1963, a Dalllas, un’équipe di medici prima ha provato, senza riuscirci, a salvare la vita al presidente degli Stati Uniti, Kennedy, poi ha provato, senza riuscirci a salvare la vita a quello che aveva sparato a Kennedy, Oswald, e a vederlo uno pensa com’è pesante, e ingombrante, una bara, e che, se togliessero la prima e l’ultima scena, sarebbe proprio un bel film, pensa uno, e poi dopo c’è un film che si chiama Miss Violence di un regista greco che preferisco non nominare che intanto che lo vedevo pensavo delle cose che non si possono scrivere perché quello lì è un film, che, non sono come dire, mi mette in imbarazzo.
Perché, la domanda si potrebbe formulare anche così: «Quando compare un film del genere cosa si può dire?». E la risposta potrebbe essere questa: «Niente».
Dopo, gli altri tre film che vado a vedere, è rimasto solo spazio per dire una parola per film, vale a dire: Kaze Tachinu, di Hayao Miyazaki, molto; The Zero Thorem di Terry Gilliam, abbastanza; Tom à la ferme, di Zavier Dolan; poco.
Che mi rendo conto, a chi legge potrebbe anche venire un dubbio e potrebbe chiedermi: «Ma te, te ne intendi, di cinema?», che io gli risponderei, se mi chiedesse così «No, non me ne intendo».

[uscito ieri su Libero]