Comunque l’Italia
Suo padre stava passando i sottaceti, facendo notare che era andato personalmente in salumeria. Da quando la mamma era morta il personale di servizio si dimenticava regolarmente di certe cose. «Comunque l’Italia…» stava dicendo il vecchio. «Sarebbe preferibile evitarla, l’Italia, in questi tempi turbolenti». Judd lo lasciò parlare. I sottaceti erano buoni. Almeno quel gusto in comune ce l’avevano.
«Oh, l’Italia non è così male da quando è salito al potere quel Mussolini» dichiarò suo fratello. «La situazione nel paese è sotto controllo».
«Non ci si può mai fidare degli italiani», disse suo padre. «Gli italiani sono gente violenta e senza legge, con la loro Mano Nera. Anche qui a Chicago, tutti i contrabbandieri sono italiani. Con le loro leggi particolari, i loro omicidi, la nostra città si sta procurando una pessima reputazione».
«Certo, solo gli ebrei sono perfetti», replicò Judd secco, senza pensarci.
«Perlomeno, noi ebrei ci conformiamo alla legge e svolgiamo lavori e professioni rispettabili» disse il padre.
«Gli italiani ci hanno dato soltanto Dante e Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello» disse Judd. «Cellini e l’Aretino».
«Può darsi che un tempo fossero gente in gamba, ma oggi sono soltanto banditi».
Intervenne Max. «Ho sentito dire che questo Mussolini è un vero statista e che sta rinverdendo i fasti dell’antica Roma: una specie di superuomo». Judd fu colpito dalla parola usata da Max. Max, però, sorrideva, per far capire che per una volta stava provando a usare il linguaggio da intellettuale del fratello. «Judd, magari riesci persino a incontrarlo».
«Ma certo, posso darti delle lettere di presentazione: siamo in affari con gente importante che in Italia lavora nel settore dei trasporti navali» disse suo padre, per poi aggiungere con orgoglio: «Potresti parlare italiano con loro».
Nella mente di Judd riecheggiava la parola «superuomo».
[Meyer Levin, Compulsion, traduzione di Gianni Pannofino, Milano, Adelphi 2017, pp. 108-109]